venerdì 17 ottobre 2025

L'EROTICA DEL SAPERE

 


“Il vero maestro

 non comanda, 

dà luce”


Lo psicanalista Massimo Recalcati al via del Kum, festival di Pesaro da lui ideato: «La scuola dovrebbe favorire lo sviluppo “storto” dei talenti singolari, più che il principio di prestazione»

-         di Viola Ardone

La scuola è stato il primo posto in cui mi sono sentita a mio agio, da bambina. Patologicamente timida, diffidente rispetto all’idea di separarmi dai miei genitori, negli anni della materna mi isolavo dagli altri bambini e faticavo a partecipare alle attività proposte. L’ingresso in prima elementare fu una liberazione: mi sembrava per la prima volta di avere un posto nel mondo che era lì per me. La mattina la maestra faceva l’appello e pronunciava il mio nome. La scuola mi riconosceva, e io le ero riconoscente. Anche oggi, da insegnante, faccio l’appello all’inizio di ogni lezione, chiamo per nome i miei studenti perché sappiano che ognuno di loro è necessario affinché la lezione abbia inizio. Ha a che fare con quello che lo psicoanalista Massimo Recalcati chiama «erotica del sapere», ovvero quella particolare pulsione che «favorisce l’incontro dell’allievo con il proprio desiderio».

È questo il compito di un maestro, suscitare desiderio? E in questo senso ogni maestro è un maestro di felicità?

«Un maestro di felicità mi sembra un po' troppo, Freud sosteneva che per gli esseri umani il programma della felicità è escluso. Tuttavia, un maestro, accendendo il desiderio, apre la vita alla possibilità della gioia perché trasmette il desiderio di sapere, e trasforma l’allievo da zucca vuota che attende di essere riempita ad amante del sapere, come direbbe il Socrate del Simposio di Platone. Quello che racconti a proposito dell’appello mi colpisce perché un’altra virtù di un buon maestro è effettivamente quella di non confondere il nome proprio con un numero che, se vuoi, è la radice prima di ogni atto di cura. Riconoscere il nome proprio significa innanzitutto riconoscere quella stortura che rende ogni allievo singolare, con le sue inclinazioni e i suoi talenti. La Scuola dovrebbe invece favorire lo sviluppo “storto” dei talenti singolari, più che il principio di prestazione».

Nel Convivio Dante usa la metafora del banchetto per invitare a mangiare «il pane degli angeli», ovvero a nutrirsi della conoscenza. Anche tu parli di «cibo del sapere» che può essere assimilato solo in una scuola in cui «il movimento della luce e quello dell’onda» sono attivi, non anestetizzati. Forse uno dei problemi della scuola oggi è questo: si limita a spargere briciole e tiene da parte il pane.

«Mi fai venire in mente una frase di Don Milani che mi ha sempre colpito per la sua radicalità: un maestro non è colui che possiede il sapere ma colui che lo dona. Quando incontriamo un maestro facciamo esperienza della radura, dell’aperto, della luce appunto: la parola del maestro non comanda, ma illumina. Al tempo stesso l’incontro con un maestro è un impatto, un urto. Come accade al bambino che vuole imparare l’arte del nuoto. Dopo avere appreso i suoi movimenti sulla spiaggia il maestro lo costringe a incontrare l’onda, perché è solo da questo incontro che l’allievo potrà fare davvero suo quel sapere astratto. Se vuoi è quello che accade ogni volta che incontriamo un maestro: una luce allarga l’orizzonte del nostro mondo e un’onda ci costringe ad inventare un nostro stile. Se invece la Scuola è solamente routine, se la parola del maestro nasce spenta, stremata dalla noia o da incarichi burocratici, allora c’è davvero l’anestesia di cui parli».

Si discute oggi molto sul ruolo dell’insegnante. Per Camus, come tu stesso ricordi, il maestro Bernard era colui che per la prima volta aveva fatto sentire i suoi studenti «degni di scoprire il mondo». Il professor Keating, protagonista dell’«Attimo fuggente» di Peter Weir, incarna il ruolo del capitano, nell’«Amica geniale» di Elena Ferrante è la maestra Oliviero a spingere le due amiche a studiare. Oggi il docente/capitano ha perso i gradi, non è più al timone della nave ma è imbrigliato nei lacci e lacciuoli di una burocrazia che lo vuole compilatore di griglie, schede di valutazione e punti di credito.

«Esattamente. L’apprendimento non è salire la scala del sapere come già costituita secondo un criterio linearmente progressivo, dal più semplice al più complesso, ma non può prescindere dal carattere imprevedibile dell’incontro. È un processo spiraliforme, fatto di passi in avanti e all’indietro, di sbandamenti e di cambi improvvisi di direzione. In questo senso un maestro è qualcuno che porta il fuoco: non ci accompagna nel salire la scala ma accende la nostra vita, ci porta verso l’ignoto».

Mi ha colpito la differenza che tu proponi tra regole e leggi. Sono molto d’accordo sul fatto che la scuola invece di dettare regole e regolette dovrebbe insegnare le grandi leggi: la legge della convivenza, la legge dell’ascolto, la legge dell’altro, la legge della parola. Te ne viene in mente qualche altra?

«Le leggi che tu nomini e che non possono essere ridotte a regole o a regolette hanno secondo me un denominatore comune: la legge del non tutto. Affinché vi sia educazione o, se preferisci, formazione, è necessario che questa legge si scriva nel cuore del figlio, come direbbe il profeta Ezechiele. La legge del non tutto è la legge dell’impossibile: non posso avere tutto, sapere tutto, essere tutto, godere di tutto. Solo l’iscrizione del non tutto nel cuore del figlio può rendere possibile l’esperienza del desiderio. Posso desiderare di sapere proprio perché non posseggo tutto il sapere».

Come si concilia l’erotica dell’insegnamento con un mondo infiltrato dall’Intelligenza Artificiale in cui ogni sapere sembra accessibile e riproducibile?

«L’intelligenza artificiale esclude per principio la possibilità dell’incontro. Offre un sapere illimitato ma privo di ogni testimonianza. L’AI può essere uno strumento utile, ma non può sostituire la funzione del maestro. Nessuno oggetto psicotecnico può rimpiazzare la forza unica dell’incontro con il fuoco. L’illusione di una digitalizzazione cognitivista integrale della conoscenza trascura l’importanza della testimonianza del desiderio che ogni maestro è tenuto a dare. È quello che io chiamo l’erotica dell’insegnamento che nessuna AI potrà mai conoscere».

LA STAMPA

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