sul braccio dicono
se un bimbo
ha perso tutto
L'acronimo Wcnsf segnala
se un bambino ferito è sopravvissuto senza familiari. Unicef: sono 2.596 i
piccoli rimasti senza entrambi i genitori, sono saltate tutte le reti di aiuto
per l'infanzia
-di Riccardo
Michelucci
Secondo i dati Unicef
aggiornati all’inizio di settembre, 2.596 bambini hanno perso entrambi i
genitori mentre altri 53.724 sono rimasti orfani del padre o della madre. Ma
dietro alla fredda contabilità delle cifre ci sono storie come quella di Wesam,
tre anni, che il 13 agosto stava dormendo con i genitori, i nonni e il
fratellino quando la loro casa di famiglia a Gaza City è stata bombardata.
Wesam è l’unica sopravvissuta ma ha riportato gravi ferite alla gamba e
all’addome, oltre a lesioni al fegato e a un rene. L’Unicef ha dichiarato che
la bambina dovrebbe essere evacuata con urgenza all’estero per ricevere cure
avanzate che le consentano di salvare la gamba sinistra dall’amputazione.
Gli operatori sanitari
hanno sempre più difficoltà a fornire cure per le ferite fisiche dei bambini e
con il crollo di gran parte delle istituzioni sociali, solo piccole reti
comunitarie e gruppi umanitari continuano a prendersi cura dei bambini orfani o
cercano di rintracciare eventuali parenti sopravvissuti. L’Ong britannica War
Child è una delle poche organizzazioni umanitarie ancora presenti sul campo che
ricevono chiamate dalle cliniche d’emergenza riguardo ai casi Wcnsf. I suoi
assistenti sociali perlustrano i campi di sfollati alla ricerca di bambini non
accompagnati e cercano di affidarli ad adulti disposti a prendersene cura. Ma è
estremamente difficile trovare famiglie in grado di accogliere bambini in un
contesto di grave carenza alimentare, e trasportare un bambino ferito è molto
costoso.
«Questo è il primo
scenario bellico che ha richiesto la creazione di un simile acronimo», ha
spiegato Kieran King, responsabile di War Child. «Persino in Siria o
Afghanistan, c’era quasi sempre qualcuno che si prendeva cura dei bambini. Qui,
invece, non c’è più nessuno». Radeh, 13 anni, ha visto morire la madre davanti
ai suoi occhi, colpita da un cecchino. Il padre era già morto. Da allora è
silenziosa, schiva, tormentata da incubi e dolori allo stomaco. Vive in uno dei
pochi centri sostenuti da War Child, dove riceve supporto psicologico. Il danno
mentale inflitto a questa generazione di bambini a Gaza è incalcolabile.
Soffre di incubi e
insonnia anche Alma Jaarour, 12 anni, estratta viva alcuni mesi fa dalle
macerie della sua casa. È l’unica superstite della sua famiglia. Nel
bombardamento israeliano che ha distrutto il loro isolato a Gaza City ha perso
i genitori e i fratelli, insieme a decine di altri parenti che si erano
rifugiati insieme in un palazzo di cinque piani.
Tra quel che resta delle rovine della
Striscia, sono sempre più numerosi i ragazzini che rovistano tra i rifiuti alla
ricerca di cibo o si ammassano nei punti di distribuzione degli aiuti, sfidando
il rischio costante della ripresa dei bombardamenti.
E mentre il mondo spera
nella tenuta del cessate il fuoco e discute di corridoi umanitari, nelle
cliniche da campo si accumulano le cartelle mediche con quella scritta: Wcnsf.
Immagine : Un bimbo
palestinese appena nato all'ospedale di Khan Younis / Reuters
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