lunedì 27 maggio 2024

UN PANE DA CONDIVIDERE

 Un dramma cristiano è il pane senza la solidarietà.

Nelle fedi è da sempre simbolo di solidarietà. Mangiarne insieme significa condividere. Non averne nega, spesso, anche il diritto al nome e alla parola: evidenze di vuoto umano e spirituale


- di Andrea Ricciardi

 Mangiare insieme

Prendiamo il tema della tavola in comune che tocca i primi secoli del cristianesimo. La tavola unisce, nella memoria della cena, ma anche nell’agape condivisa, gente che si dice cristiana, di provenienza sociale e religiosa differente. Ebrei e non ebrei, gente di ceto diverso: le diversità, però, si fanno evidenti alla tavola comune, non solo per gli interdetti alimentari, ma per gli usi delle varie classi sociali e anche della qualità del cibo. A Corinto la comunanza di tavola suscita problemi gravi: si fatica a mangiare insieme.

Mangiare insieme vuol dire riconoscersi dello stesso mondo e solidali nella stessa famiglia. Ha avuto successo nei decenni dopo il Vaticano II un versetto della Didaché, testo tra la fine del I secolo e l’inizio del II, perduto e ritrovato a fine Ottocento: «Se condividiamo il pane del cielo, come non condivideremo quello della terra?». Il pane evidenzia distanze e divisioni, come pure la volontà di fraternità.

Condividere il pane della terra non è facile e spontaneo, come si vede anche in antiche comunità entusiaste come quella dei corinti. Paolo scrive, ammonendoli: «Ciascuno, infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame e l’altro è ubriaco. Non avete le vostre case per mangiare e per bere?» (I Cor 11, 21-22). Ci sono quelli che consumano il proprio cibo senza condividerlo con gli altri, nota l’esegeta Richard Hays. Per Paolo è un’umiliazione dei fratelli poveri e un oltraggio all’unità della Chiesa. La tavola, luogo d’intimità e di gusti e abitudini di gruppo, mette in luce il classismo dei vari gruppi sociali. Paolo lotta perché la comunanza alla tavola esprima l’uguaglianza e la fraternità dei cristiani.

La tavola è una prova per la fraternità.

 Plinio il Giovane, morto circa nel 114, illustra il classismo a tavola, quando parla di un ospite raffinato che esalta: «Per sé e per pochi imbandiva cibi ricercati, per tutti gli altri cibi di poco valore e dozzinali. Anche il vino in piccole bottiglie aveva suddiviso in tre categorie… l’una era per lui e per noi, un’altra per gli amici meno importanti (perché egli gradua le amicizie), l’ultima per i liberti suoi e nostri».

Le religioni, nella loro storia, con tutte le diversità dei tempi e delle situazioni, hanno dato il pane a chi aveva fame o hanno spinto i loro fedeli a darlo. Ma sono state sfidate dalla distanza, dal senso di superiorità, dal disprezzo, quando - lo dice Gregorio - non basta dare il pane ma bisogna dare la parola, che sola costruisce fraternità. Anche perché il povero ha bisogno di parlare e di essere chiamato per nome come ognuno, perché la povertà si accompagna alla solitudine.

Le vicende dei senza fissa dimora che popolano le nostre città e che hanno storie tanto diverse, sono quasi marcate da solitudine profonda. Senza fissa dimora e senza parole. Chi ha esperienza di questo mondo che popola le nostre città -a Roma ce ne sono circa 8.000 con storie e motivazioni diverse - sa bene come la deprivazione di quasi tutto (anche se talvolta si dorme all’aperto anche per motivi personali) sia accompagnata da un grande silenzio, mancanza di parole, dialogo, senza mai essere chiamati per nome.

Chi ha esperienza di questo mondo conosce la fame di parole e di conversazione che taluni hanno, espressa anche nella volontà di raccontare storie.

Universalità del pane.

Il pane, nel sentire comune, ha conservato per secoli un valore simbolico e sacro, con l’idea, viva fino a ieri in varie famiglie, che il pane non debba andare buttato. Ricordo della sacramentalità dell’Eucarestia, coscienza legata al fatto che è un alimento prezioso. C’è, rispetto al pane, così basilare nella dieta di molti, l’idea di una sua destinazione universale. David Maria Turoldo, in una raccolta di poesie, Il sapore del pane, scrive: «l’ultimo pane è per chi ha fame». È la tradizione che biso-gna lasciare qualcosa, un po’ di pane, per chi verrà. Il mio pane non è tutto mio. Una ribellione all’appropriazione totale del pane.

Pablo Neruda ne canta l’universalità: «Il pane… / di ogni uomo, / ogni giorno / arriverà perché andammo a seminarlo / …non per un uomo / ma per tutti, /…per tutti i popoli / e con esso ciò che ha / forma e sapore di pane / divideremo: / la terra, / la bellezza, / l’amore, / tutto questo ha sapore di pane». Pane non per uno solo, ma per ogni uomo, per tutti. Il sapore del pane è quello di una terra condivisa assieme all’amore e alla bellezza. Sembra quasi che il pane si trascenda. D’altra parte, pane significa anche intimità familiare. Edith Bruck, ragazza ebrea, ungherese e contadina, strappata dalla sua povera casa, mentre i gendarmi ungheresi irridevano il padre che aveva sul petto le medaglie di guerra, e stanno per portare gli ebrei nel ghetto e poi allo sterminio… sente la madre che, nell’istante della deportazione, grida: «Il pane, il pane!». Il ricordo della madre e della vita familiare del villaggio ungherese, discriminati tra i poveri, diventa il pane perduto, un romanzo-memoria.

Il sapore del pane.

Il sapore del pane è anche quello dell’intimità, ma allo stesso tempo il pane chiama a essere condiviso oltre, in solidarietà. Questo è il dramma che ha spaccato il cristianesimo. Il quale ha colto, in taluni momenti e personaggi, il valore di solidarietà che promana dal pane. Ma anche vissuto il divorzio tra pane e parola e ha generato un’elemosina univoca, che non crea solidarietà, incapace di cogliere la voglia di riscatto del mondo povero.

Il cristianesimo orientale, meno organizzato dei cattolici in opere caritative, ne ha colto il dramma. Olivier Clément, occidentale ma ortodosso, ha parlato di divorzio tra le aspirazioni di riscatto del mondo dei poveri e la Chiesa: un divorzio all’origine del conflitto tra movimento socialista e comunista, che proponeva una redenzione sociale e la Chiesa stessa.

Il filosofo russo Berdjaev, che ha vissuto la rivoluzione bolscevica, critica il prometeismo marxista, ma anche l’individualismo che separa fede e giustizia sociale. Tocca il tema del pane e della solidarietà con una profondità straordinaria: «Quella del pane per me è una questione materiale; ma la questione del pane per il mio prossimo, per gli uomini di tutto il mondo, è una questione spirituale e religiosa. La società dev’essere organizzata in modo tale che vi sia pane per tutti; soltanto allora la questione spirituale si porrà davanti all’uomo in tutta la sua profonda essenza».

Alzogliocchiversoilcielo

 

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