- di Marco Pappalardo
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«Che
c’entra con me Carlo Acutis – dice Roberto del secondo anno di un liceo – io
non vado a Messa da due anni, il rosario lo recita mia nonna per me, e comunque
con tutta questa fede e bontà muore pure giovanissimo, perché?».
Gli
adolescenti sono i più “tosti”, i coetanei di Carlo quasi vent’anni dopo,
cresciuti a pane e social network, alcuni già con idee abbastanza chiare sulla
fede, la Chiesa e la religione, di solito non positive e al contrario rispetto
alla sua testimonianza.
Il
rischio, in effetti, è che il futuro santo, pur vicino d’età ai ragazzi, possa
apparire irraggiungibile concretamente, quando non si rischia ancor più di
farne un santino, soprattutto se mostrato attraverso lo sguardo ammirato degli
adulti.
Dopo
i due libri per adolescenti su padre Pino Puglisi e sul giudice Rosario
Livatino, che avevano avuto un buon riscontro presso le scuole grazie ai temi
della giustizia e della lotta alla mafia, quello sul beato Carlo Acutis dal
titolo “Io e C@rlo”, edito come i precedenti da Paoline, sembrava destinato
solo alle realtà ecclesiali.
Del
resto, navigare nella sua storia, è mettersi alla ricerca di Gesù verso cui
Carlo sin da piccolo ha tracciato la rotta con le vele della fede, con il
timone della Chiesa, con la mappa del Rosario.
A
7 anni la Prima Comunione, la devozione all’Eucaristia «la mia autostrada per
il cielo» e alla Madonna lo portavano quotidianamente a messa.
Invece,
così come il giovane prossimo santo, i suoi coetanei attuali mi hanno stupito!
Dall’uscita un anno fa ad oggi, infatti, quasi ogni settimana ho avuto la gioia
di incontrare studenti e docenti delle scuole primarie e secondarie italiane,
la maggior parte delle quali statali, che hanno letto il libro.
Mi
piace ascoltare le loro domande e tra le prime c’è sempre: «Perché ha scritto
questo libro?».
Rispondo
che è una bella storia e che le belle storie vanno raccontate!
«Ma
come può essere bella una vicenda in cui il protagonista muore prematuramente
così giovane?», aggiunge qualcun altro. «Perché quei pochi anni sono stati
vissuti intensamente, hanno lasciato un segno in quanti hanno incontrato Carlo,
tanto che la sua storia ha superato i confini della sua città, del nostro
Paese, raggiungendo ogni punto della Terra, e tornando indietro fino a qui,
fino a noi».
A
questo punto chiedo io agli studenti come sia possibile tutto questo e ne segue
di solito una pioggia di voci: «Era un bravo ragazzo, voleva bene a tutti,
pregava Gesù e la Madonna, aiutava i poveri, aveva tanti amici, usava internet,
era benestante ma restava umile, la sua famiglia credeva in lui…».
I
bambini di solito si lasciano andare con la fantasia e, spesso, grazie allo
stimolo degli insegnanti presentano disegni ed elaborati originali frutto della
lettura del libro, che reinterpretano in modo creativo.
I
preadolescenti sono pieni di domande, vogliono saperne di più, chiedono i
minimi dettagli della vita, sanno mettermi in difficoltà citando persino pagina
e rigo, ma ci sta questa sana curiosità.
Qui
viene in aiuto Ester, l’io del titolo del libro, coprotagonista nella finzione
letteraria, cioè una ragazza come loro, che “incontra” Carlo per un compito
assegnato dall’insegnante, facendo una ricerca online; un incontro inaspettato,
quasi uno scontro all’inizio, si trasforma in un’amicizia virtuale e virtuosa
tra adolescenti che, in un’età fatta d’incertezze e desideri, vivono questo
tempo così complesso.
Le
sue paure, i suoi sogni, le difficoltà, le risorse, i problemi a casa, la forza
degli amici, la scuola come noia, la musica come rifugio, il virtuale e il
reale sullo stesso piano, il passato che non esiste, il presente da vivere, un
futuro a cui meglio non pensare, li riportano con i piedi per terra,
percorrendo un pezzo insieme a lei e avvicinandosi allo stesso tempo al beato.
In
questo modo Carlo pian piano diventa uno di loro, non per imposizione bensì per
scelta, poiché un amico si sceglie e spesso ci viene presentato da altri, e la
frequentazione permette di conoscerlo meglio ed apprezzare pure ciò che
all’inizio sembrava più distante.
«Mi
piace – afferma Giulia della stessa seconda classe – che oltre a dedicarsi alla
famiglia, alla scuola, agli amici, allo sport, agli animali domestici, ai
viaggi, era sempre sorridente e aiutava i poveri, facendo spesso delle rinunzie
e coinvolgendo gli amici.
Tra
le sue passioni c’erano la fotografia, i video e l’informatica, il web e dal
mio punto di vista anche avere fede lo è.
Io
ammiro chi fa le cose che dice e chi crede in qualcosa o in Qualcuno!».
Originale,
umile, credente, connesso: queste le virtù di un giovane milanese “millennial”,
ormai patrimonio dell’umanità e per molti un influencer, che si dedica a chi è
in difficoltà, vive la fede nella sua pienezza senza esibizionismo, gode delle
cose semplici, usa le nuove tecnologie a fin di bene, ama la natura, non
rinuncia alle relazioni vere e mai banali.
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