“È l’età della tecnica
che ha cancellato
storia
e memoria”
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Viviamo in uno
spaesamento etico e politico dove passato e futuro non hanno più senso. Un
nuovo commento all’articolo di Baricco
- di Umberto Galimberti
Io
penso che la novità del nuovo secolo porti alla sua massima espressione quello
che era stato preparato nella seconda metà del Novecento dopo la fine della
guerra mondiale. Questa novità si chiama “Spaesamento”, e consiste nell’assoluta impossibilità di
reperire un senso del tempo, di un’epoca e perfino della propria vita. Una
condizione che l’umanità occidentale, a quanto ne sappiamo, non ha mai vissuto.
I Greci, infatti, avevano come orizzonte di senso la “Natura” che al
dire di Eraclito è quello «sfondo immutabile che nessun uomo e
nessun dio fece. Sempre è stata, è, e sarà». Contemplando la natura l’uomo può
trarre le leggi per governarla e per costruire una città secondo natura e una
conduzione della vita secondo natura.
La
tradizione giudaico-cristiana, seconda radice dell’Occidente, ha come
orizzonte di senso la “Parola di Dio” che iscrive il tempo in un disegno di
salvezza. E quando il tempo è iscritto in un disegno nasce la “storia” che
prevede il passato come male (peccato originale), il presente come redenzione e
il futuro come salvezza. La scienza pensa allo stesso modo: il passato è
ignoranza, il presente è ricerca, il futuro è progresso. Cristianesimo
laicizzato. Anche Marx può essere considerato un cristiano dal
momento che pensa che il passato sia ingiustizia sociale, il presente chiede di
far esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro giustizia sulla
terra. Anche Freud, che scrive un libro contro la religione (L’avvenire di un’illusione) pensa che traumi, nevrosi e
psicosi abbiano la loro origine nel passato (l’infanzia), nel presente terapia
e nel futuro guarigione. Tutto è cristiano in Occidente, perché il
cristianesimo non è solo una religione, ma una cultura, un modo di pensare proiettato
nel futuro, capace di portare rimedi ai mali del presente.
Nel Seicento con
la nascita del metodo scientifico si inaugura l’età moderna che pone come
orizzonte di senso la “Ragione” che si deve emancipare dalle superstizioni,
dalla religione, dalle opinioni diffuse ma non fondate, fino all’invito di Kant,
in epoca illuminista: “sapere aude”: abbi il coraggio di pervenire
al sapere con gli strumenti della ragione. Il motto dell’età moderna è «chi
pensa bene fa il bene», ma come ci ricorda Miguel Benasayag, «il nazismo
ha dimostrato che si può pensare in maniera eccellente anche il male».
Fine
dell’età moderna e nascita dell’età post-moderna che io chiamo “età della
tecnica”, perché è proprio nella seconda metà del Novecento che la tecnica
conferma quel teorema di Hegel secondo il quale quando un fenomeno
aumenta quantitativamente non abbiamo solo un aumento quantitativo di quel
fenomeno, ma anche un radicale mutamento qualitativo del paesaggio. Un
terremoto di due gradi della scala Mercalli forse neppure lo avvertiamo, mentre un
aumento quantitativo dell’intensità del terremoto trasforma qualitativamente il
paesaggio in un cumulo di macerie.
Oggi
la tecnica, per effetto del suo aumento quantitativo, non è più un “mezzo”
a disposizione dell’uomo come comunemente si crede, ma è un “mondo”, e il
concetto di “mezzo” è radicalmente diverso dal concetto di “mondo”. Quando la
tecnica era modesta, l’uomo si poneva dei fini e andava alla ricerca dei mezzi
tecnici per realizzarli. Oggi, per effetto del suo aumento quantitativo, la
tecnica non è più un “mezzo”, ma è il primo “fine” da raggiungere e
perfezionare, perché tutti gli scopi che gli uomini possono proporsi non sono
raggiungibili se non attraverso la mediazione tecnica. In questo modo la
tecnica si sostituisce all’uomo perché l’uomo può scegliere i suoi fini solo
all’interno delle possibilità che la tecnica rende disponibili.
Parlo
di “spaesamento” generato dall’età della tecnica perché la tecnica non tende a
uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non
svela la verità: la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento è
diventato planetario, occorre rivedere alla radice i concetti umanistici di
individuo, identità, libertà, salvezza, verità, senso, scopo, ma anche quelli
di natura, etica, politica, religione, storia, di cui si nutriva l’età
pre-tecnologica e che ora dovranno essere riconsiderati, dismessi o
rifondati dalle radici.
La
tecnica non visualizza la natura come nostra dimora, ma come materia prima da
usare, come dice Heidegger, fino all’usura. O come diceva un secolo
fa Max Weber: questo consumo incontrollato continuerà
«finché non avremo consumato l’ultimo quintale di carbon fossile». Nell’età
della tecnica l’etica diventapat-etica, perché come fa a impedire alla
tecnica che può, di non fare ciò che può? Può invocare o ritardare di qualche
tempo l’applicazione delle scoperte tecniche, ma in nessun modo impedirle.
La
politica che Platone chiamava “tecnica regia” perché, mentre le
tecniche sanno come si fanno le cose, la politica decide se e perché si devono
fare, nell’età della tecnica non è più il luogo della decisione. La politica
per decidere guarda l’economia, la quale a sua volta non è l’ultima istanza della
decisione, perché per i suoi investimenti guarda le novità tecnologiche, per
cui l’istanza decisionale passa alla tecnica, la quale, come abbiamo visto, non
ha scopi. Della tecnica si potrebbe dire quello che Nietzschediceva della
volontà di potenza: «Cosa vuole la volontà di potenza? Vuole sé stessa». Cosa
vuole la tecnica? Vuole unicamente il suo auto-potenziamento.
La
tecnica ha reso, e sempre di più renderà, l’uomo “a-storico”, perché la storia
è una narrazione dove gli accadimenti sono iscritti in una trama di senso,
mentre, rispetto alla memoria storica, la memoria tecnica è solo “procedurale”
e quindi traduce il passato nell’insignificanza del “superato” e accorda al
futuro il semplice significato di perfezionamento delle sue procedure. I Greci, che
avevano inaugurato l’etica del limite («chi conosce il suo limite non teme il
Destino») avevano incatenato Prometeoche aveva portato la tecnica agli
uomini rendendoli, come scriveEschilo, «da indifesi e muti in padroni delle
loro menti». Noi invece, come dice giustamente Gadamer, l’abbiamo
“scatenato”. E se per gli antichi l’imprevedibile che metteva angoscia era
imputabile a un difetto di conoscenze, oggi per noi dipende dall’eccesso delle
nostre capacità di fare enormemente superiore alle nostre capacità di prevedere
gli effetti del nostro fare. E così ci muoviamo come a mosca cieca.
Questa
condizione di spaesamento è stata preparata nella seconda metà del Novecento se
è vero che Günther Anders, un allievo ebreo di Heidegger che,
per sfuggire alle persecuzioni naziste si era trasferito in America, dove andò
a lavorare alla Ford per guadagnarsi il pane, negli anni Quaranta scriveva
al suo maestro: «Lei mi ha insegnato che l’uomo è il pastore dell’essere. Io
qui alla Ford sono il pastore delle macchine, e le posso assicurare che nel
rapporto uomo-macchina, la guida è già passata alla macchina».
Questa
è la ragione per cui, coerentemente, Günther Anders nel 1956
pubblicherà su questo tema il primo volume intitolato L’uomo è
antiquato a cui seguirà il secondo volume nel 1963, mentre il suo
maestro Heidegger nel 1966, nell’intervista rilasciata allo Spiegel dirà:
«Non c’è bisogno della bomba atomica per sradicare l’uomo dalla Terra. Lo
sradicamento dell’uomo è già fatto. Tutto ciò che resta è una situazione
puramente tecnica. Non è più la Terra quella su cui l’uomo oggi vive». Queste
date che abbiamo riportato ci dicono che il primo secolo del nuovo millennio
non ha fatto altro che portare alla massima espressione quello che era stato
preparato nella seconda metà del Novecento.
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