Quali sono le opportunità
e quali i rischi
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di Luciano Moia
La
questione gender è tornata al centro del dibattito per la mancata firma del
governo italiano alla Dichiarazione europea sui diritti lgbt. La scelta di non
aderire al documento, è stato spiegato, nasce anche perché il testo aprirebbe a
“pericolose derive sul gender”, ma anche perché ricalcherebbe alcuni passaggi
del ddl Zan a proposito dell’identità di genere.
Senza
entrare nel merito di queste giustificazioni, la cui approssimazione sarà
senz’altro da attribuire alle semplificazioni di noi giornalisti che le abbiamo
riportate, occorre tornare sulla questione per capire cosa c’è in questo
multiforme arcipelago del genere e delle sue infinite connessioni, spesso
evocato, molto spesso frainteso, quasi sempre strumentalizzato per obiettivi
politici se non ideologici. Perché fa tanta paura? Perché viene indicato come
la madre di tutta l’emergenza educativa?
Ne
abbiano parlato tantissimo su questo sito (vedi la sezione dedicata proprio al
tema) e sulle pagine di Avvenire e di Noi, ma un nuovo testo appena arrivato in
libreria ci offre lo spunto per tentare un nuovo e non scontato
approfondimento. Il saggio è stato scritto dal filosofo Giuseppe Savagnone, da
tanti anni nostro collaboratore, osservatore attento dell’evoluzione culturale
di questi decenni, con un occhio puntato sulla questione antropologica. Si
intitola La sfida del gender tra opportunità e rischi (Cittadella Assisi, pagg.
133, euro 13,9) e offre un’analisi serena, equilibrata, senza demonizzazioni ma
anche senza scelte di campo all’insegna del politically correct.
Forse
per questo non piacerà né agli oltranzisti dell’allarme gender permanente, né a
coloro che vorrebbero abbattere tutte le barriere e ridisegnare completamente
la mappa del maschile e del femminile.
Savagnone,
da studioso qualificato, guarda all’evoluzione storica della sessualità e al
rapporto - delicatissimo e decisivo - tra complementarità e reciprocità
smascherato dalle teorie di genere (la cosiddetta lobby gender non c’entra
nulla). “Il paradigma della complementarità dei sessi, che implicava il primato
della diversità e una corrispondente divisione dei compiti a tutto svantaggio
delle donne, è stato sostituito da quello della reciprocità dei generi, per cui
tutto quello che è consentito ad uno, non può non esserlo all’altro. Qui ormai
è in primo piano l’eguaglianza, mentre la differenza (alla luce della pesante
eredità del passato) viene guardata con sospetto”.
Tutto
risolto quindi? È bastato far chiarezza su alcuni stereotipi ormai
inaccettabili – l’uomo che non deve chiedere mai e la donna fragile, dolce e
sottomessa – per cancellare alcuni millenni di discriminazione di genere? Purtroppo,
no, e la maggior parte delle questioni rimangono aperte. Il passaggio dalle
gender theories (gli studi più seri) alle “teorie del gender” (più estreme e
ideologiche), argomenta Savagnone, va affrontato con attenzione e spirito
critico. In questa galassia esistono posizioni problematiche legate al concetto
di decostruzione del corpo (Judith Butler), alla lettura della maternità come
fonte dell’oppressione femminile (Donna Haraway), fino alle dichiarazioni sul
“diritto del piacere” senza “anormalità” e “senza patologie” di Michel Foucault
che finiscono per cancellare la persona e per mettere a fuoco solo il piacere
che si verifica nell’incontro. Il filosofo prende in esame però anche le
posizioni più moderate, quelle che si limitano a insistere sull’irrilevanza
“del sesso biologico per la determinazione sia dell’identità di gemere sia
dell’orientamento sessuale”.
Una
posizione che, argomenta Savagnone, ha senso solo se si ammette che le persone
“alla ricerca della loro identità sessuale, non abbiano già dalla loro
struttura fisica , e in ultima istanza da ciò che sono, una indicazione
normativa, che nella stragrande maggioranza è decisiva”. Le eccezioni alla
norma iscritta nell’identità biologica esistono – come esistono appunto le
persone omosessuali e le persone transgender – e non vanno demonizzate, ma
vanno considerare appunto eccezioni e non la prova che non “esista una
qualsiasi regola iscritta nella biologia”.
Con
la stessa serenità, insieme a tante altre questioni connesse – il dibattito
sulla natura umana, il significato della corporeità, le categorie universali e
il gender fluid – l’autore affronta il tema della “famiglia” e delle
“famiglie”. Accerta il superamento della figura del padre-padrone, che nella
cultura della complementarietà aveva il suo radicamento, ammette che esiste una
parte di verità nella denuncia di alcune autrici femministe a proposito della
possibilità di cogliere in un certo paradigma del rapporto eterosessuale
l’origine di violenze e sopraffazioni, ma argomenta che “senza la peculiarità
dell’identità femminile e di quella maschile – inseparabili dal rispettivo
sesso biologico – la ricchezza dell’umano, così come oggi la conosciamo e la viviamo,
non esisterebbe”.
E
non esisterebbe neppure la famiglia in cui va sottolineata “la priorità
innegabile del modello eterosessuale”. Non significa che “non si possano dare
forme analoghe di relazione in cui la complementarità si possa realizzare in
modo meno pieno”, ma la logica a cui far riferimento è sempre quella
dell’analogia. È questo il punto decisivo per superare da un lato forme
univoche di famiglia, come nel passato, ma dall’altro per azzerare qualsiasi
equivocità (per esempio pedofilia o zoofilia).
Savagnone
ammette quindi che l’idea della famiglia arcobaleno è praticabile nel senso di
“dare spazio alle unioni tra persone che non rientrano nel paradigma
eterosessuale e che hanno l’umana esigenza di vivere una vita familiare”, ma
senza negare la peculiarità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e
donna, “anzi, proprio il riferimento a tale modello garantirebbe alle possibili
varianti di queste unioni un riferimento comune che evidenzi il loro
significato di famiglie”.
Insomma,
in questa lunga stagione di dibattito sul gender se non vanno negati alcuni
aspetti positivi, come un nuovo clima culturale di rispetto, il riconoscimento
dei diritti delle persone lgbtq+, la lotta contro il bullismo, rimangono altre
questioni gravemente problematiche come il problema della generazione con la
pretesa del diritto ai figli e più in generale l’affermazione di teorie che
pretendono di imporre una rivoluzione antropologica ed etica.
Qual
il rischio? Quello di ogni rivoluzione culturale, argomenta Savagnone, è cioè
“che le mode se ne impadroniscano e finiscano per gestirla” dando luogo a nuove
forme di totalitarismo culturale. “Allora, un movimento di idee nato
originariamente con l’intento di aprire nuovi orizzonti e di sconfiggere
l’intolleranza, può finire per diventare a sua volta una fonte di luoghi comuni
e di slogan acriticamente accettati e ritenuti indiscutibili”.
www.avvenire.it
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