Un’occasione per
fare memoria del Mandatum Novum affidato duemila anni fa agli
apostoli per riaccendere nel cuore d’ogni fedele la coscienza della vocazione
missionaria propria di tutta la Chiesa e d’ogni battezzato
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di GIULIO
ALBANESE
Di questi tempi, siamo tutti pervasi da un profondo smarrimento
collettivo e da un diffuso senso d’impotenza rispetto al sacrificio di
tanta umanità dolente disseminata nei bassifondi del nostro povero mondo. Le
macerie della guerra tra Russia e Ucraina, la tragedia di Gaza, le crisi
umanitarie dimenticate che devastano intere regioni dell’Africa e del Sud del
mondo più in generale, così come l’esodo di milioni di migranti o le
persistenti emergenze ambientali, sono il segno di una civiltà planetaria che
da Oriente a Occidente, da Meridione a Settentrione sembra abbia decisamente
smarrito il senso di una pacifica convivenza. Ed è proprio in questo contesto
che la Chiesa è chiamata a rinnovare la sua vocazione più profonda: essere
segno di speranza, testimone dell’amore di Dio che non abbandona nessuno.
Domani, 19 ottobre, celebreremo infatti la Giornata missionaria mondiale (Gmm),
il cui tema, in linea con le celebrazioni giubilari, è «Missionari di Speranza
tra le genti». Non si tratta di uno slogan, ma di un programma di vita, di una
conversione del cuore e della mente.
Un’occasione, dunque, per fare memoria del Mandatum Novum affidato
duemila anni fa agli apostoli per riaccendere nel cuore d’ogni fedele la
coscienza della vocazione missionaria propria di tutta la Chiesa e d’ogni
battezzato. Sia chiaro: tutta la Chiesa è missionaria! Così amava ripetere Papa
Francesco, affermando nell’Evangelii Gaudium: «Fedele al
modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo
a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza
repulsioni e senza paura. La gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può
escludere nessuno» (EG 23).
L a Missio ad gentes non è allora un compito
riservato a pochi, ma la forma stessa della vita cristiana: ogni battezzato è
inviato, ogni comunità è chiamata ad aprirsi, ogni gesto di bene è seme di
Vangelo. Papa Leone XIV, nella sua recente Esortazione apostolica Dilexi
te, ha rilanciato questa visione mettendo al centro l’amore di Cristo
per i poveri e la necessità di una missione che nasca dalla compassione. «Ti ho
amato », dice il Signore: è da questo amore che la Chiesa trae la sua forza e
la sua credibilità. La missione non può essere disgiunta dall’amore concreto,
dal prendersi cura, dal condividere la sorte dei più fragili. In Dilexi
te, papa Prevost ci ricorda che il volto di Cristo si riconosce in
quello dei poveri, dei migranti, dei malati, dei dimenticati, e che l’annuncio
del Vangelo passa attraverso la costruzione di fraternità reale, di
giustizia e di pace. Missionari di speranza, dunque, sono coloro che,
pur immersi nelle contraddizioni del mondo, continuano a credere nella forza
del bene, a scommettere sulla dignità dell’altro, a testimoniare con la vita
che Dio è ancora all’opera nella storia umana. La speranza non è ingenuità ma
resilienza, non è illusione ma fede che si incarna, che rialza, che accompagna.
Oggi, mentre il mondo sembra aver smarrito la fiducia nel futuro,
la missione della Chiesa offre orizzonti nuovi, ricordando che
l’amore è più forte dell’odio, che la pace è possibile, che la fraternità non è
un’utopia ma un compito personale e comunitario. Essere missionari di speranza
tra le genti significa allora seminare il Vangelo nei solchi della storia, non
con parole effimere ma con la vita, credendo che ogni gesto di misericordia può
cambiare il mondo.
Dilexi te ci
invita a tornare a questo cuore pulsante della fede: amati per amare, inviati
per servire, portatori di speranza per ogni popolo. La missione continua, e nel
suo respiro si rinnova la gioia di essere Chiesa: un popolo in cammino che,
anche tra le tenebre, non smette di credere nel trionfo della luce sulle
tenebre. Animati da queste convinzioni, in occasione della Gmm, promossa dalle
Pontificie Opere Missionarie, rappresentate in Italia dalla Fondazione Missio
della Cei, siamo anche chiamati ad offrire le nostre preghiere e il nostro
obolo per sostenere le Giovani Chiese, nella cristiana certezza che «la messe è
molta, ma gli operai sono pochi» ((Mt. 9,37, Lc 10,2). Come ebbe a dire San
Giovanni Paolo II nell’Enciclica missionaria Redemptoris Missio, «la
fede si rafforza donandola».
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