è una necessità
All’indomani della
consegna della Bolla di indizione, il pro-prefetto del Dicastero per
l’Evangelizzazione riprende l’appello di Francesco a riaccendere la speranza in
un mondo segnato dalla guerra, dalla disperazione e dalla sfida delle nuove
tecnologie: “Davanti a tante forme di male e di morte dobbiamo essere
annunciatori e testimoni di vita e di speranza"
-
di Marie Duhamel - Città del Vaticano
Alle 17.30 di giovedì
sera, 9 maggio, il Papa ha consegnato la Bolla di indizione del Giubileo
2025 "Spes non confundit" agli arcipreti delle
basiliche papali. La bolla è stata letta nella Basilica di San Pietro prima
della celebrazione dei Secondi Vespri della Solennità dell'Ascensione e il
Giubileo ordinario del 2025 è stato così proclamato ufficialmente.
Dall'apertura della Porta Santa nella prima delle basiliche maggiori, il
prossimo 24 dicembre, fino alla sua chiusura, il 6 gennaio 2026, Roma, città
dei Santi Pietro e Paolo, prevede di accogliere 32 milioni di persone, tra cui
almeno 100 mila fedeli a piedi, “pellegrini della speranza” che vivranno
l’esperienza del perdono e dell’indulgenza. Fondamentali in ogni Anno Santo,
come afferma a Vatican News monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del
Dicastero per l'Evangelizzazione.
Monsignor Rino
Fisichella, perdono e indulgenza sono ancora questi i significati primari del
Giubileo?
Il Giubileo conserva
ancora la sua caratteristica nel corso dei secoli, poche cose si sono
modificate nella storia del Giubileo. Il Giubileo di Papa Bonifacio VIII rimane
come l'inizio della grande indulgenza. Il termine indulgenza già secoli prima
era sinonimo di misericordia, di perdono e Papa Bonifacio offre, come scrive
lui stesso nella Bolla, non solo un perdono, un'indulgenza piena, ma
pienissima. Io credo che questo è ancora l'esperienza che può essere vissuta
nel Giubileo del 2025, cioè l'esperienza del perdono e l'esperienza della
misericordia. Dopotutto, viviamo anche una cultura che parla poco di perdono e
aumentano sempre di più i casi di rancore, casi di odio, davanti a forme di
violenza si è sempre più rinchiusi in se stessi, mentre troviamo una
opportunità, con il Giubileo, di ripercorrere con forza la grande strada del
perdono.
Perché la grazia del
perdono tutt’oggi è un cammino da intraprendere?
Innanzitutto, il perdono
è un impegno concreto dell'amore cristiano. Non possiamo dimenticare che il
perdono è frutto dell'amore. Chi ama perdona, chi non ama non è capace di
perdono e chi non perdona non è capace di amare. I due termini sono
strettamente collegati l'uno con l'altro e una conseguenza dell'altro. Quindi,
in un contesto come il nostro che culturalmente vive di violenza - non
dimentichiamo le guerre che sono presenti, ma non dimentichiamo anche quegli
atti di violenza che ogni giorno fanno parte della vita quotidiana delle nostre
comunità di ciascuno di noi soprattutto per chi vive nelle grandi città - tutto
questo deve essere un impegno che dona la speranza di accedere al perdono.
Il
sogno del Papa per il Giubileo: tacciano le armi, abolire pena di morte e
debiti per i poveri
Sappiamo quanto la
misericordia, il sacramento del perdono, sono nel cuore al Papa che propone
appunto la parola speranza. Perché?
Perché il mondo di oggi
ha bisogno di speranza. La speranza è la grande dimenticata nella nostra
predicazione. Noi parliamo sempre di fede e carità, non parliamo mai di
speranza. Eppure la speranza è il contenuto di cui il mondo oggi ha più
particolarmente bisogno. E non soltanto per la violenza, ma anche più
positivamente. Chi potrebbe intraprendere di iniziare a guardare al futuro
senza avere speranza? La speranza appartiene agli stadi della vita di ciascuno
di noi, il bambino spera l'adolescente spera, i giovani sperano, gli adulti
sperano, gli anziani sperano, la speranza accompagna gli stadi della vita delle
persone. E noi dobbiamo essere capaci di accompagnare questa speranza con dei
contenuti e con dei segni che la rendono concreta. Il Giubileo vuole essere
questo, vuole essere un ricordo e una provocazione, perché l'annuncio della
speranza, che è l'annuncio della risurrezione di Gesù Cristo, non
dimentichiamolo, per noi cristiani, lo dice l'apostolo Paolo, Cristo è nostra
speranza. La speranza nasce per noi dalla certezza della risurrezione di Gesù,
e quindi, davanti a tante forme di male, a tante forme di morte e davanti anche
una cultura di morte dobbiamo essere annunciatori e testimoni con segni
concreti di vita e di speranza.
Il Papa interpella i
fedeli, li invita a testimoniare segni di speranza, ma interpella anche chi è
al potere per dare al mondo questo impulso di speranza. Pensiamo ovviamente ai
prigionieri da liberare, ai debiti da cancellare. In quale modo il Papa interpella
i leader di oggi?
Il Papa ha delle
espressioni molto forti nella Bolla e si rivolge a quanti hanno la
responsabilità del governo delle nazioni perché possano attuare, lui dice,
delle forme di amnistia, usa un'espressione che si apre a tanti significati e a
tante possibilità e chiede di condonare il debito che i Paesi poveri hanno
contratto verso gli istituti internazionali. E chiede anche che si abbia un
occhio di riguardo per quanti muoiono di fame mentre si spendono risorse
finanziarie destinate alla violenza della guerra. Ci sono diversi appelli che
si coniugano anche con l'impegno concreto dei singoli cristiani, perché il Papa
dice di non dimenticare che tutti coloro che operano per la pace con le loro
mani, costoro sono veramente beati, cioè costoro fanno parte del Regno di Dio.
Francesco:
c’è bisogno di speranza in questo mondo deturpato da guerre e egoismi
In "Spes non
confundit" Francesco parla anche del Giubileo come spostamento
verso Roma, mettendosi in cammino verso le tombe degli apostoli Pietro e Paolo.
Qual è l'importanza di questo spostamento fisico?
Il pellegrinaggio è uno
dei segni che appartiene alla vita della Chiesa, ma il pellegrinaggio è anche
l'icona della vita di ogni persona, credente o non credente. Spesso noi siamo
degli erranti, cioè andiamo, ma non abbiamo una meta, ed è quello che distingue
invece il pellegrino. Il pellegrino ha una meta davanti a sé e la vita non può
essere quella di un errante che non ha una direzione e non ha un senso. La vita
deve avere un senso, deve avere una direzione, ecco perché diventa un
pellegrinaggio. Il pellegrinaggio appartiene, soprattutto al mondo giovanile,
oggi. Il mondo giovanile è entusiasta di mettersi in cammino. Lo vediamo ogni
qual volta ci sono delle iniziative per dei pellegrinaggi e lo si può
constatare quotidianamente. A Roma attendiamo circa 100 mila persone, 100 mila
pellegrini che verranno a piedi e compiranno il loro pellegrinaggio camminando
da diversi Paesi e mostrando come sia vero il significato stesso della parola
pellegrino, cioè colui che attraversa i campi, colui che attraversa i confini,
perché i confini sono superati dal senso di unità di tutto il genere umano e
della fratellanza che ci deve accomunare tutti. E il pellegrinaggio alla tomba
di Pietro e Paolo per i credenti è un essere confermati nella fede, noi viviamo
un momento di crisi della fede davanti agli occhi di tutti. Il pellegrinaggio
può essere veramente uno strumento per riflettere sulla nostra esistenza, per
ritornare in noi stessi e per capire che abbiamo veramente bisogno del Signore
Gesù.
Stava parlando dei
giovani, c'è un'altra parola che il Papa spinge, che mette avanti, ed è la
pazienza. Perché questa pazienza è importante alla luce della speranza?
Il Papa scrive che
nell'epoca di Internet la pazienza è scomparsa del tutto dalla nostra vita.
Vogliamo tutto e subito e questa è la nuova cultura digitale tra i suoi aspetti
negativi. La pazienza a cui il Papa richiama è un profondo contenuto biblico, la
pazienza non vuol dire subire o sopportare, la pazienza biblica vuol dire ben
altro, vuol dire avere il coraggio di affrontare le situazioni e quindi vuol
dire avere la capacità di saper attendere. La speranza parla di attesa e quindi
l'attesa richiede da parte di ciascuno di noi anche quel sentimento di pazienza
che è la tenacia con la quale vediamo lo scorrere del tempo, ma non veniamo
meno nella certezza della speranza che ci è stata data.
Come vivere questo
momento di Giubileo che arriva in pieno cammino sinodale? In che modo Sinodo e
Giubileo sono legati?
Innanzitutto perché il
Sinodo e il Giubileo sono un cammino, un cammino comune, un cammino di tutto il
popolo di Dio. Il Giubileo nasce per un movimento di popolo, il Giubileo non
nasce perché il Papa ha voluto un Giubileo, anzi, Bonifacio VIII neppure sapeva
che cosa fosse un Giubileo e abbiamo i documenti che attestano proprio questo.
Quindi, è il popolo di Roma che ha chiesto il Giubileo e il cammino sinodale è
il cammino di un popolo, è un popolo in cammino per annunciare la speranza e la
certezza della speranza con la risurrezione del Signore. Ambedue hanno lo
stesso scopo è quello di portare il Vangelo dell'annuncio della risurrezione di
Gesù Cristo, che è la nostra speranza.
Il 2025, anno del
Giubileo e i cristiani festeggeranno tutti Pasqua lo stesso giorno. Quest'anno,
il Papa ne parla nella bolla, sono anche i 1700 anni del Concilio ecumenico di
Nicea. Come questo Giubileo si propone di essere occasione per andare avanti nell'unità
tra i cristiani?
Il Papa dice che la
fortuna di celebrare il prossimo anno la Pasqua tutti insieme diventa anche una
opportunità per far comprendere che le diatribe del passato tante persone oggi
non le comprendono più. E quindi sarebbe necessario uno sforzo comune per arrivare,
almeno tutti i cristiani, a celebrare la Pasqua nello stesso giorno. Ma questo
era anche un dibattito presente a Nicea. A Nicea si discusse anche della data
di Pasqua. Ecco, io penso e spero, da questo punto di vista sono convinto che
la celebrazione dell'anniversario del 1700 anni del primo Concilio della storia
della Chiesa, possa diventare anche un impegno ecumenico molto forte per tutti
i cristiani. Innanzitutto, perché Nicea, nonostante le diatribe, le difficoltà,
le lotte, le divisioni, Nicea però scrive per la prima volta la professione di
fede utilizzando l'espressione "Noi crediamo". Fino a quel momento
tutte le professioni di fede che noi abbiamo dicono "Io credo",
perché sono le formule di fede battesimale. Per la prima volta la Chiesa a
Nicea prende consapevolezza di quello che è il noi della Chiesa e quindi un noi
che nel corso dei secoli forse è stato dimenticato, forse ha subito anche delle
menomazioni, certamente dobbiamo constatare delle divisioni, ma la
consapevolezza, la responsabilità, davanti al mondo di essere noi Chiesa, noi
che crediamo, noi che speriamo, noi che diamo testimonianza della risurrezione
del Signore Gesù, non può venir meno.
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