Vangelo:
Marco 16,15-20
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «15Andate in tutto
il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà
battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i
segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni,
parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche
veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi
guariranno». 19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo
e sedette alla destra di Dio. 20Allora essi partirono e predicarono
dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola
con i segni che la accompagnavano.
Commento
di Sabino Chialà
Seguendo
la cronologia lucana (At 1,3), la liturgia colloca l’ascensione del Signore al
quarantesimo giorno dalla resurrezione. In questo tempo Gesù ha accompagnato i
suoi discepoli nel loro non facile cammino di rielaborazione di quanto era
accaduto e di ricominciamento dell’avventura comunitaria.
Nell’ascensione
quel cammino condiviso giunge a un ulteriore passaggio. Gesù è nuovamente
sottratto ai suoi, anche se in forma diversa e certo meno traumatica della
prima volta. Tuttavia, anche l’ascensione segna una sottrazione, come indica il
verbo greco (analámbano) impiegato all’inizio e alla fine della
narrazione di tale evento nel libro degli Atti degli apostoli (At 1,2.11).
Gesù
è sottratto e i discepoli sono spinti oltre, a riprendere il cammino. Questo
evento segna certamente una fine e un nuovo inizio, ma soprattutto segna il
passaggio a una nuova forma di presenza del Maestro con i suoi e nel mondo. Il
Signore Gesù torna al Padre, ma al contempo resta presente e operante nella
vita e nell’azione della sua comunità. Questa è la prospettiva da cui il brano
evangelico previsto per questa domenica ci invita a guardare all’evento che
celebriamo. Un brano che al racconto dell’ascensione dedica un solo versetto
(v. 19), mentre dà più ampio spazio a quello che Gesù affida ai suoi prima di
tornare al Padre (vv. 15-18) e a come tale missione inizia a inverarsi (v. 20).
Andate
in tutto il mondo
Nella
prima parte (vv. 15-18) sono raccolte le ultime parole di Gesù secondo il
vangelo di Marco (nella cosiddetta “finale lunga”, una delle aggiunte al testo
originario, che terminava al v. 8). Si tratta di parole che il Maestro rivolge
a un gruppo di discepoli ancora oppresso da incredulità e durezza di cuore (v.
14), e per di più ferito dalla mancanza di un fratello che li rende “Undici”
(v. 14). Eppure, proprio a loro, con un’immediatezza che può stupire, Gesù
affida l’annuncio del vangelo, in vista della fede: “Andate in tutto il mondo e
proclamate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà
salvato, chi non crederà sarà condannato” (vv. 15-16). Rimproverati per la loro
incredulità, sono mandati a chiamare altri alla fede. Nulla di strano in
questo. Anzi vi si descrive la dinamica della fede e dell’annuncio: ad essere
mandati non sono dei credenti saldi e sicuri di sé, ma esseri umani chiamati a
diventare essi stessi sempre più credenti, anche grazie all’annuncio che
rivolgeranno ad altri. Di tale dinamica sono testimonianza eloquente i primi
passi degli annunciatori così come sono narrati negli Atti degli apostoli.
Questo
ricorda che primi destinatari del vangelo sono gli stessi che lo annunciano.
Potrebbe sembrare un’affermazione banale. Invece è utile perché ricorda che
quel loro messaggio descrive per tutti, anche per loro, uno spazio di salvezza
e uno di condanna. Non lascia indisturbati: o ci si lascia attrarre in un
cammino di fede e si riceve la vita, o ci si arena in un cammino di rifiuto e
ci si condanna alla morte.
I
segni della fede
Vita
e morte che appaiono da quelli che Marco chiama i “segni” della fede: “Questi
saranno i segni che accompagneranno quelli che credono” (v. 17). E anche qui,
credenti sono da intendersi sia coloro che annunciano sia i destinatari della
loro parola. Il movimento è unico, se i primi a dover diventare credenti sono
gli annunciatori.
L’Evangelista
enumera segni diversi, ma accomunati da un tratto che li riassume tutti:
descrivono azioni che fanno arretrare il potere del male. Non il “male”, ma il
“potere del male”. In questa enumerazione, infatti, Gesù parla di liberazione
dai demoni e di malattie che vengono alleviate: “scacceranno demoni” (v. 17) e
“imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (v. 18). Ma anche di un male
che non è tolto; con il quale si entra in contatto, senza però riceverne danno.
Non è né evitato né distrutto, ma reso innocuo: “prenderanno in mano serpenti
e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno” (v. 18). Tutti questi
segni rimandano alla vita e all’azione di Gesù durante la sua predicazione. Ora
però sono affidati ai discepoli che, facendo spazio al vangelo, rendono ancora
presente nel mondo la forza di vita del Maestro.
Infine,
segno della fede è la capacità di parlare “lingue nuove” (v. 17), che Luca
descriverà come il dono dello Spirito a Pentecoste, quando gli apostoli
sapranno farsi comprendere nelle lingue dell’intera terra abitata (At 2,4-11).
Segno della fede è anche la capacità di una parola chiara, libera, nuova e
comprensibile.
Tutti
questi segni ricordano che Gesù non manda i suoi a costituire degli adepti.
Chiede invece loro di diventare e generare uomini e donne liberi, capaci di
percorrere cammini di liberazione dal male. Altrimenti la loro sarà solo
propaganda per uno dei tanti falsi profeti della storia. Detto in altri
termini: la fede nel Risorto si rende evidente dalla libertà che essa genera,
sia in chi annuncia sia in chi riceve l’annuncio.
A
questo punto, precisato il mandato, Marco descrive brevemente l’evento
dell’ascensione: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in
cielo e sedette alla destra di Dio” (v. 19). Siamo al momento del passaggio,
che inaugura il tempo nuovo della chiesa, in cui il Signore continua ad agire
attraverso i suoi discepoli. La descrizione è scarna perché gli occhi del
lettore non siano rapiti in cielo, ma restino sulla terra, ad osservare come la
missione appena affidata agli Undici si realizza.
La
missione
Essi,
infatti, continua il testo nell’ultimo versetto: “Partirono e predicarono
dappertutto, mentre il Signore agiva con loro e confermava la Parola con i
segni che la accompagnavano” (v. 20). La descrizione di questo nuovo inizio è
essenziale quanto accurata.
La
missione è affidata ai discepoli, ma è il Signore ad “agire con loro
(synergéo)” e a renderla efficace. Sono essi ad annunciare la Parola, ma è il
Signore a “confermarla (bebaióo)” con i segni che la accompagnano; quei segni
descritti sopra come evidenza della fede. Si comprende allora la ragione per
cui Gesù parla di “segni” che accompagnano coloro “che credono”: perché non di
tratta di poteri magici messi nelle mani dei discepoli, ma di segni del Risorto
che avvengono in loro e per loro mezzo, e che per questo presuppongono la fede.
L’ascensione
inaugura dunque un nuovo tempo di comunione, un’altra modalità di azione del
Signore che non opera più alla presenza dei suoi, ma dentro di essi e
attraverso di essi; e questo in forza del suo essere nel Padre e dal Padre.
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