Maestra sospesa 20 giorni
per aver fatto recitare preghiere agli alunni
- di Giovanni Perrone
Sta facendo clamore l’episodio accaduto in una scuola primaria della Sardegna ove una maestra è stata sospesa per avere fatto pregare gli alunni a scuola. Non voglio entrare nei dettagli di quanto accaduto e delle decisioni prese dalle autorità preposte: una semplice Ave Maria, ricorrenti episodi, eccessi di zelo, altro?
Al di là del “fattaccio”, ritengo eccessiva la punizione, che forse potrebbe avere altri motivi sottesi. Non conosco le cose a fondo.Di certo è stata una grave stonatura la
strumentalizzazione, da destra e da sinistra, dell’evento, provocando anche
interventi non sempre opportuni.
L’episodio deve invitarci a
riflettere sulla presenza degli insegnanti cattolici nella scuola e dell’insegnamento
della religione cattolica.
Una delle sfide prioritarie per
la comunità sociale e anche per quella scolastica è la composizione
multiculturale delle odierne società, bene evidenziata dal documento della
Congregazione per l’Educazione Cattolica “Educare al dialogo interculturale
nella scuola – Vivere insieme per una civiltà dell’amore”. Il dirigente e/o
l’insegnante cattolico è chiamato a promuovere il dialogo, a favorire la
convivenza fra le diverse espressioni culturali, ad incoraggiare rapporti di
reciproco rispetto, ad aiutare a superare pregiudizi, ad orientare perché venga
messo in luce ciò che è “buono, bello e vero”, a creare occasioni di confronto
che stimolino il reciproco arricchimento e l’armonia, a promuovere e sostenere
progetti educativi che aiutino la comunità scolastica a realizzare idonei
percorsi di dialogo interculturale. Ciò, naturalmente, senza abdicare alla
propria identità, che è anzitutto testimonianza e non l’organizzazione di
eventi di fede (specificità questa della comunità ecclesiale).
La scuola è anzitutto luogo di cultura, ove si apprende a comprendere se stessi e il mondo, e, promuovendo la cittadinanza attiva, si percorrono sentieri di giustizia e pace, si acquisiscono buone abitudini e si maturano capacità progettuali, operative, riflessive e cooperative. Perciò la scuola lotta ogni forma di analfabetismo, anche religioso.
Purtroppo, sovente con la scusa della “laicità”, molti ragazzi
crescono analfabeti dal punto di vista religioso. La laicità non è sterile negazione
o vuoto culturale, ma dialogo e comprensione. Essa vuol dire orizzonti aperti e
non costruzione di barriere.
“La dimensione religiosa è
intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e
permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita…. Grazie
all’insegnamento della religione cattolica la scuola e la società si
arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando
l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il
bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare
il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il
presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro …La dimensione religiosa
non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin
dalla primissima infanzia; è apertura fondamentale all’alterità e al mistero
che presiede ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani…. La dimensione
religiosa rende l’uomo più uomo” (Benedetto XVI).
Perciò, essere scuola statale o
esplicitamente cattolica non è problema di catechesi o di pratiche religiose
da fare vivere in contesti scolastici. Catechesi e pratiche di fede sono specifiche della comunità ecclesiale. Però la cultura religiosa ha piena cittadinanza anche nella scuola. Tale cultura (interagendo con
gli altri ambiti del sapere scolastico) aiuta a leggere e comprendere i fatti e
i fenomeni religiosi (in particolare dell’ambiente in cui si vive) e a non
cadere vittima di pregiudizi, di stereotipi, di varie forme di integralismo,
favorendo il dialogo interreligioso e la cooperazione al fine della pacifica
convivenza e della promozione del bene comune. Questo è un servizio ‘laico’ da
offrire a tutti gli alunni perché possano comprendere pienamente l’ambiente in
cui vivono e la cultura che caratterizza la comunità.
L’insegnante cattolico non può
essere presenza divisiva nella comunità scolastica e sociale, ma egli è presenza
dialogante che aiuta a dare ampi orizzonti ai saperi disciplinari, perché siano
saperi che, facendo interagire le persone e le varie discipline, promuovono la
piena dignità di ogni persona. Perciò la
conoscenza dei fatti e dei fenomeni religiosi impregna ogni ambito di
insegnamento e, in tal senso, anche la presenza dell’insegnante di religione
cattolica è una preziosa risorsa per la comunità scolastica.
Spiace ciò che è accaduto. Ci auguriamo che l’evento non
lasci penosi strascichi, ma che favorisca una serena e qualificata riflessione in
tutte le parti coinvolte, nelle comunità scolastiche e nell’intera comunità
nazionale.
Di certo non si può ridurre il tutto in un estemporaneo snervante, passeggero e fuorviante dibattito tra “religione si” o “religione no” oppure nella ricerca dei veri o presunti colpevoli.
Non è questo, infatti, il vero problema.
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