ovvero
decidere la vita
Gesù stesso, per primo, attua uno stile sinodale nel suo essere peregrinante con un gruppo nomade.
E lo stile di decisione che ha insegnato era quello dell’esempio, dunque insieme agli altri. Il Sinodo pare connaturato con la Chiesa fin dal principio.
- di Susanna Pesenti
Se c’è uno che ha fatto
strada insieme agli altri, che se l’è fatta entrare dai piedi, che l’ha utilizzata
come mezzo per conoscere il suo mondo, incontrare la gente, restare
staccato dall’avidità di beni, quello è Gesù.
È a conoscenza degli antropologi e degli
storici che le società nomadi, per sopravvivere, devono mantenere elasticità di
ruoli e una concezione del potere come forza di tutta la comunità e non
prerogativa sacralizzata di uno solo. Il Sinodo, quindi, pare connaturato alla
Chiesa, se la consideriamo la realizzazione storica di quanto Cristo aveva in testa,
per diffondere la Buona notizia di un Dio vicino e di una terra nuova per
tutti. Per tutta la sua vita pubblica Gesù riuscì a mantenere il suo gruppo nomade
e camminante. Un gruppo piccolo, dove tutti potevano essere accolti: anche
all’ultimo momento, dopo aver sprecato giorni in attesa di qualcosa, anche con
un passato o un presente non proprio limpidi e lisci.
Non risultano test
d’ingresso legati al sesso, all’intelligenza, alla condizione sociale, agli
antenati. Unica condizione pare l’essere essere aperti e il condividere quanto
si ha, primo segno di consapevolezza umana. Riuscì quasi: «Volete andarvene
anche voi?» chiede ai suoi quando, subito dopo la moltiplicazione dei pani, la
dichiarazione di essere non un capo di successo che procura cibo, ma un messia
destinato al sacrificio di sé fino a farsi mangiare e bere - nozione “irricevibile”
per la cultura religiosa di un buon ebreo, nota Enzo Bianchi (Il capitolo 6
di Giovanni in www.notedipastoralegiovanile.it),
assottiglia le fila dei sostenitori entusiasti. Ora, l’impressione è che,
ragioni teologiche a parte, il primo sfoltimento dei seguaci avvenga quando la
gente realizza che Gesù non è il salvatore della patria sul quale scaricare
allegramente tutti i problemi e i desideri aspettando che li risolva e li
realizzi. Gratis, in cambio solo del tifo da stadio (senza la fatica di correre
dietro la palla) o di un affidamento totalizzante al capo politicamente
provvidenziale. Cristo, ormai auto-svelatosi, chiede una decisione. Alla quale
arriva per primo, con la consueta generosa impulsività, Pietro: «Signore, da
chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna». Cioè, “non ho capito molto,
gli altri dicono che è una fregatura, ma io con te ho respirato un’aria libera
che sento
buona per me, e allora resto”. E il Sinodo, a ranghi ridotti, riprende. Perché,
evidentemente, Pietro è già il riferimento riconosciuto del gruppo.
Lo stile di decisione di Gesù
Pietro salta il fosso perché ha assorbito lo
stile di decisione che Gesù insegna con l’esempio. Se si leggono i Vangeli con
occhio laico, guardando solo a quel che fa l’uomo Gesù, si vede che non fa mai
chiasso (per questo la cacciata dei mercanti dal tempio suona così fragorosa).
Arriva, si mescola agli altri, fa quello che fanno gli altri. Così a Cana, dove
è un invitato qualsiasi
che si dispone a godere la festa (non fosse per la madre, rompiscatole come
tutte le madri). Così quando va a farsi battezzare da Giovanni e, per
cominciare la nuova vita, si mette in fila come tutti. Ama starsene zitto e
osservare. Ma cerca di essere là dove la gente si incontra e le cose
accadono: la piazza dove sta per essere lapidata la supposta adultera, la
strada dove passa un funerale, il mercato, il porto dei pescatori, la sinagoga,
il pozzo. Guarda, assorbe, raccoglie dati, studia la situazione, le facce, il
contesto. In queste situazioni parla se interrogato, agisce se lo ritiene
opportuno. E sono sempre parole attente, a volte seguite da azioni inedite. In
ogni caso si legge sempre un prima e un dopo, un muoversi nella situa[1]zione
che è umanamente pesato e contemporaneamente aperto a un affidamento di fede.
Faccio del mio meglio, arrivo fino a qua, il “resto” è nelle Tue mani.
Raramente è preso in contropiede, mai dalle parole, piuttosto da gesti
imprevisti, spesso di donna: la malata che gli tocca il mantello, colei che gli
versa l’unguento, Marta che gli corre incontro… Ma anche il paralitico calato
ingegnosamente dal tetto, lo strisciare penoso del malato verso la piscina, il
brancolare del cieco che da giorni tenta di seguirlo. Gente che a modo suo
cammina, che gli mostra fisicamente che ha deciso di far qualcosa per uscire
dalla sua situazione negativa o penosa. Questa è la fede che salva. Fede in se
stessi prima ancora che in lui. Fede che - insieme loro e lui – anche la vita
buia possa diventare luminosa. Il Regno. In generale Gesù, per quanto leggiamo
nei vangeli, si riserva la decisione finale della direzione da prendere. Ma nel
gruppo si intuisce un’organizza[1]zione,
una divisione di compiti, un’autonomia di sfere di azione che sono rispettate.
Chi tiene la cassa, chi pensa alla logistica, chi cucina, chi fa spesa...
La Chiesa primitiva
adotta lo stesso stile: dalla condivisione al servizio.
Uno stile che si ritrova negli Atti degli
apostoli da parte dei discepoli diventati capi delle comunità, prima a
Gerusalemme e poi fuori. Si capisce che dietro la primitiva organizzazione c’è
un modello già imparato, praticato, assorbito. La divisione dei compiti non
elimina l’umana ambizione di fare le cose più importanti, più decisive, di
sentirsi (e farsi vedere) quelli più vicini al capo. Quelli “che sanno”. Di qui
baruffe e gelosie. Gesù è durissimo, non perché castiga, ma perché sottolinea
il fraintendimento
e mette ciascuno di fronte alle conseguenze di ciò che ha “realmente” chiesto.
Un po’ come nelle fiabe e nei miti che saggiamente insegnano a badare a quel
che si chiede, quando si chiede. Per questo, forse, il proseguimento della
condivisione è il servizio. Il potere sugli altri o il successo attraverso gli
altri (che facciano per te, che ti facciano sentire migliore di loro) sostituito
dal potere di essere utili, di partecipare. Per quanto possibile, in base a
quello che hai da dare. Anche di guidare, ma nel senso di aprire la strada,
restando responsabile anche dell’ultimo della fila. Perché sei come gli altri,
per biologia. E, nella vita, in ogni momento potresti trovarti nella loro
situazione, nei loro panni: a volte migliori, più spesso peggiori dei tuoi. Ama
il tuo prossimo perché è come te, è te. Una realtà tutt’altro che poetica, in
alcuni casi sgradevole o spaventosa, ma a conti fatti l’unica base possibile
per un mondo non diviso tra schiavi e padroni.
Come decideva Gesù?
Dai Vangeli sembra che
insegni questo: raccolte tutte le informazioni possibili e dopo averci pensato
su (meditato, pregato) nel silenzio della camera interiore, la decisione che
prendi deve essere chiara, netta, senza tentennamenti. Sì sì, no no, il resto
viene dal diavolo, il divisore tra gli uomini e dentro il cuore. L’aratro è
pesante, una volta che cominci spingere, non ti conviene rovinare tutto con un
solco storto. Perché altrimenti la tua vita non pro[1]cede, non costruisci
nulla, resti ai se e ai ma, ti smarrisci e invece del regno, magari un posto
piccolo ma reale, trovi la geenna degli indecisi, una sconfinata distesa di
occasioni rifiuta[1]te,
perdute, non viste, che ti bruciano la pelle e ti procurano un rimpianto
trafiggente come un mal di denti. Questo non significa, se ti accorgi che hai
preso una decisione sbagliata, non tornare indietro prima che sia troppo tardi.
La conversione a volte salva la vita. Il figliol prodigo torna a casa,
constatato quanto è stato idiota. I discepoli presi a sassate cambiano città.
In caso di delusioni o
contrasti, prima di distruggere tutto, occorre dare e darsi un’ultima
possibilità. La vite stenta concimata ancora, la manutenzione del lucignolo che
fa fumo, la canna piegata che può venir buona per una gobba del tetto. Spiega
quel che pensi di voler fare gradatamente, in base a quello che può essere
capito da chi ti sta intorno e che hai capito tu stesso. Una parabola o una
dotta discussione arrivano a far intuire la stessa verità. La stessa cosa può
essere spiegata con onestà a un bambino e a un esperto, cambia solo il grado di
complessità tecnica. Anzi, se complichi troppo con chi non ha gli strumenti per
capire, fai solo sentire ignoranti o inadeguati. Il modo giusto è portare
ciascuno al desiderio di ampliare la propria competenza per capire meglio. E
così decidere se si vuol fare di più, essere più coinvolti. Chi non vuol essere
coinvolto continuerà a sentire senza ascoltare, guardare senza vedere. Ma anche
seguire non significa essere senza responsabilità. Anche il discepolo, quello
che sta imparando, fa la propria parte in base a talenti “non sotterrabili”. E
si deve cercare sempre di acquisirne di più, di migliorare per contribuire a un
progetto comune, consapevoli che quello che, tanto o poco, si è e si ha è in
prestito, perché dove e come nasci e muori non lo decidi tu. Quindi, meglio che
un progetto dove spendi la vita non sia per te solo. Così dura.
Nello stile decisionale di Gesù c’è molto senso pratico. C’è il portato sapienziale della cultura ebraica, c’è l’aria dei suoi tempi. C’è una mente analitica che guarda le cose per quello che sono e tira imperterrita le conclusioni. E c’è anche una luce che trapassa gli strati e arriva all’essenziale, una capacità di visione talmente alta che o la rifiuti o ti butti aggrappato al parapendio della fede. Signore da chi andremo? Tu solo hai queste parole di vita: camminiamo, insieme, e camminando facciamo il regno.
Che non si fa da solo e che non si fa da soli.
Susanna Pesenti
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