Seconda domenica di Avvento, anno di Marco
Is 35,1-10 /2 Pt 3,8-14 / Mc 1, 1-8
Un nuovo inizio
Inizio del Vangelo di Gesù Cristo. È
una nuova Genesi, una nuova Creazione, un nuovo inizio. Perciò il giovane
Giovanni Marco, uno dei discepoli della prima ora, di Gerusalemme, ha accettato
il compito di redigere un testo ad uso delle nascenti comunità, dei sedotti dal
Nazareno, dei cercatori. E non ha fatto un trattato di teologia o una raccolta
di detti al modo dei rabbini, ma un racconto. Il racconto. E lo ha intitolato
vangelo, cioè buone notizie come erano chiamati i racconti delle gesta degli
imperatori a partire da Cesare Ottaviano Augusto, il figlio adottivo di Giulio
Cesare, il primo a pacificare l’intero Impero Romano. Ma, alla sua morte, la
pax romana è stata subito travolta da beghe ed intrighi. Qui parliamo di ben
altre buone notizie. Marco, discepolo di Pietro apostolo, forse su suo
suggerimento, inventa il genere letterario Vangelo. Non più l’elenco delle
presunte prodezze dell’imperatore. Ma la notizia di un Dio che viene. Che
ricostruisce. Che ricrea.
E di questo parla il Vangelo di
Marco: di una nuova Creazione, di un nuovo inizio. Abbiamo appena ricominciato
il tempo di avvento in preparazione al Natale. Un Natale che si preannuncia
diverso, faticoso, unico. Questo difficile 2020 sta finendo e il Natale
coinciderà, per scelta dei nostri padri, con il solstizio d’inverno, la notte
più lunga dell’anno. Ma dal giorno dopo i giorni, impercettibilmente,
cominceranno a crescere. Come è stato Cristo nella nostra vita: luce crescente,
luce vittoriosa, sol invictus.
Come può essere ancora questo Natale:
una nuova Creazione. Soprattutto questo Natale. Per farlo, però, siamo chiamati
ad aprire mente e cuore. Osare. Volare. Per farlo dobbiamo rompere gli schemi.
Come Giovanni. La voce che grida È figlio di un sacerdote ma fa il profeta. Ha
frequentato Gerusalemme, la capitale, la Santa, ma si è rifugiato nel deserto,
fuggendola. Tutti chiedono sacrifici nel rinato tempio. Lui propone la
conversione. E fa scendere la gente attraverso il deserto di Giuda fino al
Giordano, in un nuovo Esodo. Non propone le abluzioni rituali ma un vero e
proprio battesimo di immersione. Un simbolo di un cambiamento di vita radicale.
Non piccoli aggiustamenti di rotta, ma un nuovo percorso.
L’antipatico signor Covid ha azzerato le
nostre certezze, ci ha spaventato, ci ha messo a dura prova, ha colpito, ha
ucciso tante persone, ha stravolto le nostre abitudini. Ci ha soverchiato,
ridefinendo le nostre priorità. Purificando la nostra fede. E, con ogni
probabilità, ci obbligherà a fare a meno dei decori con cui abbiamo addobbato
il Natale, talvolta fino a nasconderlo, fino a soffocarlo. Vedremo, vedrò, cosa
resterà del Natale senza luci, senza cenoni, senza zucchero e melassa, senza
apparenza.
Vedremo se ci sarà sostanza. Io penso di sì. Se ci facciamo
accompagnare. Giovanni il Battista non fa sconti: se vuoi un nuovo inizio, se
vuoi buone notizie devi prepararti a qualcosa di forte, di più forte.
Specialmente se già credente. Devi osare. L’unico modo che abbiamo per fare di
questo Natale una qualche rinascita è convertirci. Ah, solo! E ascoltare i
profeti che ci invitano a preparare le strade. Dio viene quando meno ce lo
aspettiamo. Viene come non ce lo immaginiamo. E non sappiamo dove e come. Ma
viene. Se ci trova. Un nuovo Natale Non siamo qui a far finta che poi Gesù
nasce. È già nato nella Storia, tornerà nella gloria. Ma qui e ora, in questo
2020 così impegnativo, chiede ad ogni uomo di essere accolto. Possiamo
celebrare mille natali senza che mai, davvero, Cristo nasca in noi, dicevano i
Padri della Chiesa, Maestri nella fede. oppure, infine, ribaltare le nostre
certezze, accogliere questo Dio bambino che si consegna, che si affida, che
cerca ospitalità.
Un Dio, come vedremo, che inquieta,
che obbliga a schierarsi che, da subito, è segno di contraddizione. Non un dio
ninnolo, non un dio decorativo, non un dio inutile. Non un dio da tirare per la
giacchetta, non un dio assicuratore sulla vita, non un dio a mio servizio. Ma
un Dio che, stanco di non farsi capire, viene in mezzo a noi.
Diventa uomo. Sa. Conosce. Un Dio che,
infine, può essere incontrato, raggiunto, amato. Un Dio che ama, che mi ama
fino a diventare uomo. Questo accade in ogni Natale, in questo Natale di
pandemia. A noi, se osiamo, alzare lo sguardo. Sandali Giovanni è il
protagonista di questo avvento. Un grande, il più grande. Potrebbe prendersi
per il Messia, tutti pensano che lo sia. Potrebbe prendersi per Dio, cosa che
molti, ancora oggi, fanno. Ma sa che non è lui la luce. Lo ha scoperto, lo ha
capito, lo ha accettato trovando il suo posto, la sua collocazione nel grande
disegno di Dio. Pensa di avere capito tutto.
Dovrà ancora fare molta strada su
percorsi che non si immagina. Il suo messaggio è chiaro: non è degno di
slacciare i sandali di chi viene. Il Talmud scrive: “Il discepolo è invitato a
compiere verso il suo maestro ogni genere di servizi che uno schiavo compie
verso il suo padrone, a eccezione di sciogliere i sandali”. Giovanni, invece,
afferma che lo farebbe, senza timore di umiliarsi, ma che il suo maestro, che
questo Maestro è troppo grande anche per lui, il più grande fra i nati. Alcuni
studiosi vedono in quel riferimento il gesto che l’avente diritto a sposare la
vedova senza figli, secondo la legge del levirato, compiva se rinunciava al suo
diritto. Il nuovo pretendente gli sfilava il sandalo. Come se Giovanni dicesse:
io non ho nessuna pretesa di rubare la sposa, Israele, al pretendente, il
Messia.
Grida, Giovanni. E la folla accorre. Gridano i
profeti, ancora oggi, e ci invitano a stare desti, a svegliarci. Ancora viene
Dio. Non si stanca di noi. Soprattutto oggi. Soprattutto quest’anno.
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