di ILARIO BERTOLETTI
Un riconoscimento sotto la costellazione delle quattro virtù
cardinali – temperanza, fortezza, giustizia, prudenza – che, a ben vedere, sono
figure del disciplinamento della “tendenza”, presente in ciascuno, al male
morale.
I vizi – gli opposti delle virtù: intemperanza, timore in
quanto fuggire dal proprio dovere, ingiustizia e imprudenza – sono gradi della
falsificazione della relazione intersoggettiva. E innanzitutto
manifestazione del male è quella forma di autoinganno che è la
presunzione d’innocenza da parte del soggetto. Una deriva
perfettista – da “fanatismo morale” – da evitare ricordando che
«l’unico stato morale in cui l’uomo possa venirsi a trovare è quello
della virtù, ossia dell’intenzione morale in lotta, e
giammai quello della santità, sul presupposto del possesso di
una purezza perfetta» (Kant). Un lavoro su di sé, mai finito, per
contenere “la macchia impura” (l’egoismo) che inerisce alla
volontà, a maggior ragione nel contesto del rischio pandemico.
Un lavoro attraverso le singole virtù. La temperanza, come
contenimento del desiderio cieco di affermazione. La fortezza, quale
determinazione di fronte alle difficoltà delle decisioni da prendere. La
giustizia, come volontà ferma di rispetto dei doveri e dei diritti, che possono
tra loro collidere. Il che implica la prudenza, lo sguardo freddo sulle
circostanze e le conseguenze, che calcola gli effetti anche involontari delle
scelte.
Virtù cardinali che portano ordine interiore, in specie nelle
situazioni di tragica incertezza, quale la nostra. Un ordine che preserva la
libertà di ciascuno, senza bisogno dello Stato paternalista, che è l’altro
volto dell’anarchia del risentimento.
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