di non farcela
Cosa c’è dietro
ai ragazzi fragili»
Lo
psicologo Castelnuovo (Cattolica): venute meno le occasioni di confronto, i
social sono disfunzionali. Aiutiamo gli adolescenti a tornare nella vita reale,
ripartendo da anima e corpo
-
di FULVIO FULVI
Ma
è più difficile oggi per i giovani crescere?
Diventare
adulti non è mai automatico, però i ragazzi ora devono fare i conti,
psicologicamente, con l’onda lunga del Covid. Erano già fragili, si
interrogavano su cosa fare da grandi, poi sono arrivati il lockdown e le altre
restrizioni imposte dalla pandemia, e sono venuti a mancare i loro sfoghi.
Questo ha pesato e pesa ancora. Alcuni non si sono mai ripresi, fanno fatica a
casa e a scuola. Hanno perso le occasioni di confronto con i modelli
tradizionali e ne hanno assunti altri attraverso la tecnologia. I social
network però sono punti di riferimento disfunzionali.
Cosa
accade? Come è che la Rete condiziona la loro vita?
Dando
un’immagine esagerata del corpo, per esempio. I ragazzi sono stati privati
della parte umana dei rapporti: prima i pregi e i difetti di una persona si
notavano, adesso non più. È stata “tolta” ogni negatività con la conseguenza
che la vita viene fatta percepire solo come una cosa felice, ma sappiamo che
non è così. Insomma, i punti di riferimento non sono più ancorati al reale.
Tutto questo, messo insieme, se non se ne colgono i segnali per tempo, può
creare forti disagi e far entrare in crisi i più fragili. Esiste, quindi, un
problema educativo.
Colpa
dei genitori che non se ne accorgono?
No.
Anche loro sono sballottati da diverse agenzie educative più potenti e
influenti. Mamma e papà conoscono solo una minima parte della vita dei figli e
non sempre riescono ad aiutarli e sostenerli, se i messaggi non arrivano. E
quando arrivano spesso non sanno cosa fare. Ma non è giusto accusarli di
superficialità o incapacità. Diciamo invece che mancano le strutture, che non
esiste un welfare per i disagi psicologici o psichici dei minori: scarseggiano
medici specializzati, posti letto, servizi.
E
la scuola, che ruolo svolge in questo contesto?
Molto
spesso i ragazzi la vivono come una valutazione di sè. Il voto viene dato alla
persona più che alla bontà di una prova.
E,
infatti, otto studenti su dieci ritengono che quello che viene insegnato a
scuola non abbia alcuna attinenza con la vita quotidiana. La percepiscono come
interrogazioni, compiti da fare, verifiche. Ma così si amplifica l’ansia.
Invece la scuola sarebbe una ghiotta occasione per crescere.
Ci
sono stati ultimamente diversi casi di suicidi di studenti universitari che
avevano nascosto ai genitori, per vergogna, i loro fallimenti...
Perché
hanno ritenuto che non aver superato un esame o non essersi laureati è per loro
una sconfitta inaccettabile, una squalifica della propria persona. Sono stati
abituati al perfezionismo. Si illudono che ottenendo un “risultato alto” la
loro persona stia bene ma appena questo non si verifica, e può succedere, vanno
in crisi.
Lo
sport può aiutare a far maturare un adolescente?
Bisogna
avere un approccio non patologizzante con lo sport: non deve portare a disturbi
alimentari, a una dedizione totale alla rinuncia e al sacrificio, che alla fine
sono penalizzanti. Così, per altro, ci si disaffeziona. Lo sport deve essere
invece vissuto come una festa del corpo, affrontato con spirito giocoso, come
un’occasione per divertirsi. E si deve accettare anche che ci sia qualcuno più
bravo di noi, accettare l’idea che si può anche perdere e non cambia nulla di
quello che siamo.
Nello
sport agonistico però le pressioni psicologiche sono spesso troppo stringenti.
Come nel caso delle “farfalle” della nazionale di ginnastica artistica... Che
fare?
La
logica dominante è: se non hai risultati eccellenti non meriti di stare lì. Ma
se lo sport non è più un gioco ma un lavoro diventa pericoloso. E basta un
infortunio, un incidente, un allenamento non corretto, o un cambiamento del
corpo e la prestazione non è più la stessa. E così subentra il terrore di
essere messi fiori dal gruppo.
Ci
si può sottrarre a questa logica?
Certo.
Io come psicologo clinico ho seguito una danzatrice 15enne che era sottoposta a
forte tensione fino al punto di avere problemi muscolari e perdere l’armonia
del proprio corpo che è diventato quindi un ostacolo. Ma è stata aiutata a
concentrarsi e adesso sta ritrovando il piacere della danza. E durante i saggi
è tornata a divertirsi, non è più assillata dall’idea che deve fare bene sempre
e tutto, compromettendo così anche i risultati.
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