credere nei valori
per rispettare i
diritti umani
72 anni fa, a Parigi, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite adottava la Dichiarazione universale dei diritti umani. Nostra intervista con l'arcivescovo Ivan Jurkovič, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra
L’azione del
Covid sui più vulnerabili
L’anno che
si sta per concludere segna sicuramente uno dei momenti più brutti dal secondo
dopoguerra ad oggi. A causa del Covid-19, molti di quei diritti che si davano
per scontati hanno assunto un significato ancor più importante. Primo fra tutti
la libertà di movimento, della quale oggi, a causa delle restrizioni, si
apprezza in pieno il senso. Il virus ha però soprattutto confermato che a
pagare un peso sproporzionato sono sempre le fasce sociali più deboli, di ogni
Paese.
I diritti
umani al centro del post-Covid
L’Onu si
concentra inevitabilmente su questo, sulla pandemia e sulla necessità che i
diritti umani siano al centro degli sforzi di ripresa. “I comuni obiettivi
saranno raggiunti solo – è l’avvertimento – se si sarà in grado di creare pari
opportunità per tutti e di applicare gli standard dei diritti umani per
affrontare le disuguaglianze radicate, sistematiche e intergenerazionali,
l'esclusione e la discriminazione”. I diritti umani dovranno, quindi, essere al
centro del mondo post-Covid-19, virus che ha aggravato la povertà, ha aumentato
le diseguaglianze, la discriminazione strutturale e radicata, nonché
evidenziato drammatiche lacune della protezione dei diritti umani.
Nessuno deve
rimanere indietro
La Santa
Sede, attraverso il suo Osservatore permanente presso le Nazioni Unite e le
altre organizzazioni internazionali a Ginevra, l'arcivescovo Ivan
Jurkovič, ha sempre ribadito che, nelle varie risposte che si daranno alla
crisi provocata dalla pandemia, non si dovrà lasciare indietro nessuno:
R. – Io
penso che siamo ancora in mezzo ad un fenomeno che non sappiamo come
considerare nella sua estensione, non vediamo ancora chiaramente le sue
conseguenze. Un po' quello che si vede è che tutto quello che abbiamo fatto
finora deve essere un po' ripensato, forse aumentando, e quello mi sembra che
c'è, il sentimento di solidarietà. La Santa Sede è intervenuta in tutte le
istanze, specialmente a difesa dell’accesso ai farmaci e al diritto alla
salute, ribadendo la necessità che siano veramente disponibili a tutti. E
questa è l’idea che è diventata dominante, non dico che lo sia diventata perché
l’abbiamo proposta noi, ma perché è ovvia. Cioè, noi dobbiamo imparare, e penso
che stiamo imparando, che siamo interdipendenti, in maniera profonda,
definitiva. Poi ci sono tante cose, come i populismi e altro, ma in fondo
stiamo imparando che siamo una sola famiglia, quella umana.
Qual è oggi
lo stato di salute dei diritti umani nel mondo? Permane ancora quella sacralità
e inviolabilità dell’essere umano in ogni situazione, in ogni momento, così
come sempre rimarcato da Papa Francesco?
R. – Penso
che la comunità internazionale abbia raggiunto grandi progressi nella difesa
della dignità dell'uomo, nella battaglia contro le varie discriminazioni, e
penso che si siano anche fatte grandi cose nel campo della promozione della
donna nella società. Insomma, viviamo un mondo che è andato avanti e non
indietro. Il problema è che nella relazione tra diritti e valori, antropologici
e religiosi, lì si vede una continua frammentazione dei diritti che vengono
sempre più sconnessi dai grandi valori, dalla grande esperienza del passato,
noi diciamo dalle tradizioni e qui, certamente, c'è qualche fonte di
preoccupazione anche per la Santa Sede.
I diritti
fondamentali continuano, ancora oggi, a subire attentati e attacchi di ogni
tipo e il Papa, nella sua ultima enciclica Fratelli tutti, chiede
proprio di cercare delle soluzioni. Secondo lei da dove si dovrebbe iniziare?
R. – La
convinzione del Papa è che la visione cristiana dei diritti umani è legata al
Vangelo, alla dignità dell'uomo che la Chiesa deve difendere. Io penso che la
comunità ci capisca e penso che voglia che noi siamo presenti esattamente per
questa visione “nostra” che, in fondo, è anche un po' il fondamento di tutta la
visione dei diritti dell'uomo che esiste oggi nel mondo.
Lei cosa
riscriverebbe, cambierebbe o integrerebbe della Dichiarazione che fu firmata il
10 dicembre del 1948?
R. – Io
condivido ciò che ha detto in occasione del 70.mo anniversario il cardinale
segretario di Stato Parolin e cioè che la diplomazia pontificia ritiene
essenziale l’aspetto dei valori, cioè noi siamo una diplomazia dei valori in un
mondo che cambia i suoi valori, e noi dobbiamo, come diplomazia, mantenere
questa fedeltà ai valori “nostri”, non solamente alla Dichiarazione, ma ai
valori “nostri”, di fronte alla cultura dominante oggi che noi vediamo quale è
oggi, soprattutto nel mondo occidentale di un certo tipo, dove i valori
religiosi e l’antropologia cristiana non vengono considerati come nel passato.
Più che cambiare o lasciare la Dichiarazione così come è, sarebbe importante
almeno rimanere fedeli ai principi che hanno ispirato la Dichiarazione, non
rinunciare ai grandi valori a causa di pragmatismi politici. Questo vuol dire
che noi Santa Sede, dobbiamo essere fedeli al Vangelo e, allo stesso tempo,
essere ispirati, convinti ed entusiasti di continuare il dialogo col mondo.
Secondo lei,
si può dire che democrazia e tutela dei diritti umani camminano assieme?
R. - Se non
si crede ai valori, non si possono proteggere i diritti né la democrazia. La
democrazia non è solo un meccanismo politico molto efficace e molto collaudato,
ci vuole qualcosa di più, ossia credere nei valori: se non c'è questo, non si
possono proteggere i diritti, si rischia di non rispettare la dignità
dell'uomo, l'uomo non è rispettato se non si crede nei valori. La cosa
interessante è che i diplomatici ci dicono sempre: “Meno male che avete detto
quello!”. Abbiamo ripetuto tante volte la stessa cosa, ma è proprio necessario.
Noi dobbiamo rimanere fedeli a questa nostra visione e credere che il mondo
andrà cambiando e maturando.
Quali sono
il ruolo e l’incidenza della Santa Sede a livello di Nazioni Unite sui diritti?
R. – Ogni
pontificato ha una specifica visibilità, e noi sappiamo che il pontificato di
Papa Francesco è particolarmente visibile nella comunità internazionale, il che
vuol dire già una funzione enorme. La gente vede che siamo testimoni di una
preoccupazione per il mondo che è molto universale e accettata. Infine, vorrei
dire una cosa sulla mia missione qui a Ginevra, che è anche quella di stare
attenti alla libertà religiosa: noi siamo convinti che la nostra visione non è
solamente pragmatica o funzionale, ma c’è un fondamento religioso e questo
fondamento religioso, questo humus nel quale crescono tutte le qualità e tutte
le virtù umane, deve essere protetto e noi facciamo di tutto perché sia
veramente protetto, rispettato e anche promosso e integrato.
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