Le nuove bugie sull'ambiente servono a bloccare le politiche per il clima
Il negazionismo tende a spostarsi dal fenomeno del cambiamento climatico in sé ai rimedi proposti.
Dietro a molte campagne sui social media ci sono anche le compagnie petrolifere
- di Gianluca Schinaia
E se fossero i nostri stessi governi ad
affamarci, distruggendo i raccolti per far crescere i prezzi del cibo, usando
come scusa questa storia dei cambiamenti climatici? O se invece questo “climate
change” sia solo un'espressione straniera che condanna a morte i nostri valori
culturali? Le fake-news sui dati climatici, il complottismo sull’economia
circolare, la diffidenza per la scienza ufficiale: le bufale su tutto ciò che
riguarda le motivazioni di una quanto mai più urgente rivoluzione socio- economica
in favore della sostenibilità sono ancora diffuse. Secondo un rapporto della
coalizione Climate Action Against Disinformation (CAAD), la disinformazione
online sui cambiamenti climatici continuano a prosperare. Nell'ultimo anno,
secondo la ricerca, i post con l'hashtag #climatescam (“truffa climatica”)
hanno ottenuto più like e retweet sulla piattaforma social X rispetto a quelli
con #climatecrisis o #climateemergency.
Tra i motivi principali
di questo successo della propaganda negazionista sui cambiamenti climatici ci
sono il grande appeal delle fake news, il ruolo delle echo chambers (le camere
dell’eco), la spinta consapevole alla disinformazione promossa dalle lobby
delle energie fossili. Ecco ad esempio perché la metà degli statunitensi non
crede che i cambiamenti climatici siano legati all’attività dell’uomo, e il 15%
tra loro è addirittura convinta che ci sia una grande cospirazione dietro
l'azione climatica. Tutto ciò nonostante il 99% dei climatologi a livello
mondiale affermi che il cambiamento climatico sia reale e causato dall’uomo,
così come ha ribadito la più alta autorità scientifica al mondo sul tema
climatico: l’IPCC.
E se il problema fossero
proprio loro, gli esperti? Se quest’ansia climatica non fosse altro che colpa
degli scienziati del clima che hanno interessi a noi ignoti per diffondere dati
falsi, non sarebbe giusto metterli a tacere nel mondo digitale inondandoli di
insulti? Secondo il rapporto di CAAD, circa il 73% degli scienziati del clima
che appaiono regolarmente sui media ha subito attacchi online. È parte del
problema dell’oggettività informativa, oggi sempre più parziale nel mondo
digitale. Spiega Emma Frances Bloomfield, docente dell’Università del Nevada in
Texas, che molte persone fanno leva su informazioni cospirazionistiche dato che
«dubitano del cambiamento climatico perché dubitano delle autorità
scientifiche. Prendono decisioni sull'ambiente non in base ai fatti o alla
scienza, ma in base ai loro valori o ad altre cose che sono importanti per
loro». E infatti, come spiega la scrittrice Naomi Klein, «non è l'opposizione
ai fatti scientifici del cambiamento climatico a guidare il negazionismo, ma l'opposizione
alle implicazioni concrete di questi fatti». Segue Bloomfield: « Nella storia
del cambiamento climatico, noi siamo i cattivi, o almeno parzialmente colpevoli
di ciò che sta accadendo all'ambiente, e questo ci impone di fare molti
sacrifici: è più comodo proporre il dubbio che la certezza».
Molto dipende dalle
proprie convinzioni politiche. Al giorno d'oggi, tutto ciò che suona ambientale
o sostenibile è identificato come “verde”, e per molti partiti conservatori il
“green” è una forma di “rosso”, inteso come identità di una fazione politica
sinistroide. È quindi più semplice identificare il “green” come vessillo di un
nemico da sconfiggere piuttosto che di un problema da risolvere. Ecco uno dei
motivi della popolarità delle fake news sul clima: strumenti oggi comuni per
diffondere le idee che stanno minando la lotta contro i cambi climatici,
secondo quanto riferisce la Royal Swedish Academy of Science.
Nel 2023 compagnie
petrolifere come Shell, ExxonMobil e BP hanno speso tra i 4 e i 5 milioni di
dollari in annunci su Facebook relativi a temi sociali e politici, secondo
quanto riporta CAAD. Se però qualche anno fa i negazionisti erano chiamati tali
perché negavano l’esistenza del climate change, oggi invece cercano di
screditare le politiche e le soluzioni necessarie per affrontare la crisi
climatica. Il Center for Countering Digital Hate ha conteggiato i messaggi del
“nuovo negazionismo” che, come riporta il sito Scienza in rete, sono passati da
un 35% del totale nel 2018 a un 70% nel 2023. Al contempo, quelli relativi al
“vecchio negazionismo” variano dal 65% al 30%. Non si tratta solo della spinta
pubblicitaria ad idee avverse alla sostenibilità: parte del problema della
persuasione è il fascino genuino delle fake news. Infatti, un altro studio
pubblicato su Nature Human Behavior rivela che la disinformazione sul
cambiamento climatico è più persuasiva dei fatti scientifici.
Perché? Gioca con le
emozioni delle persone e coinvolge elementi di appartenenza sociale legati alla
propria psicologia. Infatti, le convinzioni ideologiche creano disaccordo sulla
percezione della crisi climatica e il disaccordo causa la sfiducia nei dati
scientifici relativi al cambiamento climatico. A questi elementi si sommano
difficoltà oggettive: ad esempio, la conoscenza di un quadro complesso per
analizzare a fondo le sfide della sostenibilità. Oppure il fatto che le
massicce alterazioni del clima non hanno un impatto sulla percezione
quotidiana. E per risolvere queste problematiche l’intelligenza artificiale non
sarà di grande aiuto: « Abbiamo già un problema enorme di disinformazione»,
afferma Lauren Cagle, docente di retorica e studi digitali all'Università del
Kentucky. « I modelli linguistici di grandi dimensioni come ChatGPT sono sul
punto di farlo esplodere ancora di più». Infatti, alcuni ricercatori
dell'Università del Wisconsin- Madison hanno scoperto che il tipo di
informazioni fornite da GPT-3 dipendeva dall'interlocutore.
Per i conservatori e le
persone meno istruite, l’IA generativa tendeva a usare parole associate a
emozioni negative e a parlare degli effetti distruttivi del riscaldamento
globale. Per coloro che sostenevano il consenso scientifico, era più probabile
che parlasse di cosa si può fare per ridurre l'impronta di carbonio, come
mangiare meno carne o andare in bicicletta. Insomma, il chatbot tendeva a
compiacere le inclinazioni dell’interlocutore: qualcosa di simile a come
funzionano i feed sulle pagine social. Nonostante questi difetti, l'uso dei
chatbot per aiutare le persone a conoscere i cambiamenti climatici può avere
dei lati positivi. In una normale conversazione tra esseri umani sono in gioco
molte dinamiche sociali, mentre all’IA generativa è riconosciuta un’oggettività
che nessun uomo potrà incarnare. E poi da poco esiste un chatbot che mira
specificamente a fornire informazioni di qualità sul cambiamento climatico: si
chiama ClimateGPT, un modello linguistico open-source di grandi dimensioni che
è stato addestrato su studi e dati relativi al clima.
Oltre all’intelligenza
artificiale, sarà utile sdrammatizzare. Come spiegava in un convegno
organizzato dal Centro Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici John Cook,
esperto di scienze cognitive presso il Melbourne Centre for Behaviour Change, i
giochi e l'umorismo applicati al pensiero critico sono strumenti potenti per
riconoscere e smontare le tecniche retoriche: « Le persone capiscono meglio e
di più se sono coinvolte nel pensiero critico. Una delle tecniche più efficaci
è quella di coinvolgere attivamente le persone, con app e giochi per
smartphone, e renderle protagoniste delle attività necessarie a smascherare il
negazionismo».
Un altro approccio
promettente è il “deep canvassing”, che cerca di persuadere le persone
attraverso conversazioni individuali e non giudicanti. Questo metodo consiste
nell’ascoltare le preoccupazioni delle persone e aiutarle a elaborare i loro
sentimenti contrastanti. Parlare di fatti locali e di persone che si conoscono
davvero aiuta anche i potenziali negazionisti ad aprirsi al dialogo. Per questo
ottenere informazioni da amici, familiari e altre persone fidate possono essere
davvero utile come conclude Bloomfield: «Non sono necessariamente autorevoli
come l'IPCC, ma ti aiutano a connetterti con quelle informazioni: ti fidi di
quella persona, quindi ti fidi delle informazioni che sta condividendo». Il
buon vecchio dialogo umano, che proprio all’alba della quarta rivoluzione
industriale rimane necessario e sempre più utile per superare gli steccati
ideologici issati perfino su temi di interesse assoluto: come il futuro
dell’umanità.
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