Vecchioni: senza il latino sarebbe una vita in bianco e nero
Dal giugno 2019 il canale italiano della Radio Vaticana trasmette un vademecum settimanale dedicato ai cultori della lingua latina, sui generis e ante litteram, che accompagna il notiziario in lingua latina Hebdomada Papae. La trasmissione - che s’intitola Anima Latina: radio colloquia de lingua ecclesiae - è realizzata con la collaborazione dell’Ufficio Lettere latine della Segreteria di Stato Vaticana ed è giunta il 13 dicembre scorso alla sua quarantesima puntata. Il programma - in onda la domenica alle 17.35 su Radio Vaticana - ospita settimanalmente gli scriptores dell’Ufficio Lettere latine che spiegano e commentano i tweet in lingua latina di Papa Francesco, i curiosi neologismi del Lexicon recentis latinitatis e le parole del gergo ecclesiale o le espressioni e i proverbi latini entrati nel linguaggio comune. Viene dato ampio spazio poi agli studiosi, i docenti, gli artisti e i letterati che, in Italia e non solo, coltivano, insegnano e promuovono in qualunque modo le lingue classiche. Proprio per festeggiare il traguardo delle quadraginta puntate, Anima Latina ha ospitato Roberto Vecchioni, uno dei padri della canzone d’autore italiana, che per molti anni è stato professore di greco e latino e attualmente insegna Forme di poesia in musica all’Università di Pavia. Vecchioni ha appena pubblicato un libro, "Lezioni di volo e di atterraggio", dedicato alla sua esperienza di insegnante. Ai nostri microfoni, gioca volentieri a fare il "professore".
Una trasmissione futurista
“Ce ne sono di folli al mondo!”, esordisce il prof.
Vecchioni. “Ma per realizzare una trasmissione radio sul latino bisogna essere
proprio unici e rari”. Qualcuno potrebbe considerarla una trasmissione
oscurantista, fatta per i laudatores temporis acti, ma
Vecchioni non è di questo avviso. “Io al contrario penso che siate degli
antesignani, dei futuristi, di quelli che guardano avanti”. “La nostra vita si
fonda su ciò che è successo nell’antichità, per cui voi rispolverate qualcosa
di fondamentale che molti hanno lasciato nell’oblio, nel Lete, il fiume
dantesco della dimenticanza”.
Secondo Vecchioni “rinnovare il senso della parola latina
significa ridare senso alla parola italiana”, un senso che si sta perdendo in
un modo “indecifrabile”. Inoltre, spiega, “il latino e il greco hanno una
costruzione logica precisa e attenta a ciò che si vuole dire che ormai la
lingua italiana ha un po’ perso”. “Se parli in latino ciò che dici e racconti è
più intellegibile. Ma soprattutto sono più intellegibili i testi scritti. Se io
leggo un buon Seneca, ma anche un Cicerone - anche se Cicerone è un po’
rompiscatole - mi rendo subito conto di come si discute, si discorre, di come
si parla dell’anima, con parole precise e straordinarie che poi sono arrivate
fino a noi. Quasi tutto quello che diciamo, infatti, è latino o greco”.
Usiamo parole che non capiamo
Il prof. Vecchioni si dice molto stupito dal fatto che ormai
le persone pronuncino le parole senza conoscerne il significato e fa l’esempio
proprio della parola “pandemia”. “Si tratta di una parola che nel senso maligno
del termine non esiste. Pandemia è una parola di origine greca che significa
‘di tutto il popolo’ e basta. Nel termine non si fa cenno ad alcuna malattia:
era la dea Venere, o Afrodite, che era chiamata pandémios perché
spargeva il suo amore in tutto il mondo”. “Quindi - conclude Vecchioni -
una parola che per noi oggi è sinonimo di malattia, per gli antichi era segno
di qualcosa di straordinario come l’amore fisico, quello in cui Venere era
specializzata”.
Secondo Vecchioni le parole si perdono, se ne vanno,
sfuggono. “Noi oggi adoperiamo delle parole che in latino o in greco sono più
che intelligibili, ma non ne conosciamo il cuore, il corpo, la radice, non
sappiano come sono nate e quindi non le intendiamo per niente”. Secondo
l’autore di canzoni come “Luci a San Siro” e “Samarcanda”, questo è un peccato
gravissimo: “Non possiamo amarle le parole, se non le capiamo”.
Depositari di un tesoro
“Noi che amiamo e coltiviamo queste lingue - aggiunge Roberto
Vecchioni - siamo i depositari di un tesoro che ormai rischia di perdersi.
Arriverà un giorno in cui non sapremo più di che cosa stiamo parlando. Succede
già ormai in ambito scientifico: molti hanno scordato come si fanno le
addizioni perché stiamo dimenticando come si usa il cervello, demandando tutto
a un altro cervello”.
Il rischio di perdere le sfumature
Ma cosa perderebbe davvero l’umanità se un giorno sparisse
ogni conoscenza del latino, del greco, delle lingue classiche? Secondo
Vecchioni la nostra sarebbe “un’altra umanità” e purtroppo ci siamo già avviati
su questo cammino. “Io non mi considero un bacchettone o uno che rimpiange il
passato. Sono un amante del tempo antico, ma non per questo sono fuori dal
tempo. So benissimo che tutto ciò si perderà, ma i miei figli li ho educati al
mondo classico e credo abbiano un tesoro su cui vivere”. “Mi auguro che i miei
nipoti siano educati alla stessa maniera - aggiunge - perché voglio che
qualcuno mantenga accesa questa fiamma”. “Il giorno in cui avremo dimenticato
il latino e il greco avremo perso le sfumature, il piacere, la curiosità.
Saremo molto più pragmatici, la vita sarà più veloce”, conclude Vecchioni. “Ma
avremo perso i colori dell’esistenza, ci resteranno solo il bianco o il nero.
Mentre il latino e il greco ce ne danno una gamma vastissima, ci danno i colori
dell’arcobaleno”.
Nessun commento:
Posta un commento