Servono 35 miliardi di dollari per salvare
265 milioni di persone dal peggiore scenario degli ultimi 22 anni. Il
coronavirus ha aumentato del 40% le persone bisognose e la comunità
internazionale non dona quanto promette. "Non si può restare
indifferenti" ripete, riprendendo le parole di Papa Francesco, il
professor Moro "perfino la proprietà privata viene in secondo ordine
rispetto all’esigenza di tutelare la dignità umana”
Michele
Raviart
Nel 2020 il
numero di persone bisognose di assistenza umanitaria è aumentato del 40% a
causa della pandemia di coronavirus. Si tratta in totale di 235 milioni di
persone, che se vivessero insieme sarebbero il quinto Paese più popoloso del
mondo. La denuncia arriva dalle Nazioni Unite, che hanno pubblicato oggi il Global Humanitarian Overview 2021, che fa il
punto sulle zone del mondo più a rischio per il prossimo anno.
La quinta
nazione più popolosa del mondo
Secondo
l’Onu per aiutare la maggior parte di queste popolazioni – l’obiettivo delle
Nazioni Unite è di raggiungere i due terzi di chi ha bisogno, mentre il
rimanente terzo è demandato ad associazioni come la Croce Rossa- saranno
necessari 35 miliardi di dollari, pari a 29 miliardi di euro. Numeri che
sembrano alti, ma molto piccoli rispetto alle cifre stanziate dai Paesi ricchi
per affrontare la pandemia al loro interno.
Dopo 22
anni, aumentano i poveri
Il Covid-19
ha causato per la prima volta in 22 anni un aumento della povertà estrema nel
mondo. Chi viveva ai margini, infatti, si legge nel comunicato dell’Onu, “è stato
colpito in maniera dura e sproporzionata dall’aumento dei prezzi del cibo, dal
crollo degli introiti, dall’interruzione dei programmi di vaccinazione e dalla
chiusura delle scuole”. Il quadro presentato, ha spiegato Mark Lowcock,
responsabile dell’Onu per gli aiuti internazionali, “è la prospettiva più cupa
e oscura sui bisogni umanitari nel periodo a venire che abbiamo mai stabilito”.
Yemen a
rischio carestia
Si prevedono
infatti nuove carestie, che si aggiungono ai conflitti già in corso e alle
conseguenze dei cambiamenti climatici. Le zone più a rischio sono Afghanistan,
Nigeria nordorientale, Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo e Burkina
Faso. Particolarmente grave è la situazione in Yemen, dove “c’è un pericolo
chiaro e presente di una carestia di scala davvero larga”, perché alcuni dei
Paesi donatori non hanno sostenuto il Paese come il biennio precedente.
Interventi
in 56 Paesi
Per il
prossimo anno le Nazioni Unite e le loro agenzia hanno preparato 34 piani
umanitari per aiutare 56 Paesi nel mondo. Già quest’anno è stata stanziata una
cifra record da 17 miliardi di dollari che hanno raggiunto il 70% delle persone
previste. “Insieme”, è l’appello del Segretario generale dell’Onu Guterres,
“dobbiamo mobilitare risorse ed essere solidali con la gente nella loro ora più
buia”.
Manca la
volontà politica di agire
In generale,
tuttavia, i Paesi più ricchi non donano neanche l’obiettivo prefissato dello
0,7% del Pil in aiuti. “Purtroppo non è una novità quella della disparità tra
le risorse che servirebbero da un lato e che dall’altro lato vengono messe a
disposizione. Questo è uno degli “scandali” – non ci sono altre parole – del
mondo in cui viviamo”, afferma a Vatican News il professor Riccardo Moro,
docente di Politica dello Sviluppo all’Università di Milano e presidente
mondiale del Gcap, la coalizione internazionale contro la povertà. “Nonostante
le condizioni di vita in molte parti del pianeta siano straordinariamente
faticose”, ribadisce, “le società e i Paesi dove il benessere è diffuso non si
sentono chiamate in causa a intervenire. Eppure, le risorse che esistono nel
pianeta sarebbero nettamente sufficienti. Credo che non ci siano dei problemi
di risorse, quanto dei problemi di cultura e di volontà politica. Non si
percepisce l’esigenza di intervenire”.
Serve una
cultura della solidarietà internazionale
Come ha
ricordato Papa Francesco nel suo messaggio ai giudici membri dei Comitati per i
diritti sociali di Africa e America, infatti, donare ai poveri è una questione
di giustizia sociale e anche la proprietà privata è un diritto naturale
secondario. “Non si può rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza di
qualcuno e perfino la proprietà privata viene in secondo ordine rispetto
all’esigenza di tutelare la dignità delle persone”, ribadisce il professor
Moro. “In fondo le società moderne e le democrazie mature sono basate su questo
principio di solidarietà”. “La corresponsabilità fiscale, ad esempio,
interviene per servire tutti i membri della comunità e tutti facciamo cassa
comune per questo”, spiega, “ma questa maturità, questa sapienza giuridica a
livello nazionale non ce l’abbiamo a livello internazionale”.
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