Non si conoscono gli effetti nel medio-lungo termine dei percorsi per il cambio di sesso su chi è ancora adolescente. E ora molti specialisti ammettono: uno «stress etico»
L’inchiesta
della Tv pubblica 'The Trans Train' ha fatto esplodere la questione
sull’opportunità di concedere libera scelta ai ragazzini nell’accedere ai
percorsi per la transizione ormonale o chirurgica L’85% dei minori
interessati è nato donna, il 90% ha una diagnosi psichiatrica, il 45% è
autolesionista
Quanto ai
professionisti che somministrano i trattamenti ormonali e chirurgici,
intervistati si dicono sinceramente convinti di operare per il bene dei loro
assistiti in quanto, come spiegano, l’alternativa sarebbe una grande
sofferenza, insopportabile, da parte di chi non riesce a vedersi nel proprio
corpo. A un dolore indicibile, cioè, si risponde con quel che c’è a
disposizione: la transizione ormonale e chirurgica, che nel breve periodo
sembra essere la soluzione dei problemi. Tutti però ammettono che non
ci sono evidenze scientifiche sufficienti a supporto di questi percorsi. Dai
trattamenti che bloccano la pubertà agli ormoni cross sex, che dovranno essere
somministrati per tutta la vita, fino alla chirurgia: nessuno sa valutarne gli
effetti a tempi mediolunghi, perché di ricerche adeguate non ce ne sono. È scritto
anche nero su bianco nei documenti ufficiali della sanità svedese.
Non sapeva
di questa incertezza Aleksa, che adesso ha 20 anni e non rifarebbe più quel che
ha fatto, e per averlo detto pubblicamente è stata cacciata da gruppi social di
attivisti transgender. A esprimere dubbi e perplessità su procedure così
rapide, modifiche radicali e irreversibili in così giovane età, sono anche
coloro che la transizione l’hanno fatta vent’anni fa, quando erano in pochi e
il percorso era meno scontato, come Mikael Bjerkelly e Tone Maria Hansen del
Harry Benjamine Resource Center, a Oslo.
Gli esperti
intervistati snocciolano dati: il nuovo gruppo di pazienti Rodg (Rapid On-set
Gender Disphorya, minori che improvvisamente vogliono transitare al genere
opposto a quello di nascita, un numero in continuo aumento e talmente elevato
negli ultimi dieci anni che c’è chi parla di “epidemia”) è per l’85% nato
donna, per il 90% ha una qualche diagnosi psichiatrica, il 45% è
autolesionista, il 20% ha diagnosi di autismo, il 35% ha sintomi tali da
richiedere una ulteriore valutazione. Secondo il governo svedese il 40% dei
giovani transgender ha tentato il suicidio nell’attesa di essere valutato per
la transizione, ed è per evitare queste morti che Asa Lindhagen, del
Partito dei Verdi, Ministra per l’Eguaglianza di Genere, ha sostenuto
una legge per abbassare a 15 anni l’età minima per l’accesso alla transizione
senza il consenso dei propri genitori, e a 12 quella per richiedere il cambio
legale di genere. Ma è stata proprio l’indagine giornalistica “The Trans Train”
a scoprire che quel 40% non ha alcuna base scientifica, si tratta di un numero
inventato: imbarazzanti le interviste ai referenti del rapporto governativo,
che non sono stati in grado di indicare le fonti del dato che principalmente
giustificava la proposta di legge.
Secondo
Michael Biggs, professore di sociologia ad Oxford, dopo un anno di trattamento
i ragazzi peggiorano, aumentano autolesionismo e rischio di suicidio. Molti
specialisti dichiarano di vivere uno “stress etico”, nel somministrare questi
trattamenti. C’è chi prosegue nell’avviare i ragazzi a questi percorsi di
transizione, pur con mille dubbi, e chi invece rinuncia del tutto, ma non è
facile porre domande: Anne Waehre ha cercato di farlo con una lettera
pubblica al Ministro della Sanità norvegese, chiedendo chi sarà responsabile delle
“ragazze barbute della nazione”, e per questo è stata accusata di transfobia.
Già: di chi la responsabilità delle diagnosi sbagliate? È la domanda che
ricorre nel corso dell’inchiesta, a cui Rydelius Per-Anders, specialista del
Karolinska, risponde «È una responsabilità condivisa» fra i medici che valutano
e coloro che prestano il proprio consenso. Ma quale consapevolezza può esserci
nel consenso di un quindicenne, per di più immerso in tanti problemi
personali? Sono molte le domande senza risposte. Innanzitutto, sul fenomeno dei
detransitioners: quanti sono? Chi sono? Voleva studiare questo nuovo
fenomeno James Caspian, psicoperapeuta britannico paladino dei diritti dei
transgender, e fiduciario dell’associazione di beneficienza transgender The
Beaumont Trust; la sua università, però, la Bath Spa University, non gli ha permesso
di condurre la ricerca, ufficialmente non per l’argomento ma per il metodo
scientifico. Secondo quanto riportato dalle giornaliste di “The Trans
Train”, nella lettera di rigetto della ricerca l’università afferma che il
progetto è eticamente complesso e che i rischi sono troppo grandi per
l’università e per il ricercatore stesso. Ma perché dovrebbe essere pericoloso
studiare ragazzi che si pentono del percorso di transizione? Caspian si è
rivolto a tribunali inglesi, perdendo le cause, e adesso ha annunciato di
volersi rivolgere alla Corte Europea dei Diritti Umani.
Perché
soprattutto ragazze che rifiutano il proprio corpo? Perché quest’aumento
improvviso? Ha provato a rispondere Mikael Landén, del Dipartimento di
Psichiatria e Neurochimica dell’Università di Gothenburg, che in un suo
interessante articolo sulla rivista medica Läkartidningen parla di
«un’infezione psicologica legata alla cultura. Se le persone nella loro prima
adolescenza sono incoraggiate a pensare alla loro identità di genere e viene
insegnato che la disforia di genere è una variante normale, non è improbabile
che alcuni giovani indirizzeranno la loro ricerca di identità verso l’identità
di genere. Tale ricerca può diffondersi rapidamente nei social network, come
descritto per una serie di altri fenomeni come bulimia,
suicidio (aumenta quando personaggi famosi o qualcuno
che conosci si è tolto la vita), fumo obesità e altro.
L’aumento
dell’uso dei social media coincide nel tempo con l’aumento della
disforia di genere». E sottolineando ancora una volta la scarsità delle
conoscenze a proposito, suggerisce che «affinché le attività odierne di
correzione di genere non siano viste in futuro nello stesso modo in cui vediamo
oggi il trattamento dell’omosessualità, è preferibile un atteggiamento medico
nei confronti degli adolescenti con disforia di genere, piuttosto che vederlo
come una questione di diritto per gli adolescenti di cambiare il proprio corpo
chirurgicamente».
Nel
frattempo, il governo svedese ha accantonando il progetto di legge e, su
proposta del Consiglio nazionale di etica medica, si è rivolto a tre agenzie
governative, l’Agenzia nazionale svedese per la valutazione medica e sociale
(Sbu), l’Agenzia svedese per i prodotti medicinali e il Consiglio
Nazionale della Sanità ed il Benessere, chiedendo approfondimenti in merito per
le rispettive competenze. Quest’ultimo sta rivedendo le linee guida per i
trattamenti di bambini e adolescenti con disforia di genere, che saranno
diffuse per una consultazione pubblica nel 2021 e concluse nel 2022. Intanto si
stanno organizzando gruppi di genitori, preoccupati per i propri figli che
stanno attraversando la disforia di genere, come quello per i genitori di
ragazzi Rodg (tinyurl.com/yxz3cjy3), in lingua inglese e tedesca, o dei
finandesi di KirJo (tinyurl.com/y3l2jn6ee) di cui fanno parte anche
detransitioners. E nell’estate del 2019 si è registrata una
diminuzione del 65% dei rinvii alle cliniche per la disforia di genere in
Svezia, secondo Louise Frisén, professore associato di Psichiatria del bambino
e dell’adolescente alla clinica Kid, per l’incongruenza di genere e la disforia
di genere, a Stoccolma. I dati sono stati presentati ad un seminario nel
Consiglio Svedese di Etica Medica lo scorso febbraio 2020. Una novità che
potrebbe essere il primo risultato della discussione pubblica in corso, a cui
la proiezione dell’inchiesta “The Trans Train” sembra aver dato un contributo
importante.
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