Educare
ed
educarsi all’intraprendenza
-di Adriano Fabris
Voler fare
tutto nuovo, è certamente una virtù. Ma lo è solo se non si coltiva l’illusione
che sia possibile svincolarsi del tutto da quei limiti che definiscono la
propria vita. È questo che dobbiamo insegnare ai nostri giovani.
Per noi esseri
umani, tuttavia, cominciare da zero non è possibile. Infatti, il passato ci
vincola ben più di quanto pensiamo. E, in parallelo, il futuro ci sfugge, ben
al di là delle nostre intenzioni. Così l’intraprendenza, come volontà di
rompere con una situazione di fatto, si scopre, da una parte, pur sempre
condizionata da ciò che siamo stati e dal contesto in cui viviamo e, dall’altra
parte, inserita nell’orizzonte ben preciso di ciò che concretamente possiamo
fare. In una parola: l’intraprendenza, il voler fare tutto nuovo, è certamente
una virtù. Ma lo è solo se non coltiviamo l’illusione che sia possibile
svincolarci del tutto da quei limiti che definiscono la nostra vita.
La
consapevolezza di tali limiti rende prudente chi vuol esercitare
l’intraprendenza. Ma mentre la capacità d’intraprendere qualcosa di nuovo è una
predisposizione naturale, a cui solo in parte si può educare, così non è per
quella prudenza che può accompagnarla. Intraprendenti, infatti, sono coloro in
grado di sopportare, e magari di amare, il rischio della novità: condottieri,
esploratori, creativi. Essi vogliono andare oltre i limiti imposti da una certa
situazione. La prudenza, invece, permette di contenere l’attitudine al rischio,
e perciò di renderla feconda. Chi, dunque, coniuga intraprendenza e prudenza lo
fa per rendere stabile la novità che intende conseguire. Il condottiero
coraggioso, se vuole vincere, non può essere temerario. E dunque superare i
limiti non vuol dire dimenticarli. Significa sapere che si ripresenteranno e
che, rispetto a ciò, sarà necessario trovare un punto di equilibrio.
Questo,
appunto, si può insegnare. Si può insegnare la prudenza. Si può insegnare che
esistono limiti e che con essi, per realizzare qualcosa che sia non solamente
nuovo, ma guadagnato stabilmente, bisogna pur sempre fare i conti.
Certo:
insegnare ai nostri ragazzi, intraprendenti per natura, il senso del limite non
è affatto facile. A loro piace il rischio, piace l’avventura. Perché, nella
pienezza di vita che li caratterizza, è facile che si sentano quasi
onnipotenti. Cominciare da zero è la loro intenzione, più o meno consapevole;
sfidare chiunque voglia sottometterli a regole è una costante tentazione.
L’avventura diventa un’abitudine: magari per sfuggire alla noia di un’esistenza
fin troppo garantita e coccolata.
Come educare
dunque la loro intraprendenza? Come far loro capire che l’intraprendenza
diventa feconda, produttiva, solo se tiene conto fin dall’inizio dei limiti ai
quali andranno incontro? Ricette universali non ne esistono. Vale, anche in
questo caso, l’esperienza che ognuno, genitore o amico, ha fatto: purché sia
capace di ascoltare, non solamente d’imporre regole che rischiano di essere
immediatamente disattese o infrante.
Come
comportarsi, allora? Per chi fa dell’intraprendenza la sua bandiera ciò che
risulta semplicemente imposto – ben lo sappiamo – è un incitamento alla
trasgressione. Invece, se delle regole facciamo comprendere il senso, forse
allora riusciamo insieme a far capire che anche la volontà di rendere tutto
nuovo è qualcosa che si realizza solo in un contesto relazionale: in una
relazione con gli altri, con il mondo in cui si vive, con le speranze e i
progetti da realizzare. E che in questo contesto emergono non solo i limiti che
il nostro agire è destinato a sperimentare, ma anche la possibilità di
oltrepassarli.
Ben lo sanno
gli audaci. Sanno, cioè, che la fortuna aiuta la loro intraprendenza. Ma sanno
anche che la fortuna va conquistata e tenuta saldamente in mano. E che ciò
avviene solo grazie a un esercizio di prudenza. Ai nostri ragazzi questo va
detto. Affinché torni loro in mente quando, magari, vogliono compiere un
sorpasso azzardato.
Parole da meditare.
Intraprendenza
-
di Enzo
Bianchi
Nei vangeli la
virtù dell’intraprendenza assume molti volti: è l’audacia profetica di Gesù che
scaccia i venditori dal tempio (cf. Mc 11,15-19 e par.; Gv 2,14-22); è il
coraggio risoluto con cui egli persegue il suo cammino verso Gerusalemme,
raccogliendo tutte le sue forze per affrontare le difficoltà che lo attendono
(cf. Lc 9,51); è la franchezza di fronte alla quale anche i suoi avversari sono
costretti ad ammettere che egli «non ha soggezione di alcuno, perché non guarda
in faccia a nessuno, ma insegna la via di Dio secondo verità» (cf. Mc 12,14 e
par.). Ma tutti questi elementi sono approfonditi e riassunti dal «bel rischio»
della fede di cui parla Clemente di Alessandria (Protrettico X,93), riprendendo
un’espressione di Platone.
La bellezza di
questo rischio trova la sua attestazione degna di fiducia nel rischio che Gesù
stesso ha vissuto, spendendo la sua esistenza nella dedizione a Dio e agli
uomini, cioè «amando fino alla fine» (cf. Gv 13,1), anche a costo di subire una
morte ingiusta e vergognosa. È solo con l’autorevolezza propria di chi ha
vissuto in questo modo che egli ha potuto chiedere: «Se qualcuno vuol venire
dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34 e
par.). Sono parole che, nella loro paradossalità, hanno un significato semplice
e netto: chi vuole essere realmente discepolo di Gesù deve smettere di
considerare se stesso come misura di ogni cosa; deve rinunciare a difendersi e
accettare di portare lo strumento della propria condanna a morte; deve uscire
dai meccanismi di autogiustificazione e abbandonarsi totalmente al Signore.
Solo chi accetta di fare questo può conoscere Gesù Cristo e cogliere se stesso
in lui, intraprendendo così un cammino di vita piena e felice.
La miglior interpretazione di queste esigenze
la fornisce lo stesso Gesù, commentandole con l’affermazione che costituisce il
vero fulcro della «differenza cristiana»: «Chi vuole salvare la propria vita,
la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la
salverà» (Mc 8,35 e par.).
Ma noi
cristiani siamo ancora convinti che vale la pena perdere la vita per Gesù
Cristo? Ovvero: crediamo che il suo amore vale più della vita (cf. Sal 63,4),
che solo a motivo di questo amore trovano senso anche le fatiche e le
contraddizioni della vita? Ecco l’intima verità del Vangelo, ecco in cosa
consiste la vera audacia, la vera intraprendenza: perdere la nostra vita per
amore di Gesù Cristo è ciò che può giustificare ogni nostra rinuncia, è la vera
beatitudine possibile già qui e ora, nella nostra vita umanissima. Ma se non
comprendiamo questo, possiamo ancora dirci cristiani?
SPIRITO DI INIZIATIVA E INTRAPRENDENZA
PERCORSI EDUCATIVI
Lo Spirito di
iniziativa e intraprendenza è la competenza su cui si fonda la capacità di
intervenire e modificare consapevolmente la realtà.
Ne fanno parte
abilità come il sapere individuare e risolvere problemi, valutare opzioni
diverse, rischi e opportunità, prendere decisioni, agire in modo flessibile e
creativo, pianificare e progettare.
Anche in questo
caso, l’approccio per discipline scelto dalle Indicazioni non consente di
declinarla con le stesse modalità con cui si possono declinare le competenze
chiave nelle quali trovano riferimento le discipline formalizzate.
Anche questa
competenza si persegue in tutte le discipline, proponendo agli alunni lavori in
cui vi siano situazioni da gestire e problemi da risolvere, scelte da operare e
azioni da pianificare.
E’ una delle
competenze maggiormente coinvolte nelle attività di orientamento.
E’ anch’essa
fondamentale per lo sviluppo dell’autoefficacia e della capacità di agire in
modo consapevole e autonomo.
Educare
all’intraprendenza – Percorsi di crescita
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