Dicevano i nostri nonni, e con loro tanti psicologi, che uno dei segni della maturità consiste nel saper aspettare, respirare a fondo prima di reagire, senza cedere subito all’ira. Sembra facile riuscirci ma non è così.
Siamo
“costruiti” con il desiderio di avere tutto e subito e la pazienza per quanto
celebrata è una virtù da sempre fuori moda.
Eppure,
guardandoci indietro, ci accorgiamo che, quando abbiamo saputo attendere, i
nostri desideri sono stati purificati, a volte li abbiamo persino superati e se
si sono realizzati li abbiamo gustati meglio.
Il
modello da seguire è quello offerto dai grandi saggi, a loro volta imitatori di
Dio che malgrado le nostre infedeltà si mostra lento all’ira, pronto a
riannodare ogni volta i rapporti con l’uomo, ben sapendo che tornerà a tradire.
Lo
esprime bene in questa preghiera il filosofo e storico francese Lucien
Jerphagnon (1921-2011) che non si vergogna di ammettere di aver chiesto la
pazienza almeno cento volte.
«Signore,
per
la centesima volta,
vengo
a chiederti
la
grazia della pazienza.
Ma
anche per questa,
dovrò
aspettare.
Sarei
così contento che la pazienza,
come
tutto il resto,
venisse
dall'oggi al domani.
Signore,
vorrei ritrovare un po'
il
senso della natura
e
il senso dei suoi ritmi.
Accettare
che le messi
abbiano
bisogno del sole.
Accettare
che gli uomini
abbiano
bisogno di sonno.
Accettare
che le risposte
abbiano
bisogno di riflessione
e
di quiete.
Accettare,
senza
recriminare
i
ritardi voluti dalla natura delle cose.
Accettare
infine, Signore,
di
vivere secondo la tua volontà,
e
non secondo la mia.
Signore,
fa
che ami questo scorrere noioso e fecondo
dei
giorni e delle stagioni,
questo
maturare continuo
dei
frutti e delle parole.
Concedimi
di saper attendere
che
venga la pazienza».
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