Con l’arrivo di ChatGPT temi e
riassunti sono oggi ancor più fondamentali di ieri per spingere gli studenti ad
imparare a pensare ed essere più liberi
di Giorgio Ragazzini
Come ha detto il filosofo Luigi
Lombardi Vallauri, “nessuno sa veramente quello che pensa fino a quando non
l’ha scritto su un pezzo di carta”. Scrivere è infatti di grande aiuto per
rendere un pensiero più preciso, più ricco, più profondo. Come c’è un momento
in cui un pittore, un fiorista, un arredatore possono dire “Ecco, ora è
perfetto”, così chi scrive può a un certo punto concludere “Questo è quello che
penso”, dopo avere scritto e riscritto una frase, consultato un dizionario dei
sinonimi, cancellato qualcosa, aggiunto qualcos’altro.
A scuola i due principali tipi di
testo per esercitarsi nello scrivere sono, com’è noto, il riassunto e il tema,
che allenano differenti abilità cognitive, tutte importanti. Detto en passant,
il tema fu oggetto di un vero e proprio anatema negli anni post-68,
raccogliendo peraltro, alla luce dell’analisi di classe, l’eredità di illustri
detrattori del passato. Qui basta ricordare che “tema” è sinonimo di
“argomento”. L’insegnante chiede agli allievi di trattarlo attraverso un titolo
che può essere breve, meglio se stimolante, oppure più lungo e strutturato in
modo da servire come guida per lo svolgimento. Di fatto è un genere comprensivo
di molti generi testuali, tra i quali uno dei più utili alla crescita
intellettuale e morale, soprattutto nel primo ciclo, è il tema di esperienza e
di riflessione personale.
Tutti pregi che molti evidentemente
ignorano nel momento in cui sottovalutano il pericolo micidiale costituito
dalle piattaforme come ChatGPT (Chat Generative Pre-trained Transformer, ovvero
Trasformatore pre-istruito in grado di generare conversazioni), capace di
scrivere testi su moltissimi argomenti. Che si sia già a un buon livello di
perfezionamento, lo dimostra il fatto che Il Foglio ha potuto sfidare i lettori
a individuare ogni giorno l’articolo scritto tramite l’Intelligenza Artificiale
(a proposito: i giornalisti non sono preoccupati?).
C’è chi rassicura e sostiene che è
un’occasione per migliorare l’insegnamento. Una docente inglese, per esempio,
dice che gli studenti, invece di scrivere testi, potranno lavorare su quelli
“artificiali” per individuarne manchevolezze e fare modifiche. C’è poi chi
incappa nel benaltrismo, sostenendo che l’importante è sviluppare una piena
umanità negli allievi, la loro curiosità, la capacità di fare domande. Tutte
“soluzioni” che presuppongono in sostanza l’abbandono di una scrittura che non
sia strettamente funzionale.
Del resto, di fronte alle nuove
tecnologie, da decenni scatta in molti, come un riflesso condizionato, la
raccomandazione di non “demonizzarle”, ma di imparare a utilizzarle per il
meglio. Purtroppo l’esperienza ci dice che queste aperture di credito
richiedono non solo l’indicazione di limiti chiari e di non troppo complessa
applicazione, ma anche perseveranza e fermezza da parte degli educatori;
altrimenti si apre un’autostrada per la moltiplicazione degli effetti
indesiderati. Così è stato per il cellulare: abbiamo creato legioni di ragazzi
dipendenti dagli smartphone, spesso affetti da seri disturbi di vario genere; e
la possibilità di copiare utilizzando internet durante le verifiche e gli esami
è aumentata in modo esponenziale.
Perciò dobbiamo prendere sul serio i
pericoli che incombono sull’apprendimento dell’italiano scritto, in particolare
quello di non poter più far esercitare i ragazzi con riassunti, temi, relazioni
da fare a casa. Finora l’insegnante accorto ha potuto subodorare la copiatura
perché sa come scrivono i suoi allievi e può controllare su internet se ha
barato. Oggi ci dicono che con ChatGPT questo non si può fare (ma almeno la
richiesta di creare la possibilità di conservare in rete per qualche tempo i
testi prodotti andrebbe fatta). In ogni caso, questa volta vale la pena di
passare per “demonizzatori”, visto che si rischia di danneggiare gravemente le
nuove generazioni.
Il Sussidiario
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