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mercoledì 17 luglio 2024

BAMBINI SENZA REGOLE

Insegnare ai propri figli a stare a tavola non è un aspetto marginale dell’educazione. Imporre comportamenti dentro e fuori casa è utile ai più piccoli per conquistare la capacità di sentirsi a proprio agio in situazioni diverse. E non infastidire il prossimo.

 Chiara Ionio (Università Cattolica): il momento del pasto non è destinato solo a nutrirsi. È il tempo della relazione e della condivisione, un importante strumento di socialità

 

-         -di NICOLETTA  MARTINELLI

 

Perché farselo dire dai gestori dei locali pubblici se i più piccoli possono entrare oppure o no? A sapere cosa è meglio per i propri figli, cosa possono sopportare e cosa li scatena, devono essere i genitori. Non sempre e non ovunque, tutto deve essere alla portata di tutti: succede per gli adulti, figuriamoci per chi è ancora nell’infanzia, un periodo della vita con tante sfumature di indole e maturità. «Mamma e papà dovrebbero farsi questa domanda: ciò che sto proponendo a mio figlio, è la cosa migliore per lui? Che tipo di esperienza vogliamo offrirgli, di stress per ciascuno di noi oppure una situazione positiva che appaghi tutta la famiglia?». Madre di tre figli, professore associato in Psicologia dello sviluppo-unità di ricerca sul trauma dell’Università Cattolica, Chiara Ionio sulla questione dei luoghi pubblici bambini-dentro/bambini-fuori è tagliente: «Mi fa ridere questa polemica. Ci piace un sacco parlare di inclusione, di annullamento delle differenze e poi, dalle parole ai fatti, chiudiamo, categorizziamo in coppie, famiglie, single… Bisognerebbe imparare a stare insieme nella diversità, insegnando ai bambini le regole del ben vivere in comunità, trasmettendo loro – insiste la professoressa – la capacità di leggere i contesti». Significa che, quando si trovano al ristorante, i più piccoli dovranno rispettare le regole del ristorante, le stesse che hanno imparato a casa, stando a tavola, ma anche altre nuove che consentano loro di sentirsi a proprio agio nella situazione. E di non creare disagio al prossimo: e chi può spiegare quali sono queste regole se non i genitori? Non solo, è necessaria una strategia preventiva da parte di mamma e papà: «Direi che è indispensabile. Se ho un figlio piccino non posso pensare di andare in un ristorante dove so già che ci aspettano lunghi tempi di attesa. Perché so anche che mio figlio non avrà la capacità, la pazienza di attendere. Dall’altra parte – prosegue Ionio – se non voglio rinunciare a questa esperienza devo aiutare mio figlio a superare i previsti momenti di noia. Non piazzandogli in mano il telefono o il tablet, piuttosto distraendolo con piccoli giochi o invitandolo a disegnare, ma consapevole della necessità che io stesso sia attivo nella relazione con il mio bambino durante il pasto».

 Può sembrare marginale il tema dell’educazione a tavola. Invece, sapersi comportare adeguatamente nei momenti conviviali è uno strumento di inserimento e accettazione sociale: i genitori che trascurino questo aspetto finiranno per creare una difficoltà al loro bambino, un limite. «Se parliamo del bambino a tavola, dell’educazione alla condivisione del tempo e dello spazio dedicato al cibo, parliamo di una parte importante dell’educazione. Il momento del pasto – spiega la professoressa – non è mai solo quello in cui ci si mangia. È il momento della socializzazione del cibo come strumento “per stare con”. Fin dalla primissima infanzia, fin dall’allattamento, è un tempo di condivisione del bambino con il genitore.

I più piccoli dovrebbero sperimentare, e apprezzare, il piacere di ritrovarsi a tavola, di stare insieme e di chiacchierare: succede con più facilità se gli adulti spengono la televisione – ospite fisso quando si pranza o si cena – e lasciano il cellulare lontano dalla sala da pranzo… «Piano piano ai bambini va insegnato a stare fermi a tavola per periodi sempre più lunghi. Non tutti sono uguali, e si illude chi pensa che ci sia un’età fissa per essere idonei a frequentare ristoranti e alberghi. Bambini di otto anni riescono a stare seduti un’ora intera e altri di 12 fanno fatica a rimanere composti un quarto d’ora. A volte – è il suggerimento di Ionio – è più proficuo uscire quando ci sono altre coppie con figli perché i bambini trovano il modo di stare insieme e far passare il tempo. L’altro consiglio è scegliere ristoranti pensati con sale gioco o spazi adeguati a intrattenerli. Ma attenzione, con questo non intendo suggerire che i bambini stiano da un’altra parte mentre gli adulti mangiano. Penso piuttosto a locali in cui, nei tempi morti dell’attesa tra una portata e l’altra, i più piccoli possano sfogare la loro fisicità in luoghi adatti».

 Scatenati in trattoria, quando sono nella mensa scolastica, sia alla scuola dell’infanzia che alla primaria, i bambini stanno seduti e non corrono in giro. Non sarà che lì trovano qualcuno che non solo impone regole precise ma è anche capace di farle rispettare? «Ovviamente. Ogni ragionamento è vano se gli adulti non acquisiranno la loro capacità di essere genitori autorevoli, normativi, in grado di aiutare i loro figli a comportarsi correttamente in situazioni differenti, a stare in contesti diversi dalla propria casa. Certo, capita che il bambino faccia un capriccio in un luogo affollato… È un bambino! Dovere del genitore è intervenire per abbassarne il livello di stress». Il proprio, quello del figlio e quello altrui.

www.avvenire.it


mercoledì 27 settembre 2023

UN PO' DI GALATEO NON GUASTA

 
Essere educati rimane 

una questione essenziale

 Il libro di Lina Sotis con Carlo Mazzoni rilegge le regole del galateo in maniera divertita alla luce dei cambiamenti della società di oggi

 - di MAURIZIO CUCCHI

 Il tempo estivo ci ha posto di fronte a una serie, più evidente del solito, di spontanei comportamenti che in altri tempi sarebbero stati censurati come esempi di pura e semplice cattiva educazione. Chiunque, aggirandosi pacifico in città o in luoghi di vacanza, si sarà potuto accorgere del gran vociare, e cioè del troppo frequente parlare, in locali pubblici, di gente urlante di ogni età, tanto da rendere problematica a un normalissimo umano civile, la semplice conversazione. A questo si aggiunga l’abitudine sempre più diffusa, in donne e uomini, giovani e vecchi, di sedersi a un bar (ma anche in treni o autobus) mettendo le proprie gambe, nonché estremità più o meno calzate, su sedie o tavolini. Urlanti e sdraiati, insomma, secondo un male interpretato concetto di libertà personale che tende a ignorare la presenza del prossimo. Nel segno dell’incivile convinzione, più o meno ideologizzata (goffamente) che libertà significhi far quello ci pare.

 Pensavo a tutto questo avendo tra le mani il recente, nuovo discorso sul bon ton che Lina Sotis ha pubblicato avvalendosi della collaborazione di Carlo Mazzoni. Appunto Il nuovo bon ton (Baldini + Castoldi, pagine 144, euro 16,00), che già in copertina esprime un impeccabile concetto: “Essere eleganti non è più una questione essenziale. Essere educati, sì”. Naturalmente la base di partenza è nella piena consapevolezza di ciò che nella normale percezione dei comportamenti è mutato in questi anni o decenni. Nella giusta convinzione che in un vivere civile i nostri modi devono potersi basare sul rispetto per gli altri.

 Il libro procede per voci tematiche in ordine alfabetico, da “Abbracci” a “Vita”, alcune delle quali proposte da Mazzoni come interviste alla stessa Sotis che risponde. Tanto per fare qualche esempio, eccoci alla voce “Camminare”: «Dovrebbe esserci una legge che proibisca alle persone di guardare il telefono mentre si cammina: chi cammina al telefono è pericoloso e ineducato». Impeccabile. 

Il "grazie", accompagnato da un sincero sorriso, caratterizza la persona riconoscente e non arrogante. Alla voce “Ignoranza”, troviamo un’osservazione ben condivisibile: «Non è necessario leggere molti libri, per non essere ignoranti. L’unica cosa che serve per annientare  l’ignoranza è la curiosità». Passo a “Lavorare”: «Non si lavora per guadagnare, si lavora per costruire un bene comune». Più a ridosso di un presente quotidiano stretto: “Monopattini”: «Non vanno usati sul marciapiede».

 Il dizionario si diffonde poi come è giusto sul tema “Parole”, con varie osservazioni: «Chi usa la parola chic, promette di non esserlo», o si invita a non usare Salve, per tornare al normale Buongiorno e a uscire da schemi di moda e a soluzioni stereotipate come allucinante o a livello.

E io aggiungerei, per esempio, tipo… E, voce autonoma che appare più avanti: “Resilienza”. Per “Telefono” troviamo un testo di oltre tre pagine, e vista la sua presenza oggi pervasiva, mi sembra cosa ben giusta. Comunque, leggiamo il giusto invito a telefonate brevi quando si è con altri, mentre ci viene detto che non è grave non rispondere a un messaggio o che i cosiddetti vocali si devono usare «solo tra amici». Il libro si chiude con la parola “Vita”, alla quale Lina Sotis risponde direttamente raccontando elementi della sua, di vita, e con un finale di dolce affabilità quotidiana: «Il quartiere è la tua città, la città che tu conosci. Il sorriso del fruttivendolo può essere una fonte di vita. Il “Ciao Lina!” di chi ti dà il caffè ti cambia la giornata». E aggiunge, data la sua non più giovane età: «Siamo noi vecchi che vogliamo ancora inventare il futuro».

 E allora, ciao Lina! E ciao Carlo! E grazie per questa esplorazione in dettagli concreti della nostra realtà reale con l’invito all’autenticità basata su rapporti di umano e civile rispetto di chi ci sta attorno.

 www.avvenire.it

 Lina Sotis, Il nuovo bon ton, ed. Baldini-Castoldi, 2023