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di Vincenzo Ambriola
Alan
Turing è uno dei padri fondatori dell’informatica. Dopo aver completato gli
studi al King’s College dell’Università di Cambridge e poi alla Princeton
University, pubblicò un articolo in cui definì in maniera formale una macchina
in grado di calcolare automaticamente, poi chiamata macchina di Turing.
All’inizio della Seconda Guerra Mondiale partecipò attivamente al progetto di
decrittazione dei messaggi usati dai tedeschi per coordinare le azioni di
guerra.
Turing
è conosciuto anche per aver dato un contributo concettuale agli studi
sull’intelligenza artificiale. In un articolo del 1950 descrisse un esperimento
per riconoscere in una macchina un comportamento intelligente, attribuibile a
un essere umano. L’esperimento, chiamato test di Turing, prende spunto da un
gioco dell’imitazione che prevede tre partecipanti: un uomo A, una donna B e
un’altra persona C che deve stabilire, con una sequenza di domande, chi è
l’uomo e chi è la donna. Il compito di A è ingannare C, mentre B deve aiutare C
a individuare correttamente A e B. Le comunicazioni tra A, B e C avvengono mediante
testi dattiloscritti. Nel test di Turing una macchina si sostituisce ad A. Se
dopo un numero significativo di prove C riesce a capire chi è la donna e chi è
l’uomo con una percentuale uguale a quella ottenuta eseguendo il test senza
sostituire A con la macchina, allora si può affermare che la macchina esibisce
un comportamento intelligente, indistinguibile da quello di un umano. Dopo la
sua formulazione il test di Turing è stato ampiamente studiato e modificato,
per tener conto degli sviluppi dell’informatica e dell’intelligenza
artificiale.
È
interessante notare che nell’articolo del 1950 Turing si era chiesto se le
macchine pensano, arrivando alla conclusione che per rispondere a questa
domanda si doveva prima definire il concetto di macchina intelligente. Turing
era tuttavia consapevole del fatto che esiste una sostanziale differenza tra un
comportamento intelligente (fenomenologico) e un’entità intelligente
(ontologico). Analizzando le possibili obiezioni ai suoi ragionamenti, Turing
parlava infatti di un “pappagallo ammaestrato” in grado di dialogare ma
incapace di pensare.
Gli
attuali risultati ottenuti dai sistemi basati sull’intelligenza artificiale
generativa, tra i quali il più noto e utilizzato è chatGPT, fanno ritenere che
siano in grado di superare agevolmente il test di Turing e che, quindi,
esibiscano un comportamento intelligente. Tuttavia, come affermato da Gary
Marcus (scienziato cognitivo coautore di “Rebooting AI”), è opinione corrente
che in realtà essi siano solo capaci di ingannarci, esattamente come previsto
dal gioco dell’imitazione che ispirò Turing.
In
un articolo pubblicato il 3 febbraio 2023 su “Agenda Digitale” (“ChatGPT è
matematica e non magia, ecco come funziona”) Nanni Bassetti spiega con accurati
dettagli tecnici il funzionamento di questi sistemi. In estrema sintesi, dice
Bassetti, si tratta di algoritmi che utilizzano una rete neurale generativa,
precedentemente addestrata con un enorme archivio di frasi prodotte da umani.
Le versioni più recenti, chiarisce Bassetti, utilizzano anche frasi sintetiche,
generate da altre reti neurali a partire da frasi di natura umana. ChatGPT non
è quindi un’entità intelligente ma un sofisticato algoritmo scritto da persone
che hanno usato in maniera intelligente una rete neurale che è, a sua volta, un
algoritmo. Insomma, il comportamento intelligente di chatGPT è il risultato
dello sforzo congiunto di umani (OpenAI, un’azienda fondata nel 2015 e con sede
a San Francisco) che l’hanno ideato, progettato, realizzato e addestrato fino a
quando ha funzionato come previsto. Ora che chatGPT è pubblicamente
disponibile, la fase di addestramento sta coinvolgendo un gran numero di
persone che usandolo e correggendolo lo fanno evolvere e migliorare, fornendo
informazioni che non erano disponibili a OpenAI.
Torniamo
al test di Turing e riflettiamo sul perché fu formulato in questi termini. Nel
1950 i pochi calcolatori esistenti erano in grado di svolgere calcoli in
settori molto limitati: crittografia e calcolo scientifico. L’idea che
sarebbero diventati veloci e potenti come quelli attuali era pura fantascienza,
teoricamente raggiungibile ma a quel tempo impossibile. Pensare che un
calcolatore sarebbe stato in grado di dialogare con un umano era ritenuto un
risultato eccezionale e Turing si basò su questa assunzione per formulare il
suo test. Le sue idee ispirarono gli scienziati che nell’agosto 1955 scrissero
il primo manifesto dell’intelligenza artificiale, basato sulla congettura che
«in linea di principio, ogni aspetto dell’apprendimento o qualsiasi tipo di
intelligenza possano essere descritte con tale precisione da rendere possibile
la costruzione di una macchina in grado di simularle».
Questo
approccio emulativo, e soprattutto ingannevole, non è più accettabile perché
adesso è chiaro che l’intelligenza di un’entità, sia umana che artificiale, è
una caratteristica intrinseca e non soltanto un fenomeno comportamentale. Non è
un caso che Emily Bender, direttrice del Laboratorio di linguistica
computazionale dell’Università di Washington, in un’intervista alla
"Repubblica" abbia dichiarato che «ChatGPT è poco più di un
pappagallo: è un “pappagallo stocastico”, nel senso che, quando ci risponde,
non ripete in maniera pedissequa le frasi su cui è stato allenato, come i
pappagalli veri, ma mette insieme le parole seguendo una distribuzione di probabilità».
Questa tesi è sostenuta anche da Alessandro Lenci, professore di linguistica
computazionale dell’Università di Pisa, in un articolo in corso di stampa sulla
rivista Sistemi intelligenti.
Che
ci fossero di mezzo i pappagalli l’aveva intuito Turing più di settant’anni fa.
L’8 giugno 1954 Alan Turing si suicidò, dopo essere stato condannato da un
tribunale inglese con l’accusa di omosessualità e aver preferito la castrazione
chimica alla prigione. Una morale arcaica uccise un genio che avrebbe potuto
cambiare la storia dell’umanità.
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