Nel tempo
della grande complessità
Pubblichiamo
ampi stralci della Lectio doctoralis del professor Mauro Ceruti pronunciata in
occasione del conferimento della laurea honoris causa da parte dell’Università
di Foggia il 16 maggio scorso.
Per
la prima volta la fraternità si definisce in un orizzonte “concretamente
universale”. Nessuno si può salvare da solo Siamo tutti sulla stessa barca, la
Terra
Stiamo
scoprendo di abitare un mondo indisponibile, che resiste al nostro progetto di
dominio. E che diventa sempre più incontrollabile
Dobbiamo
indossare occhiali diversi e rigenerare il pensiero, oltre la crisi cognitiva:
le conoscenze non possono più essere separate, c’è un legame irriducibile tra
tutte le cose
-
di MAURO CERUTI
Già
negli anni Novanta del secolo scorso, a dispetto di chi profetizzava la fine
della Storia, mi pareva urgente riconoscere che eravamo entrati in un’età di
crisi, di rumore e furore, di progressi e di regressi, e anche,
correlativamente, nel giro di boa dei cinque secoli di planetarizzazione
dell’umanità, con la tessitura di una sempre più stretta interdipendenza. In
modo ineludibile, la sfida della complessità emergeva dal passaggio d'Epoca che
sconvolgeva il nostro tempo. Oggi sta emergendo una nuova condizione umana,
attraverso un inedito e simultaneo aumento di potenza tecnologica e di
interdipendenza planetaria. Nel mondo globale tutto è connesso, tutto è
interdipendente con tutto. In una circolarità continua, in cui tutto è sia
causa che effetto.
È
ciò che stiamo vivendo attraverso le crisi globali (la pandemia, il
riscaldamento globale, la guerra…), che ci rivelano la complessità del nostro
mondo, in cui ogni evento locale può comportare conseguenze che si amplificano
su scala globale, e in cui perciò tutto può cambiare in modi improvvisi,
imprevedibili. Il “battito d’ali di una farfalla” nel cielo della regione di
Wuhan, in Cina, può avere effetti importanti sul “tempo” che farà nel mondo
intero, pochi giorni dopo… Un virus microscopico ha reso macroscopica la
complessità, l’interdipendenza del mondo globale, la multidimensionalità,
l’incertezza, l’intrico dei problemi. Il sipario sulla complessità si è
rialzato. E, questa volta, non è stata solo l’esperienza di pochi scienziati in
un laboratorio. La complessità traspare dall’esperienza delle faglie sistemiche
del nostro mondo, che tutti stiamo facendo nella vita ordinaria e quotidiana. M
a dobbiamo riconoscere qualcos’altro di ancora più radicalmente inedito. La
rilevanza delle tecnologie aveva diffuso l’illusione che ci saremmo sempre più
affrancati dalla natura. Non è stato così. Le società, certo, sono sempre più
indipendenti dagli ecosistemi locali. Ma la sopravvivenza stessa dell’intera
umanità rimane strettamente interdipendente all’interno di un “unico immenso
ecosistema globale”. Nel momento della nostra massima potenza tecnologica,
siamo portati a riconoscere che non siamo esterni al mondo che conosciamo, che
abitiamo e su cui agiamo, ma che siamo una parte che interagisce con altre
parti. Siamo entrati in una nuova era della storia della Terra, dai geologi
definita Antropocene: la Terra è diventata un unico sistema dinamico complesso,
autoregolato, con componenti fisiche, chimiche, biologiche e anche umane:
perché l’umanità è diventata una grande forza della natura.
A
causa di questo “groviglio di inestricabile complessità”, è finita per sempre
la possibilità di distinguere tra storia umana e storia naturale. E si riduce
bruscamente la differenza di magnitudine tra la scala della storia umana e la
scala temporale geochimica e geofisica, al punto di potersi invertire: il
nostro ambiente potrebbe oggi cambiare più rapidamente della nostra cultura,
peraltro proprio per l’impatto della nostra stessa cultura. Le “catastrofi”
ricorrenti e improvvise legate al riscaldamento globale lo stanno manifestando.
Scopriamo di abitare un mondo “indisponibile”, che inficia il progetto moderno
di un dominio umano sempre maggiore: un mondo diventato indisponibile proprio
per l’incremento esponenziale della quantità di informazioni prodotte e
disponibili, nonché per l’intensificazione dei fenomeni di interazione e di
retroazione, sul piano dei rapporti umani e sociali e sul piano dei nostri
rapporti con la natura. Il progetto di controllo sul mondo ha incrementato
l’incontrollabilità del mondo. Una possibilità segna oggi la nostra cultura:
quella di riflettere sulla complessità dell’identità umana, composta di tante
diversità, e sulla sua storia profonda. Non c’è stata “una” umanità. Ci sono
state diverse umanità, diverse metamorfosi dell’umanità. La nostra umanità si
trova nella soglia agonica di una nuova metamorfosi, resa necessaria
dall’inedita possibilità di autosopprimersi. E la conoscenza delle metamorfosi
passate ci è indispensabile per mettere a fuoco la metamorfosi presente. Oggi
possiamo pensare che la chiave per comprendere e rigenerare la condizione umana
è la sua incompiutezza. E incompiutezza significa che gli esiti futuri della
condizione umana non sono inscritti di necessità in una qualche sua “essenza”
definitiva. L’intero processo di ominazione, a partire dalle specie ominidi
nostre antenate, si è compiuto in una specie incompiuta, Homo sapiens.
La
storia umana non è stata il dispiegamento di un destino già dato, bensì il
teatro in cui si è svolta una creazione di possibilità, una creazione di nuove
forme di umanità. Nella storia si sono succedute e intrecciate diverse forme di
umanità.
Abitare
la complessità richiede la capacità di indossare “occhiali diversi”. Ed è sul
terreno cruciale dell’educazione che si giocherà la partita per realizzare il
cambiamento di paradigma che il nuovo tempo esige. È la sfida di una nuova
Paideia. Dobbiamo innanzitutto prendere consapevolezza di una profonda crisi
cognitiva. Questa crisi concerne la difficoltà di pensare la complessità del
nostro mondo e del nostro tempo, in cui tutto è connesso. Infatti, viviamo un
paradosso. Lo rivelano drammaticamente le crisi globali che stiamo vivendo. Più
aumenta la complessità del nostro mondo, più aumenta la tentazione della
semplificazione. Più la complessità si impone come sfida ineludibile alla
nostra esperienza e alla nostra conoscenza, più essa tende a essere negata e
rimossa. L a tendenza alla semplificazione ha radici storiche e culturali
profonde nella nostra tradizione culturale. Questa tradizione ha cercato di
conoscere le cose nella loro separazione: innanzitutto la separazione fra ciò
che è umano e ciò che è naturale, tra noi e le cose che conosciamo, tra il
soggetto e l’oggetto; poi la separazione delle cose dal loro contesto e la
scomposizione delle cose in tante parti elementari, “semplici”; e infine la
separazione del sapere stesso in tante discipline, sempre più chiuse ciascuna
in se stessa e fra loro lontane. C osì, l’ostacolo alla formulazione stessa dei
problemi complessi del nostro tempo si annida proprio nel modo in cui la
conoscenza è prodotta, organizzata e trasmessa. Continuano a essere separate conoscenze
che dovrebbero essere interconnesse, perché interconnessi e non separabili sono
i molteplici aspetti dei problemi da formulare e da affrontare. Si isolano
singoli aspetti di un problema complesso, e si conferma l’illusione di poterli
affrontare separatamente con semplici soluzioni tecniche. Le soluzioni cercate
e proposte sono dunque il più delle volte, esse stesse, parte e causa del
problema. I modi di pensare che utilizziamo per trovare soluzioni alle crisi,
come ai problemi più gravi della nostra età globale, costituiscono, essi
stessi, uno dei problemi più gravi che dobbiamo affrontare. Perché sono modi di
pensare che frazionano ciò che nella realtà è intimamente connesso. P erciò,
una nuova Paideia deve volgersi a rigenerare il pensiero, laddove il progresso
delle conoscenze nei binari della parcellizzazione suscita una regressione del
pensiero stesso, che rischia di fossilizzarsi nell’esercizio “automatico” delle
mansioni o delle tecniche di gestione. Ed ecco perché è ancora più preoccupante
che da questa regressione e semplificazione del pensiero oggi possano essere
investite proprio la scuola, e proprio la pedagogia. La complessità della
condizione umana globale ci sfida a generare una Paideia che contenga in sé il
senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa. Una Paideia che
aiuti a comprendere che sapere è entrare nel movimento delle cose, nel gioco
dei vincoli e delle possibilità che le generano e le trasformano; che sapere
non è tenersi a distanza da ciò che si sa e scomporre ciò che si sa, ma
preservare ciò che si sa nei suoi intrecci multipli; che sapere è favorire la
presa di coscienza dell’irriducibile interconnessione dei saperi,
interconnessione che corrisponde già alla complessità del mondo. Una Paideia
coerente con la visione della relazione cosmo- antropologica in cui l’uomo non
è separabile dalla natura, ma riconosciuto come parte integrante di un processo
complesso di co-evoluzione. Una Paideia che fornisca la consapevolezza
adeguata a concepire la scienza e la tecnica non come gli strumenti
“prometeici” per un progresso meramente quantitativo, ma come gli strumenti per
costruire un’alleanza con la natura, nella natura, e favorire il miglioramento
sostenibile ed equo della condizione umana. Una Paideia che riconosca che la
ricerca di un nostro rapporto coevolutivo con tutti gli attori del mondo,
viventi e non viventi, è la precondizione per la nostra stessa sopravvivenza, e
per la possibilità di delineare un futuro vivibile e fecondo. Una Paideia che
riconosca l’indivisibilità della vita umana, da intendersi, allo stesso tempo,
terrestre, biologica, psichica, sociale, culturale, spirituale. Una Paideia,
infine, che riconosca l’indivisibilità e nello stesso tempo la pluralità
dell’umanità.
Oggi,
per la prima volta nella storia dell’umanità, la fraternità si definisce in un
orizzonte “concretamente universale”. Nessuno si può salvare da solo. Il
progetto moderno di dominio della Terra e di emancipazione dalla Terra, per una
eterogenesi dei fini, ci ha fatto tutti insieme riatterrare… Siamo sulla stessa
barca, la Terra.
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