- Le letture del giorno:
At 2, 42-47; Sal. 117; 1 Pt 1, 3-9;
- Vangelo -Commento di p.Ermes Ronchi
a chi produce amore
All’alba,
alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel
giardino. Vuote le mani, vengono solo pervisitare la tomba: guardare, osservare,
sostare, ricordare. Sono le stesse donne che venerdì hanno abitato, senza
arretrare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce. Un angelo scese
dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.
Non
apre il sepolcro perché Gesù esca, è già uscito, ma per mostrarlo alle donne:
il sepolcro è vuoto, il Nazareno è già altrove. Come, non è detto. Il mistero
di Dio resta intatto. Donne, angelo, guardie, il brivido della terra, cielo,
pietra, alba: tutti sono convocati perché Gesù Cristo cattura dentro il suo
risorgere tutto l’universo; è energia che si dirama per tutte le vene del
mondo, una forza che ha imbevuto di sé tutta la trama del creato.
«E
non riposerà più, fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione e
rovesciata la pietra dell’ultima tomba» (M.Luzi).
Le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Voi cercatrici, mendicanti dell’amato, continuate, ma con occhi nuovi.
Non
ostacoli ma opportunità
I
discepoli erano chiusi in casa per paura dei Giudei. Hanno tradito, sono
scappati, hanno ancora paura: che cosa di meno affidabile di quel gruppetto
allo sbando? E tuttavia Gesù viene.
Una
comunità chiusa dove non si sta bene, porte e finestre sbarrate, dove manca
l’aria e ci si sente allo stretto. E tuttavia Gesù viene. Non al di sopra, non
ai margini, ma, dice il vangelo: ‘in mezzo a loro’. E dice: Pace a voi. Non si tratta di un augurio o di una
promessa, ma di una affermazione: la pace è, ora, qui. È pace sulle vostre
paure, sui vostri sensi di colpa, sulle delusioni patite, sui sogni non
raggiunti, sulle insoddisfazioni che scolorano i giorni. Qualcuno però va e viene da quella stanza,
entra ed esce: i due di Emmaus, Tommaso il coraggioso.
Gesù
e Tommaso, loro due cercano. Si cercano.
Otto
giorni dopo, erano ancora lì tutti insieme. Gesù ritorna, nel più profondo
rispetto: invece di rimproverarli, si mette a disposizione delle loro mani.
Tommaso
non si era accontentato delle parole degli altri dieci; non di un racconto
aveva bisogno, ma di un incontro con il suo Signore. Che viene una prima volta
ma poi ritorna, che invece di imporsi, si propone; invece di ritrarsi, si
espone alle mani di Tommaso: Metti qui il tuo dito; tendi la tua mano e mettila
nel mio fianco.
La
risurrezione non ha richiuso i fori dei chiodi, non ha rimarginato le labbra
delle ferite. Perché la morte di croce non è un semplice incidente da superare:
quelle ferite sono la gloria di Dio, il punto più alto dell’amore, e allora
resteranno eternamente aperte. Su quella carne l’amore ha scritto il suo
racconto con l’alfabeto delle ferite, indelebili ormai come l’amore stesso.
Il
vangelo non dice che Tommaso abbia davvero toccato e messo il dito nel foro. A
lui è bastato quel Gesù che si propone, ancora una volta, un’ennesima volta,
con questa umiltà, con questa fiducia, con questa libertà, che non si stanca di
venire incontro, che non molla i suoi, neppure se loro l’hanno abbandonato.
È
il suo stile, è Lui, non ti puoi sbagliare: mio Signore e mio Dio.
Perché
mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!
Una beatitudine per noi che non vediamo, che cerchiamo a tentoni e facciamo
fatica, e che finalmente sento mia, alla mia portata.
Grande
educatore, Gesù: forma i suoi alla libertà, a essere liberi dai segni
esteriori, alla ricerca personale più che alla docilità e all’obbedienza.
Beati
i credenti!
La fede è il rischio di essere felici. Una vita non certo più facile, ma più piena e
vibrante. Ferita sì, ma luminosa. Così termina il Vangelo, così inizia il
nostro discepolato: col rischio di essere felici, portando come Tommaso le
nostre debolezze, non più ostacoli ma opportunità per l’incontro.
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