Una riflessione di p. Giuseppe Oddone, assistente ecclesiastico di AIMC e UCIIM sul grande protagonista della letteratura italiana
- di p. Giuseppe Oddone
Seicentocinquanta anni fa, nella notte fra il
18 e il 19 luglio del 1374, moriva ad Arquà, vicino a Padova, Francesco
Petrarca. Uno o due giorni successivi avrebbe compiuto settant’anni, essendo
nato ad Arezzo il 20 luglio del 1304.
È giusto ricordarlo in
questo anniversario perché è stato un grande intellettuale, ma soprattutto un
grande poeta, che si è ispirato come Dante ai valori cristiani. Dante
appartiene pienamente alla civiltà comunale e nella Divina Commedia compie un
viaggio dal mondo umano al mondo divino, dal tempo all’eternità, da Firenze al
popolo giusto e sano del Paradiso, e dopo lo sbandamento giovanile della selva
oscura, nel suo desiderio di riformare la società e la Chiesa, orienta
saldamente la sua vita verso Dio, pur sapendo che le passioni terrene possono
ancora tentarlo e prega la Vergine, tramite San Bernardo, che conservi sani
fino alla morte tutti i suoi affetti e lo protegga dalle inclinazioni del senso
e dalle passioni.
Anche il Petrarca, che
ebbe una formazione cristiana ed aveva ricevuto per interessi economici gli
ordini ecclesiastici minori, nel suo Canzoniere compie un viaggio, ma è un
viaggio tutto terreno, nel quale unisce attraverso al filtro della memoria
tanti ricordi ed episodi della sua esistenza, legati al senso tormentoso della
caducità di tutte le cose terrene; ma esse lo affascinano, lo attraggono, lo
legano. Vorrebbe che avessero una perenne stabilità e soffre e piange e ragiona
sul loro svanire.
È il poeta di quanto è destinato inesorabilmente a passare e a morire. Questo sentimento che affiora in tutte le sue opere, era già radicato nell’animo del Petrarca ancor prima dell’inizio delle poesie del Canzoniere, e gli proveniva sia dalla lettura dei poeti latini, come Virgilio e ad Orazio, sia dalla sua conoscenza della Bibbia, in particolare dei salmi, sia dalla sua sensibilità personale e dal suo carattere riflessivo e malinconico. Laura Come voleva la tradizione poetica del suo tempo, il Petrarca inquadra il suo sentimento ed il suo pensiero in una cornice amorosa, proiettandoli in una donna, Laura, di cui si innamora, anche se non corrisposto. Laura come creatura umana rappresenta la bellezza femminile, l’aspirazione alla pienezza di un amore contraccambiato, con tutta la gamma di emozioni che vanno dall’ammirazione, alla contemplazione, al desiderio, al rimpianto, al sogno, alla delusione, alla malinconia, alla ricerca di solitudine. Ma Laura richiama anche il valore della cultura classica e della poesia, a cui il poeta dedica la sua vita, perché il nome è collegato al lauro, la pianta sacra ad Apollo, il Dio delle Muse, ed anche il successo e la gloria poetica cui il Petrarca aspirava, simboleggiata dalla laurea, la corona di alloro con cui venivano incoronati i poeti; infine Laura diventa anche l’aura, l’atmosfera della natura che attrae con il suo fascino, nella quale egli ama immergere la sua donna e riflettere sul proprio tormento amoroso.
Il dissidio interiore
La fede cristiana, in cui il Petrarca è
cresciuto ed educato e con la quale si confronta soprattutto dopo che il
fratello Gherardo diventa nel 1343 monaco certosino, non è per lui uno
strumento di spiegazione del mondo e un centro unificatore della sua vita, ma
diventa piuttosto un fatto personale, uno stimolo alla introspezione
psicologica, alla consapevolezza della fragilità umana; egli sente il valore e
la bellezza delle realtà terrene, non orientate a Dio, e vorrebbe
impadronirsene e goderle e conservarle per sempre, nonostante siano avvertite
come realtà caduche e destinate a svanire. Di qui nasce nella sua coscienza il
senso del peccato e nello stesso tempo il bisogno di redenzione da parte di
Cristo.
Il Petrarca trova nelle
Confessioni di Sant’Agostino il libro della sua vita, ma non riuscirà mai come
Agostino a liberarsi dalle sue passioni; è legato alla terra con catene d’oro,
vorrebbe spezzarle, ma nello stesso tempo conservare e portare sempre con sé il
peso di tutto quell’oro che lo ha incatenato: cosa impossibile, gli dice il suo
maestro Sant’Agostino. Di qui la sua lacerazione interiore, il suo dissidio
talora straziante, il forte senso del peccato, il rimorso della coscienza, la
paura di fronte alla morte ed al giudizio di Dio. Cristo e Laura vengono tutti
e due contrapposti e immersi in una specie di liturgia sacrale. Il poeta si
innamora di Laura in una chiesa il venerdì santo, nel giorno in cui Cristo con
la sua passione manifesta per noi il suo massimo amore: subito sono percepiti
come due amori coinvolgenti, ma in opposizione tra loro. Nel sonetto “Movesi
il vecchierel canuto e bianco” il Petrarca descrive con simpatia un anziano
che va a Roma con ardente desiderio di fede per contemplare nel lino della
Veronica il volto di Gesù, che spera di rivedere in cielo, mentre egli va
cercando nel volto di ogni donna - e lo dice con rammarico e con un lamento
“lasso!”, ahimè, - il volto perfetto ed ideale della donna, oggetto del suo
desiderio. Il bisogno di preghiera e di salvezza. Nello stesso tempo,
consapevole del suo dramma, il Petrarca sente il bisogno di silenzio, di
solitudine, di interiorità, di preghiera. Proprio perché è consapevole di
essere peccatore e sa bene” che quanto piace al mondo è breve sogno” e “come
nulla quaggiù diletta e dura” può elevare al Padre del ciel ed a Cristo la sua
invocazione, implorare la divina misericordia come il pubblicano nel tempio:
“miserere del mio non degno affanno!” e pregare il “Re del cielo, invisibile,
immortale” che gli doni finalmente pace e salvezza: “Tu sai ben che ‘n altrui
non ho speranza”.
Vergine bella
Il Petrarca aveva posto
all’inizio del suo Canzoniere un sonetto riassuntivo in cui esprimeva il
proprio rammarico per essersi perduto dietro un vano sogno d’amore e lo
conclude con la canzone alla Vergine, perché interceda per lui al termine del
suo cammino terreno e poetico e gli ottenga la pace e la salvezza eterna tanto
desiderata. La canzone Vergine bella ha tre protagonisti: la Vergine, il poeta
nel suo dramma di peccato e redenzione, Laura, simbolo di tutte le seduzioni
mondane. Maria è esaltata con i nomi più significativi con una cadenza
litanica. La parola Vergine infatti ricorre due volte in ogni stanza o strofa,
all’inizio del primo e del nono verso; è bella, saggia, pura, benedetta,
gloriosa, unica al mondo, dolce e pia, chiara e stabile in eterno, regina del
cielo, benigna, soccorritrice dei miseri, madre, figliola e sposa di Dio. Ma in
ognuno di questi titoli dati a Maria si sente vibrare tutto l’amore del poeta
per la Vergine Maria. Per esemplificare basti l’inizio: Vergine bella che di
sol vestita, coronata di stelle, al sommo Sole piacesti sì che ‘n te Sua luce
ascose amor mi spinge a dir di te parole. Il Petrarca espone a Maria tutto
il suo dramma: la prega perché lo soccorra nella sua lotta interiore, gli dia
saggezza, lo renda degno della grazia, plachi il suo animo nell’amore di
Cristo, conceda finalmente stabilità al suo cuore travolto nel mare delle
passioni: egli teme il naufragio, la morte, la dannazione eterna. Nella seconda
parte della poesia, pur senza mai essere nominata, compare la figura di Laura:
quante lacrime sparse per lei, quanto affanno, quanto ingombro dell’anima in
una vita destinata a finire! Laura è stata per il poeta come la mitica Medusa,
lo ha reso di sasso, insensibile ai valori spirituali. Il poeta raffronta poi
Laura e la Vergine: Laura è terra, la Vergine è donna del cielo, Laura era
insensibile al suo dolore, Maria lo conosce perfettamente, Laura non poteva
aiutarlo senza infamia per lei e morte spirituale dello stesso poeta, la
Vergine invece lo può salvare accrescendo il proprio onore. Egli rivolge a Lei
il suo grido: “Miserere d’un cor contrito, humíle”, aiutami a rialzarmi,
a consacrare a te la mia vita e la mia poesia! La morte è vicina, il rimorso
dei peccati angoscia il mio cuore, raccomandami al tuo Figlio che accolga nella
pace l’ultimo mio respiro!
Con questi drammatici ed
umanissimi versi, pensando alla morte e alla intercessione di Maria si conclude
la canzone alla Vergine: Il dí s’appressa, et non pòte esser lunge, sí corre
il tempo et vola, Vergine unica et sola, e ’l cor or coscïentia or morte punge.
Raccomandami al tuo figliuol, verace homo et verace Dio, ch’accolga ’l mïo
spirto ultimo in pace. Nella pace, raccomandato da Maria e accolto nel suo
ultimo respiro da Cristo, desidera il poeta concludere la sua vita; la stessa
parola “pace”, aspirazione di ogni uomo e di tutta l’umanità, era stata
ripetuta tre volte nel verso conclusivo della canzone dedicata all’Italia,
lacerata dalle guerre. “I’ vo gridando: Pace, pace, pace!”.
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