martedì 23 settembre 2025

EDUCARE, RESISTENZA RIVOLUZIONARIA

 


Educare alla pace

 è un atto 

di resistenza

 rivoluzionaria


 



-         di Lorenzo Rosoli

 Il presidente della Cei ha aperto i lavori del Consiglio episcopale permanente, che si tiene a Gorizia.

Dalla guerra a Gaza al fine vita, passando per la sinodalità, ecco tutti i temi toccati.

L'educazione alla pace come «atto di resistenza rivoluzionaria» in tempi in cui «si teorizza che la guerra sia una compagna naturale della storia dell'uomo».

La pace come «vocazione» dell'Italia e dell'Europa che la Chiesa vuole aiutare a promuovere e realizzare.

L'impegno per una «rinnovata passione per la vita», che va difesa «dal suo inizio alla fine».

La risposta al “bisogno” di «una rinascita della Chiesa come comunità, che generi santità e speranza per il futuro», come emerge dal «desiderio di spiritualità, di interiorità, di comunione e di Chiesa» che le nuove generazioni hanno manifestato al Giubileo dei giovani come in occasione delle recenti canonizzazioni di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis.

Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia che offre al cammino dei prossimi anni la sfida di costruire Chiese «sempre più missionarie e comunionali».

È un invito a «guardare le sfide ecclesiali e sociali del nostro tempo come farebbe Gesù» quello lanciato dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, nell'Introduzione ai lavori della sessione autunnale del Consiglio episcopale permanente, che si è aperta oggi pomeriggio a Gorizia, dove proseguirà fino a mercoledì 24 settembre.

E che, martedì 23, offrirà due momenti particolarmente significativi: nel pomeriggio l'incontro dei vescovi italiani con i confratelli sloveni e croati; a sera la veglia di preghiera per la pace nel mondo che – con la partecipazione di giovani italiani e sloveni – verrà celebrata in piazza Transalpina, ieri luogo simbolo di un mondo lacerato dalle guerre e dalle ideologie, oggi invece luogo simbolo dell'incontro e della fraternità fra i popoli.

Luogo che ci ricorda che «niente del passato va perduto», ma che «nessun confine è invalicabile», come ha ricordato il presidente della Cei spiegando il motivo per cui questo Consiglio permanente viene celebrato a Gorizia – su invito del suo arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, nell'anno in cui Gorizia e Nova Gorica sono, insieme, prima capitale europea transfrontaliera della cultura.

Le prime parole del cardinale Zuppi sono dedicate ad un suo predecessore alla presidenza della Cei, il cardinale Camillo Ruini, perché dopo le notizie sul suo ricovero in ospedale, il porporato si possa al più presto e al meglio ristabilire in salute (sia il cardinale vicario di Roma Baldo Reina sia il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico della Cattolica, hanno confermato dal canto loro il miglioramento delle sue condizioni).

Ecco, quindi, Zuppi ricordare la vocazione di Gorizia come «segno visibile di unità e di dialogo», ha detto citando Giovanni Paolo II.

Ed eccolo allargare subito lo sguardo all'Europa per rievocarne le fatiche e le fragilità ma anche la vocazione, quella di essere «maestra di pace», che chiama a rilanciare il «sogno di Giovanni Paolo II» perché l'Europa «respiri a due polmoni», e ad impegnarsi per «dare anima all'Europa e difenderne i valori fondativi con una nuova Camaldoli».

Lo scenario, ne è consapevole il presidente della Cei, è quello della «paura del futuro».

E di un moltiplicarsi delle guerre che, citando papa Francesco, lasciano il mondo sempre peggiore di come l'hanno trovato.

«La guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni di persone» ha sottolineato Zuppi.

E «come non pensare a Gaza», ha subito aggiunto, rilanciando le parole e gli appelli di Leone XIV e assicurando che, «come Chiesa italiana, continueremo ad alleviare la crisi umanitaria e la sofferenza inaccettabile e ingiustificabile con ulteriori iniziative di cui daremo notizia prossimamente» (e a braccio ha aggiunto di sperare in un «presidio a Gaza» da realizzare «presto»).

Altra dimostrazione che «la guerra è il fallimento della politica e dell'umanità» è l'Ucraina.

Tornando ad ampliare lo sguardo: «è avvenuto un cambio di paradigma, ormai generalizzato, con la riabilitazione della guerra come strumento politico o di affermazione dei propri interessi».

Mentre la crisi dell'Onu chiama a riprendere e rilanciare le parole con cui Paolo VI cinquant'anni fa – era il 4 ottobre 1965 – riconobbe nell'Organizzazione delle Nazioni Unite «il riflesso del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra».

Siamo nella «età della forza» e, per dirla con Leone XIV, al tempo della «globalizzazione dell'impotenza» alla quale rispondere con quella «cultura della riconciliazione» e quella pace che «inizia dalla prossimità» che tanti testimoni cristiani hanno saputo vivere e seminare «nella tempesta del male».

La sfida, dunque: educare alla pace – e fare delle parrocchie e delle comunità cristiane case di pace e di non violenza – per non «rimanere intrappolati nella polarizzazione» che disumanizza l'interlocutore e semina odio.

Altro tema cruciale dell'Introduzione del presidente della Cei: «La Chiesa, fedele al Vangelo di Cristo, aiuta una rinnovata passione per la vita, che difende dal suo inizio alla fine, trasmette la gioia di donarla, la bellezza della famiglia, il senso di essere comunità, rappresenta un noi attraente e umano».

Ecco dunque il cardinale Zuppi riaffermare quanto dichiarato in tempi recenti, perché «si giunga, a livello nazionale, a interventi che tutelino nel miglior modo possibile la vita, favoriscano l'accompagnamento e la cura nella malattia, sostengano le famiglie nelle situazioni di sofferenza.

Ribadiamo, peraltro, che la legge sulle cure palliative non ha ancora trovato completa attuazione» e non si è raggiunto l'obiettivo di renderle davvero garantite a tutti.

«Sulla vita non ci possono essere polarizzazioni o giochi al ribasso» ha affermato Zuppi.

Ecco, infine, le parole dedicate al Giubileo dei giovani e alle canonizzazioni di Frassati e Acutis a ricordare che «c'è bisogno di una rinascita della Chiesa come comunità, che generi santità e speranza per il futuro; comunità che non siano aziende, ma famiglia di coloro che «ascoltano e mettono in pratica la Parola annunciando la fede nel Cristo risorto e nella vita eterna».

Le comunità cristiane siano «luoghi dove imparare a volersi bene», nella luce di quella Parola che verrà meditata nella veglia di domani – «Cristo è la nostra pace», dalla lettera agli Efesini. Ebbene: «La grazia che chiediamo in questi ultimi mesi del Giubileo” è che “la speranza rifiorisca nella Chiesa».

«Dopo questo Giubileo, con la grazia di questo Anno, siamo chiamati a guardare con uno sguardo missionario il futuro del nostro Paese».

Perciò serve una Chiesa «creatrice di fraternità» e che «genera comunità».

Declinazione ulteriore di questa «amicizia ecclesiale», ha concluso Zuppi, si coglie «negli ultimi passi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia».

Ebbene: se «il Cammino sinodale finirà verosimilmente tra un mese», con la terza Assemblea sinodale del 25 ottobre, «come vescovi ci attende un impegno delicato che va ben oltre, e riguarda i prossimi passi delle nostre Chiese: accogliere, discernere e concretizzare quanto ci verrà consegnato dall'Assemblea sinodale», per fare della sinodalità «uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e protetiche», per costruire Chiese «sempre più missionarie e comunionali».

Si tratta, dunque, di guardare alla Chiesa e alla società «come farebbe Gesù».

Ecco: «Forse a noi spetta il compito di seminare e ad altri di mietere».

Quello che conta è «essere portatori di speranza come i giovani che sanno costruire il loro futuro, diventare costruttori umili e tenaci di una pace giusta e di tanta fraternità tra le persone».

 www.avvenire.it

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