Il
vero miracolo
si chiama desiderio
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di Massimo Recalcati
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Il
miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci può essere evocato come uno
tra i più emblematici di quelli raccontati dai Vangeli. Il miracolo consiste in
questo caso, com’è noto, nella moltiplicazione di quel poco che c’è, di quello
che resta a disposizione degli apostoli di fronte a migliaia di seguaci di Gesù
rimasti senza cibo: cinque pani e due pesci. Ma l’accento, sin da subito, non è
su quello che manca e che non sarebbe sufficiente a soddisfare la moltitudine
che si attende di essere sfamata, ma su quello che è a disposizione, su quello
che rimane, sul resto. Si tratta di un “resto” che non genera afflizione perché
diviene motore di una straordinaria trasformazione.
Dobbiamo,
infatti, provare a vedere la mancanza da due prospettive differenti: da una
parte la mancanza come penuria, deficit, minorazione, negatività; dall’altra la
mancanza come eccedenza, spinta, forza, trascendenza, plus e non deficit. È una
cifra fondamentale del magistero di Gesù: valorizzare la mancanza non come
afflizione ma come eccedenza. Dunque, quello che resta – la “pietra di scarto”
– viene elevato alla potenza di una forza generativa. Al centro del miracolo
dei pani e dei pesci non è, dunque, una semplice condizione di penuria
irrisolvibile nella quale si trova il popolo che ha seguito Gesù. Al centro è
piuttosto la forza moltiplicatrice del desiderio che non consiste nel negare
maniacalmente lo stato di penuria, quanto nel prenderne pienamente atto al fine
di trasformare il resto non in una mancanza infelice, ma in un fattore che
causa la trascendenza affermativa del desiderio. Il miracolo non consiste
allora nel prodigio, nella spettacolarità della moltiplicazione, quanto nella
fede nella possibilità della moltiplicazione, ovvero nella fede nel potere
trasformativo del desiderio. È solo questa fede che consente la trasfigurazione
miracolosa della mancanza in una “sovrabbondanza”. Come può, infatti, un resto
divenire sovrabbondante?
È
questo il miracolo del desiderio in quanto tale: convertire il resto in un
“seme santo”, come dichiara il profeta Isaia di fronte alle rovine di
Gerusalemme. L’uomo di desiderio è un uomo di fede e l’uomo di fede è un uomo
di desiderio. È il punto cardine della mia lettura di Gesù. Ma, di fatto, è
anche il centro dell’esperienza psicoanalitica: lo psicoanalista agisce tenendo
conto di quello che c’è nel soggetto – del suo “resto”, della sua poca roba –
per estrarre da esso la forza del suo desiderio bloccata nelle sue
identificazioni, nelle sue inibizioni e nei tornaconti primari e secondari dei
suoi sintomi. Non si tratta affatto di rafforzare l’Io contro il desiderio
inconscio, ma di stabilire con questo desiderio una nuova alleanza. È quello
che Freud aveva evidenziato con precisione: il metodo psicoanalitico non è una
cura tra le altre perché la sua finalità non è la guarigione medica dei
sintomi, ma la liberazione del desiderio che si trova incastrato in essi.
Guarire non significa semplicemente ricuperare delle funzioni del corpo o della
mente alterate dalla malattia, ma ricuperare la libido “ritirata nei suoi
anfratti” sintomatici rendendola nuovamente accessibile al soggetto. In altri
termini, si tratta di rendere possibile una nuova alleanza tra il soggetto e la
vocazione del proprio desiderio. È solamente la riattivazione di questa
alleanza che può determinare la guarigione, la quale, infatti, come direbbe
Lacan, riprendendo chiaramente una espressione evangelica, avviene solo in
“sovrappiù” rispetto a quella riattivazione.
Nel
miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci appare una eccedenza senza
misura che scompagina il normale rapporto stabilito dal regime necessario delle
proporzioni. Cinque pani e due pesci non possono sfamare una moltitudine di
cinquemila persone riunita, in aggiunta, in un luogo deserto, privo di contatti
con altri che avrebbero potuto portare soccorso. È, dunque, la fede nel
desiderio il miracolo che rende possibile il prodigio e non il prodigio che
rende possibile il miracolo. Ciascuno di noi sa per esperienza che quando si
attiva la fede nel desiderio l’impossibile può diventare possibile, la vita si
espande e si erotizza, acquista potenza (dynamis). Al contrario, senza
desiderio essa rattrappisce, perde il suo slancio, si contrae e declina. È la
trascendenza del desiderio la forza che apre la vita rendendola davvero viva. È
questa forza che una volta attivata genera una incentivazione ulteriore della
propria forza. È un punto sottolineato da Spinoza quando sostiene che la spinta
del desiderio tende a conservarsi solo espandendosi.
È
questo il fondamento di tutti i miracoli di Gesù: convertire quello che appare
come la negatività insuperabile della mancanza in un motore positivo capace di
generare sovrabbondanza. Non a caso egli non si accontenta semplicemente di
sfamare il suo popolo, di soddisfare il loro bisogno di mangiare. Si tratta,
piuttosto, dell’allestimento di un vero e proprio banchetto, di una festa, di
un momento collettivo di gioia perché non solo «mangiarono tutti e tutti furono
saziati», ma «dei pezzi avanzati raccolsero dodici cestini pieni e anche dei
pesci».
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