Vietare
i cellulari prima dei 14 anni fa bene al cervello
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di Alberto Pellai*
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Spesso
sentiamo ripetere il mantra di come la tecnologia, che pervade la nostra vita,
migliori la qualità della nostra vita. Ma questo assunto, vero per certi
aspetti, se si parla di educazione nella prima infanzia e nella scuola
primaria, viene ribaltato dalle evidenze scientifiche. I bambini esposti a
strumenti tecnologici e interazioni con gli schermi sono soggetti ad un danno
duplice: diretto, legato alla dipendenza, e indiretto, perché l’interazione con
gli schermi impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per
un corretto allenamento alla vita.
Le
neuroscienze dimostrano che alcune aree del cervello, fondamentali per
sostenere nel bambino le abilità utili per l’apprendimento cognitivo, non si
sviluppano in modo adeguato, se il minore trasferisce nel digitale attività ed
esperienze che dovrebbe invece vivere in “analogico”. In età prescolare,
interagire con uno schermo, invece che con un albo illustrato o con un adulto
che ti legge un libro porta ad alterazioni della materia bianca proprio in
quelle aree cerebrali fondamentali per sostenere l’apprendimento della
letto-scrittura alla scuola primaria.
Molte
ricerche, inoltre, rivelano che nelle scuole dove lo smartphone non è ammesso,
gli studenti socializzano e apprendono meglio. Questo non significa bollare la
tecnologia come nemica, ma è necessario ripensarla in modo drastico,
oggigiorno, invertendo la rotta di ciò che abbiamo lasciato accadere negli
ultimi 15 anni. Il cervello dei preadolescenti funziona come ha ben descritto
Collodi, raccontandoci di Pinocchio che, sulla strada verso la scuola, incontra
Lucignolo e non avendo le competenze per scegliere di restare sulla via giusta,
si dirige verso il paese dei balocchi.
Prima
dei 14-15 anni, il cervello emotivo dei minori è molto vulnerabile
all’attrattività proposta dall’ingaggio dopaminergico dei social media e dei
videogiochi.
Nel
momento in cui usiamo le tecnologie come strumenti per l’apprendimento,
dimentichiamo che quegli strumenti sono in realtà veri ambienti. I ragazzi
nello smartphone possono avere contemporaneamente un’app di calcolo e i social
media, questi ultimi distrattori potentissimi. Si apre lo smartphone per usare
la calco-latrice, ma in meno di un secondo ci si trova a fare scrolling senza
riuscire a fermarsi.
Ecco
perché dovremmo essere coerenti con quello che ci dicono le neuroscienze nel
favorire il ritardo dell’uso della tecnologia, che a scuola dovrebbe comparire
solo come strumento usato dai docenti per arricchire e integrare i contenuti
della propria lezione. Al tempo stesso, il docente non dovrebbe prevederla,
prima dei 15 anni, per un uso autonomo dello studente, nel corso dei compiti
pomeridiani. Anche su questo intervengo, in una molteplicità di voci e visioni,
ad “Edufest - Festival dell’educazione” a Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo.
Serve
un impegnativo allenamento alla vita digitale, che non può però precedere o
sostituire quello alla vita reale. Si deve affiancare ad esso, rispettando però
ciò che oggi la scienza afferma: ovvero che prima dei 14 anni è meglio non
possedere uno smartphone ad uso personale e che prima dei 16 anni è meglio non
gestire un profilo personale sui social media.
*Medico
e psicoterapeuta
www.avvenire.it
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