Il linguaggio digitale
traduce tutto
nella semplificazione
0/1: on/off, bianco/nero, pro/contro.
Siamo sempre meno capaci
di abitare le sfumature,
tollerare l’ambiguità,
convivere con la complessità.
Il
tema scelto da papa Leone XIV per la 60esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali –
“Custodire voci e volti umani” – tocca il cuore di una questione che definisce
il nostro tempo: come mantenere l’umanità al centro quando la tecnologia
pervade ogni aspetto della nostra esistenza, e il confine tra macchine ed
esseri umani sembra assottigliarsi sempre più.
Per Platone, e altri dopo di lui, la tecnica è un “farmaco”: da
una parte ci cura e potenzia le nostre capacità, ma dall’altra ci intossica. E
queste due dimensioni, con buona pace di apocalittici e integrati, sono
inevitabili e inseparabili. Quello che possiamo tentare è una “farmacologia
positiva”, che limiti gli effetti tossici e valorizzi quelli curativi. L’intelligenza artificiale offre certo possibilità
straordinarie – dalla diagnosi medica precoce alla risoluzione di problemi
complessi, dall’efficienza comunicativa all’accessibilità dell’informazione.
Tuttavia, il Papa ci avverte che la stessa tecnologia può generare
«contenuti accattivanti ma fuorvianti, manipolatori e dannosi», replicare
pregiudizi e amplificare disinformazione.
Il linguaggio digitale
traduce tutto nella logica binaria dello 0/1. Questa semplificazione sta
contagiando sempre più il nostro pensiero e i nostri rapporti umani: on/off,
bianco/nero, pro/contro, amico/nemico. Stiamo perdendo la capacità di abitare
le sfumature, di tollerare l’ambiguità, di convivere con la complessità.
Il digitale favorisce la
polarizzazione anche perché gli algoritmi amplificano i contenuti che generano
ingaggio, e nulla genera più ingaggio della rabbia e dell’indignazione. Si crea
così un circolo vizioso dove la moderazione viene punita e l’estremismo
premiato. Questo meccanismo può portare a forme di identità e di politica
basate sulla identificazione del nemico da annientare: una vera e propria
“odiocrazia”.
Come proteggersi da tutto
ciò? Innanzitutto, rinunciando alla comodità di delegare il pensiero alla
macchina: come infatti l’industrializzazione ha privato le persone del loro
“saper fare”, così oggi il digitale rischia di compromettere il nostro “saper pensare”.
Lo scriveva già Bersanos a metà del secolo scorso: «Il pericolo non si
trova nella moltiplicazione delle macchine, ma nel numero sempre crescente di
uomini abituati, fin dall’infanzia, a non desiderare altro che ciò che le
macchine possono dare».
Dal digitale, comunque,
non si può più uscire: è diventato l’aria che respiriamo, l’ecosistema in cui
viviamo. Non possiamo tornare a un’era pre-digitale, né sarebbe auspicabile
farlo. La questione diventa: dove appoggiamo la nostra critica? Su cosa fondiamo
la nostra resistenza alla colonizzazione totale del digitale?
Il Papa suggerisce una strada: mantenere «l’umanità come
agente guida». La critica deve radicarsi in ciò che il digitale non può
catturare, che non è “datificabile” né automatizzabile: l’esperienza vissuta,
l’interiorità, la capacità di contemplazione, il silenzio fecondo, l’intuizione
che precede la razionalizzazione. Non tutto può essere tradotto in algoritmi.
L’amore, la sofferenza autentica, la creatività genuina, l’esperienza del
sacro, la bellezza che commuove, la giustizia che indigna mantengono una
dimensione di mistero e imprevedibilità che sfugge al codice binario e alla
manipolazione algoritmica. La persona umana porta in sé una dimensione di
infinito che nessun sistema finito può contenere completamente. E la bussola
per non smarrire la strada non sono principi astratti, ma il volto concreto
dell’altro. Potremmo rileggere la celebre formulazione kantiana “il cielo
stellato sopra di me e la legge morale in me” come “il cielo stellato sopra di
me e il volto dell’altro davanti a me”. Entrambi rappresentano l’irriducibile
singolarità: ogni stella unica nel firmamento, ogni volto unico nell’umanità.
L’infinito e il finito che si abbracciano e formano una unità indissolubile e
irriducibile. Il volto dell’altro, come insegnava Emmanuel Lévinas, è epifania dell’infinito nel finito,
appello etico che precede ogni computazione. È nel riconoscimento di questa
singolarità che possiamo fondare la resistenza alla riduzione dell’umano a
profilo digitale. Ma la cultura individualista di cui siamo imbevuti ci porta a
vedere nell’altro una minaccia, o al massimo uno strumento per la propria
realizzazione. E il digitale, coniugandosi con l’individualismo contemporaneo,
ci trasforma in profili isolati, ingranaggi di una megamacchina che ci connette
tecnicamente ma ci separa umanamente. Profili statistici piuttosto che persone
con un nome e una storia.
La proposta di papa Leone di introdurre nei sistemi educativi l’alfabetizzazione mediatica e sull’intelligenza artificiale è
fondamentale, ma non basta. Serve un’educazione più profonda: quella a
riconoscere che, come scriveva papa Francesco e come le scienze ci dicono da tempo,
«tutto è connesso». E che, quindi, l’individualismo radicale è un’astrazione,
una ideologia che ci disumanizza e ci rende oltretutto più vulnerabili alla
potenza del digitale. Serve un’educazione alla contemplazione, al silenzio,
alla lentezza, alla capacità di sostare con le domande senza precipitarsi verso
risposte algoritmiche immediate quanto riduttive. Serve uno spirito “poetico”,
dato che la poesia è la lingua delle connessioni dell’uno e del molteplice, che
ci fa vedere «il mondo in un granello di sabbia e l’eternità in un’ora», per
parafrasare Blake.
Lo spirito non è qualcosa
di astratto ma una forza di trasformazione, che pervade tutte le dimensioni non
quantificabili, come l’arte. E come scriveva Rilke: «Essere artisti vuol dire non calcolare e contare».
La sfida è mantenere viva questa dimensione umana nell’ecosistema digitale, non
come nostalgia del passato ma come profezia del futuro. Un futuro dove le
macchine saranno davvero «strumenti al servizio e al collegamento della vita
umana», e non padroni che decidono per noi cosa pensare, desiderare, temere o
amare.
GIORNATA MONDIALE COMUNICAZIONE 2026
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