Una proposta contestata
-
di Giuseppe Savagnone
-
Sta
scatenando un pandemonio la proposta di due esponenti della sinistra,
Fratoianni (Leu) e Orfini (Pd) – peraltro subito sconfessata dai partiti di
maggioranza –, in cui si prevede l’introduzione di una imposta patrimoniale che
redistribuisca, almeno in una piccola misura, la ricchezza degli italiani,
anche come misura di solidarietà verso quelli più poveri e più colpiti dalla
crisi economica determinata dalla pandemia.
La
patrimoniale, questa sconosciuta
La
patrimoniale è un’imposta sul patrimonio di un contribuente e non sul suo
reddito da lavoro. È una tassa sulla ricchezza detenuta da una persona fisica o
giuridica, si tratti di valori mobiliari (conti correnti, titoli finanziari),
oppure immobiliari (case, terreni).
In altri
Paesi – Francia, Spagna, Svizzera – esiste da tempo, in Italia ha sempre
trovato grandi opposizioni. Non senza forti polemiche ha trovato spazio una
imposta patrimoniale “selettiva”, che colpisce esclusivamente
il patrimonio immobiliare (con alcune rilevanti eccezioni come le
prime case non di “lusso”) con una aliquota dello 0,76% applicata ai valori
catastali, ossia a valori tendenzialmente molto più contenuti rispetto a quelli
di mercato.
La proposta
di Fratoianni e Orfini prevede, in concreto, l’abolizione dell’Imu e la sua
sostituzione con un’imposta generale sui grandi patrimoni di almeno 500 mila
euro.
Il prelievo partirebbe dallo 0,2% per quelli tra 500mila euro e un milione, salirebbe allo 0,5 tra uno e 5 milioni, all’1 percento tra i 5 e i 50 milioni e al 2 percento oltre i 50 milioni di euro. Per il solo 2021 si prevede che per chi ha base imponibile superiore a un miliardo l’aliquota sia del 3%.
Le
controindicazioni
Secondo
alcune stime l’imposta potrebbe fruttare 10 miliardi l’anno, ma questa cifra è
legata al suo successo. Tradizionalmente, infatti, la maggiore obiezione alle
imposte patrimoniali è che esse potrebbero scoraggiare gli investimenti o,
peggio ancora, incentivare il trasferimento all’estero dei soggetti più facoltosi.
Per non
parlare della piaga cronica dell’evasione fiscale, già ampiamente diffusa nel
nostro Paese, anche grazie a una legislazione che, per la sua farraginosità, si
presta a offrire mille scappatoie a chi è in grado di pagarsi buoni
commercialisti e avvocati.
Per questo
la proposta Fratoianni-Orfini prevede, drasticamente, che chi abbia «immobili,
investimenti ovvero altre attività di natura finanziaria, suscettibili di
produrre redditi imponibili in Italia» abbia l’obbligo di dichiararli pena «una
sanzione amministrativa pecuniaria che va dal 3 per cento al 15 per cento
dell’importo non dichiarato».
Le barricate
della Lega e di Forza Italia
Dicevo prima
che le reazioni sono state durissime. Il responsabile economico della
Lega, Alberto Bagnai, ha lanciato un vero e proprio proclama: «Riparte
l’assalto ai risparmi degli italiani. Dalla sinistra una misura insensata, che
colpisce la classe media senza incidere sui veri grandi patrimoni, tutti
custoditi in paradisi fiscali. Si vogliono mettere le mani nei portafogli e nei
conti correnti degli italiani già martoriati dalla crisi economica e pandemica.
La Lega farà le barricate in commissione e in aula affinché questa vergogna non
vada in porto».
Non meno
drammatica la lettura della proposta da parte di Forza Italia, che, per
bocca di un suo rappresentante, il deputato Andrea Mandelli, l’ha definita
una «spada di Damocle sulla testa degli italiani» e «una mina sul futuro del
Paese», concludendo, seccamente: «Va bocciata».
La tutela
dei patrimoni in Italia e la tassa di successione
Forse è bene
ricordare che l’Italia è probabilmente il Paese europeo in cui i grandi
patrimoni sono più tutelati. Lo confermano i dati relativi alle imposte di
successione. La tassa di successione italiana è infatti la più bassa a livello
europeo, con aliquote che oscillano tra il 4 e
l’8%. In Germania la tassa di successione oscilla tra il 7% e il
50%, in Spagna tra il 34% e l’86%, in Francia tra 5% al
60%, in Gran Bretagna è del 40%.
Ciò
comporta, evidentemente, un contributo assai scarso degl italiani più
benestanti alle finanze dello Stato: nel 2018, 820 milioni, ovvero
lo 0,05% del Pil. In Francia, per esempio, sempre nel 2018 il
gettito dell’imposta su successioni e donazioni è risultato pari a 14,3
miliardi di euro, cioè lo 0,61% del Pil: in altre parole, quasi tredici
volte quello italiano. A quota 0,20-0,25% del Pil troviamo invece la Germania
(6,8 miliardi), il Regno Unito (5,9 miliardi al cambio del 2018) e
la Spagna (2,7 miliardi), tutti Paesi che riescono a incassare quasi
cinque volte l’Italia.
La
demonizzazione delle tasse
Si capisce,
da questo quadro, perché, secondo i dati forniti dal «Sole24ore», il 20% degli
italiani detiene quasi il 70% della ricchezza nazionale, un altro 20% nel
possiede il 16,9%, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della
ricchezza del paese.
È il
risultato ovvio di una politica che ha messo sistematicamente in secondo piano,
al di là della retorica d’obbligo, il problema della giustizia sociale,
lasciando che i ricchi diventassero sempre più ricchi, che il ceto medio si
impoverisse e che i poveri diventassero sempre più poveri. È significativo che
ormai da decenni si agiti lo spettro delle tasse come un disonesto «mettere le
mani nelle tasche degli italiani» (Berlusconi), dimenticando che la
redistribuzione fiscale si basa sul fatto che il successo economico dei singoli
non è solo frutto della loro bravura o della loro fortuna, ma del lavoro di
un’intera società, senza cui gli individui non sarebbero in grado neppure di
studiare e di trovare un lavoro.
Le
dimissioni della “sinistra”
Ancora più
significativo è che la cosiddetta “sinistra”, che tradizionalmente avrebbe
dovuto tutelare i più deboli economicamente e socialmente, in questi ultimi
anni abbia concentrato in modo quasi ossessivo la sua attenzione e la sua
carica “rivoluzionaria” nella rivendicazione di diritti civili individuali –
dall’aborto alla fecondazione assistita, dalla coppia omosessuale all’eutanasia
–, di tipica matrice liberal-borghese, trascurando quasi del tutto i problemi
dei più poveri.
È su
questa linea la presa di distanze del Pd di fronte all’attuale proposta
Fratoianni-Orfini, che ribadisce quella del 2019, davanti a una analoga
avanzata dal segretario della CGIL Landini.
Il problema
non è la patrimoniale, ma la solidarietà
Ho già detto
prima che, a detta di economisti competenti, ci possono essere anche dei seri
motivi per ritenere inopportuno questo strumento fiscale. Il problema, dunque,
non è il mezzo – la patrimoniale – che può benissimo essere rimpiazzato con
altre misure. Il guaio è che qui è in discussione il fine, la concreta
solidarietà con la parte del Paese che stava già male prima del covid e ora si
trova con le spalle al muro. Con quel 60% di italiani che prima della pandemia
possedeva il13,3% della ricchezza nazionale e che ora si trova ad avere
difficoltà a livello di sopravvivenza.
Le favole e
il mondo reale
Qualcuno
farà subito presente, a questo punto, che non c’è più bisogno di nuove tasse,
perché è in arrivo il Recovery Fund. Questa risorsa non va certamente
sottovalutata. Ma bisogna anche precisare che se ne parla per lo più in termini
favolistici, come se fosse una manna caduta gratis dal cielo. Un regalo delle
fate, che non costerà nulla a nessuno.
Nel mondo
reale, c’è sempre qualcuno che alla fine deve pagare. E saranno i nostri figli,
che si troveranno davanti un debito pubblico ancora maggiore di quello che i
nostri padri hanno lasciato a noi e ne saranno schiacciati ancora più
pesantemente di come lo siamo stati e lo siamo noi. Invece di fare una
legittima scelta di solidarietà, con i limitati sacrifici che comporta da parte
di chi ha una sovrabbondanza di risorse, si preferisce scaricare sulle
generazioni future i costi del nostro egoismo.
“Comunista”
o cristiano?
A chi, dopo
queste riflessioni, mi accuserà di essere “comunista” – condividerei questa
accusa con papa Francesco, che anche lui se lo è sentito rinfacciare –, faccio
presente che secondo la morale della Chiesa cattolica, di cui mi onoro di essere
membro – considera doveroso fare della proprietà personale un uso sociale. Lo
ha ribadito l’attuale pontefice nella sua ultima enciclica «Fratelli tutti». Ma
lo hanno costantemente ripetuto, fin dai primi secoli del cristianesimo, i
Padri della Chiesa e tutti i papi.
Nella sua
enciclica «Populorum progressio» (1967) ha ricordato le parole del grande
vescovo sant’Ambrogio: «Non è del tuo avere che tu fai dono al povero; tu non
fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune
per l’uso di tutti, ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti, e non
solamente ai ricchi». E ha commentato: «È come dire che la proprietà privata
non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è
autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno,
quando gli altri mancano del necessario» (n.22).
L’Italia è
rimasto uno dei pochi Paesi d’Europa dove la maggioranza delle persone si
definiscono – anche se con sfumature molto diverse – “cattoliche”. Ma la parabola
del buon samaritano – recentemente ricordata da Francesco nella sua
enciclica, e narrata da Gesù per dire quale sia, insieme all’amore per Dio, «il
comandamento più grande» – ci costringe in questo frangente storico a
chiederci quali scelte possano darci il diritto di dirci, prima che cattolici,
cristiani.
*Pastorale
Cultura Diocesi Palermo
Nessun commento:
Posta un commento