In questa notte si compie la grande profezia di Isaia: «Un
bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5).
Ci è stato dato un figlio. Si sente spesso
dire che la gioia più grande della vita è la nascita di un bambino. È qualcosa
di straordinario, che cambia tutto, mette in moto energie impensate e fa
superare fatiche, disagi e veglie insonni, perché porta una grande felicità, di
fronte alla quale niente sembra che pesi. Così è il Natale: la nascita di Gesù
è la novità che ci permette ogni anno di rinascere dentro, di trovare in Lui la
forza per affrontare ogni prova. Sì, perché la sua nascita è per noi: per me,
per te, per tutti noi, per ciascuno. Per è la parola che
ritorna in questa notte santa: «Un bambino è nato per noi», ha
profetato Isaia; «Oggi è nato per noi il Salvatore», abbiamo
ripetuto al Salmo; Gesù «ha dato se stesso per noi» (Tt 2,14),
ha proclamato San Paolo; e l’angelo nel Vangelo ha annunciato: «Oggi è
nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Per me, per
voi.
Ma che cosa vuole dirci questo per noi? Che il
Figlio di Dio, il benedetto per natura, viene a farci figli benedetti per
grazia. Sì, Dio viene al mondo come figlio per renderci figli di Dio. Che dono
stupendo! Oggi Dio ci meraviglia e dice a ciascuno di noi: “Tu sei una
meraviglia”. Sorella, fratello, non perderti d’animo. Hai la tentazione di
sentirti sbagliato? Dio ti dice: “No, sei mio figlio!” Hai la
sensazione di non farcela, il timore di essere inadeguato, la paura di non
uscire dal tunnel della prova? Dio ti dice: “Coraggio, sono
con te”. Non te lo dice a parole, ma facendosi figlio come te e per te, per
ricordarti il punto di partenza di ogni tua rinascita: riconoscerti figlio di
Dio, figlia di Dio. Questo è il punto di partenza di qualsiasi rinascita. È
questo il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente
che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e dei nostri
difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e
dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati. E
l’amore di Dio per noi non dipende e non dipenderà mai da noi: è amore gratuito.
Questa notte non trova spiegazione in altra parte: soltanto, la grazia. Tutto è
grazia. Il dono è gratuito, senza merito di ognuno di noi, pura grazia.
Stanotte, ci ha detto san Paolo, «è apparsa infatti la grazia di Dio» (Tt 2,11).
Niente è più prezioso.
Ci è stato dato un figlio. Il Padre non ci ha dato qualcosa, ma il suo stesso Figlio
unigenito, che è tutta la sua gioia. Eppure, se guardiamo all’ingratitudine
dell’uomo verso Dio e all’ingiustizia verso tanti nostri fratelli, viene un
dubbio: il Signore ha fatto bene a donarci così tanto, fa bene a nutrire ancora
fiducia in noi? Non ci sopravvaluta? Sì, ci sopravvaluta, e lo fa perché ci ama
da morire. Non riesce a non amarci. È fatto così, è tanto diverso da noi. Ci
vuole bene sempre, più bene di quanto noi riusciamo ad averne per noi stessi. È
il suo segreto per entrare nel nostro cuore. Dio sa che l’unico modo per
salvarci, per risanarci dentro, è amarci: non c’è un altro modo. Sa che noi
miglioriamo solo accogliendo il suo amore instancabile, che non
cambia, ma ci cambia. Solo l’amore di Gesù trasforma la vita, guarisce le
ferite più profonde, libera dai circoli viziosi dell’insoddisfazione, della
rabbia e della lamentela.
Ci è stato dato un figlio. Nella povera mangiatoia
di una buia stalla c’è proprio il Figlio di Dio. Sorge un’altra domanda: perché
è venuto alla luce nella notte, senza un alloggio degno, nella povertà e nel
rifiuto, quando meritava di nascere come il più grande re nel più bello dei
palazzi? Perché? Per farci capire fino a dove ama la nostra condizione umana:
fino a toccare con il suo amore concreto la nostra peggiore
miseria. Il Figlio di Dio è nato scartato per dirci che ogni scartato è figlio
di Dio. È venuto al mondo come viene al mondo un bimbo, debole e fragile,
perché noi possiamo accogliere con tenerezza le nostre fragilità. E scoprire
una cosa importante: come a Betlemme, così anche con noi Dio ama fare grandi
cose attraverso le nostre povertà. Ha messo tutta la nostra salvezza nella
mangiatoia di una stalla e non teme le nostre povertà: lasciamo che la sua
misericordia trasformi le nostre miserie!
Ecco che cosa vuol dire che un figlio è nato per noi.
Ma c’è ancora un per, che l’angelo dice ai pastori: «Questo per voi
il segno: un bambino adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Questo
segno, il Bambino nella mangiatoia, è anche per noi, per orientarci nella vita.
A Betlemme, che significa “Casa del pane”, Dio sta in una mangiatoia, come a
ricordarci che per vivere abbiamo bisogno di Lui come del pane da mangiare.
Abbiamo bisogno di lasciarci attraversare dal suo amore gratuito, instancabile, concreto.
Quante volte invece, affamati di divertimento, successo e mondanità,
alimentiamo la vita con cibi che non sfamano e lasciano il vuoto dentro! Il
Signore, per bocca del profeta Isaia, si lamentava che, mentre il bue e l’asino
conoscono la loro mangiatoia, noi, suo popolo, non conosciamo Lui, fonte della
nostra vita (cfr Is 1,2-3). È vero: insaziabili di avere, ci
buttiamo in tante mangiatoie di vanità, scordando la mangiatoia di
Betlemme. Quella mangiatoia, povera di tutto e ricca di
amore, insegna che il nutrimento della vita è lasciarci amare da Dio e amare gli
altri. Gesù ci dà l’esempio: Lui, il Verbo di Dio, è infante; non parla, ma
offre la vita. Noi invece parliamo molto, ma siamo spesso analfabeti di
bontà.
Ci è stato dato un figlio. Chi ha un bimbo
piccolo, sa quanto amore e quanta pazienza ci vogliono. Occorre nutrirlo,
accudirlo, pulirlo, prendersi cura della sua fragilità e dei suoi bisogni,
spesso difficili da comprendere. Un figlio fa sentire amati, ma insegna anche
ad amare. Dio è nato bambino per spingerci ad avere cura degli altri. Il suo
tenero pianto ci fa capire quanto sono inutili tanti nostri capricci; e ne
abbiamo tanti! Il suo amore disarmato e disarmante ci ricorda che il tempo che
abbiamo non serve a piangerci addosso, ma a consolare le lacrime di chi soffre.
Dio prende dimora vicino a noi, povero e bisognoso, per dirci che servendo i
poveri ameremo Lui. Da stanotte, come scrisse una poetessa, «la residenza di
Dio è accanto alla mia. L’arredo è l’amore» (E. Dickinson, Poems,
XVII).
Ci è stato dato un figlio. Sei Tu, Gesù, il Figlio che mi rende figlio. Tu mi ami come
sono, non come mi sogno di essere; io lo so! Abbracciando Te, Bambino della
mangiatoia, riabbraccio la mia vita. Accogliendo Te, Pane di vita, anch’io
voglio donare la mia vita. Tu che mi salvi, insegnami a servire. Tu che non mi
lasci solo, aiutami a consolare i tuoi fratelli, perché Tu sai da stanotte sono
tutti miei fratelli.
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