Lo
Spirito Santo ti dà il coraggio che tu e i tuoi non pensavate di avere, ma non
crea fanatici dello scontro con chi è diverso. Lo Spirito Santo crea l’armonia
della Chiesa, ma ci salva dal pericolo di diventare replicanti.
- di
Pierangelo Sequeri
Proviamo
a tirare una riga dritta, che vada a collegare un po’ ruvidamente gli spunti
che sono venuti dal papa a Verona, per questa Pentecoste. La guerra non è
figlia del coraggio: è figlia del fanatismo. In tutte le sue forme,
micro-sociali o macro-geografiche, la scelta dell’aggressione violenta cerca di
coprire la vergogna di non avere pretese confessabili e argomentabili.
Il
fanatico è un codardo in preda all’esaltazione: cerca di chiuderti la bocca,
prima che tu possa chiamare in causa la sua coscienza. Non possiamo certo dire
che, in questo momento, non ci sia bisogno di una scossa di disincanto a questo
riguardo.
Tra
fanatismo e coraggio lo spessore si è fatto sottile: praticamente inesistente.
Per fortuna che la modernità doveva essere l’età della ragione. In realtà,
dimentichi dello Spirito, abbiamo finito per scoprire anche un fanatismo della
ragione, che non ha niente da invidiare a quello della religione che già
conoscevamo. Uno dei rischi più incombenti della cosiddetta IA (“intelligenza
artificiale”) è proprio il fatto che essa rappresenta, virtualmente, il modello
perfetto di una ragione fanatica (ossia, quella che non vuole sentire altre
ragioni se non le sue).
Il
politicamente corretto, l’ossessione woke, la cancel culture, la manipolazione
gender, hanno cura di presentarsi come frutti avanzati del “coraggio
illuministico” di una psiche che non tollera il “ragionevole contraddittorio”:
e perciò giustifica a priori il suo silenziamento, il suo annientamento, la sua
eliminazione. Coraggio del pensiero progressivo o codardia della coda di
paglia? Ecco un motivo urgente per aprire con forza un varco generoso alla
ricomposizione di una civiltà dello Spirito. Dove sapienza del cuore e
affezione dell’altro non si separano mai dalle ragioni del vero. E fino a che
si tengono insieme, viene scongiurato il pericolo che qualcuna delle tre debba
venire sacrificata.
Lo
Spirito infatti è di tempra forte e di manualità fine nella gestione dei
contrari: capace di attraversarli senza scandalizzarsi, individuando di volta
in volta la postura necessaria alla loro giusta collocazione. Si tratta, a
volte, di ammorbidire ciò che è rigido, altre volte di rinforzare ciò che
appare cedevole. A volte si tratta di scaldare ciò che è freddo, e altre volte
di raffreddare ciò che va in ebollizione.
La
comunità cristiana, in questo momento esatto, deve apprendere di nuovo questa
capacità dialettica dello Spirito, riportandola vigorosamente al proprio
interno: «Lo Spirito Santo – dice il Papa – è il protagonista della nostra
vita». Negli ultimi anni questa evidenza è più che sbiadita. Bisogna
decisamente vergognarsi – riconoscere ed espiare – per il grado di fanatismo
che è cresciuto dentro la grande comunità ecclesiale. E per dirla proprio
tutta, in un mondo dove l’algoritmo socializza l’odio in una misura finora
sconosciuta, prorompendo poi nella vita reale in forme ingovernabili, il nuovo
inizio dell’evangelizzazione sarà proprio l’azione di uomini e donne coraggiosi
che fanno vedere i luoghi in cui lo Spirito è già arrivato (e nessuno gli ha
dato retta).
La
Pentecoste spalanca porte e finestre. Gli Apostoli incominciano a parlare, resi
coraggiosi e profondi – e al tempo stesso lievi e lieti – dallo Spirito. Prima
sorpresa. Ma i loro interlocutori sono stati già dotati dallo Spirito di
auricolari speciali, che rendono comprensibile il vangelo nella propria lingua.
Seconda sorpresa. La porosità delle culture è infinitamente maggiore – grazie
allo Spirito – di quanto i professoroni delle differenze (che i teologi
rischiano di imitare) non ci abbiano inculcato finora. Naturalmente, la cosa
marcia se dici qualcosa: se fai discorsi che generano storia e cultura, se
abiti lo spazio dei tuoi interlocutori e accetti di argomentare di verità: e
non soltanto di reclutare aderenti e militanti.
Dobbiamo
forse istituire un premio speciale per ogni comunità cristiana che proclama
apertamente di prendere distanza dal fanatismo delle appartenenze e delle
tradizioni, per ritrovare il coraggio lieto e roccioso della “conversazione
nello Spirito”? La sinodalità punta in questa direzione, a volerla sviluppare:
un coraggio della fede che si dedica appassionatamente alla ricerca di tutti i
Cornelio (Atti 10) che hanno ricevuto lo Spirito, senza che ancora nessuno
glielo abbia confermato, e vanno a ingrossare l’immensa moltitudine di coloro
che considerano il giudizio di Dio una questione d’onore. Perché credono nel
loro cuore – grazie allo Spirito – che Dio ama senza fare «eccezione di
persona». Lo Spirito questo fa, nella storia che rimane prima della venuta del
Signore.
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