“Il vero maestro
non comanda,
dà luce”
Lo psicanalista Massimo Recalcati al via del Kum, festival di
Pesaro da lui ideato: «La scuola dovrebbe favorire lo sviluppo “storto” dei
talenti singolari, più che il principio di prestazione»
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di Viola Ardone
La scuola è stato il
primo posto in cui mi sono sentita a mio agio, da bambina. Patologicamente
timida, diffidente rispetto all’idea di separarmi dai miei genitori, negli anni
della materna mi isolavo dagli altri bambini e faticavo a partecipare alle attività
proposte. L’ingresso in prima elementare fu una liberazione: mi sembrava per la
prima volta di avere un posto nel mondo che era lì per me. La mattina la
maestra faceva l’appello e pronunciava il mio nome. La scuola mi riconosceva, e
io le ero riconoscente. Anche oggi, da insegnante, faccio l’appello all’inizio
di ogni lezione, chiamo per nome i miei studenti perché sappiano che ognuno di
loro è necessario affinché la lezione abbia inizio. Ha a che fare con quello
che lo psicoanalista Massimo Recalcati chiama «erotica del sapere», ovvero
quella particolare pulsione che «favorisce l’incontro dell’allievo con il
proprio desiderio».
È questo il compito di un
maestro, suscitare desiderio? E in questo senso ogni maestro è un maestro di
felicità?
«Un maestro di felicità
mi sembra un po' troppo, Freud sosteneva che per gli esseri umani il programma
della felicità è escluso. Tuttavia, un maestro, accendendo il desiderio, apre
la vita alla possibilità della gioia perché trasmette il desiderio di sapere, e
trasforma l’allievo da zucca vuota che attende di essere riempita ad amante del
sapere, come direbbe il Socrate del Simposio di Platone. Quello che racconti a
proposito dell’appello mi colpisce perché un’altra virtù di un buon maestro è
effettivamente quella di non confondere il nome proprio con un numero che, se
vuoi, è la radice prima di ogni atto di cura. Riconoscere il nome proprio significa
innanzitutto riconoscere quella stortura che rende ogni allievo singolare, con
le sue inclinazioni e i suoi talenti. La Scuola dovrebbe invece favorire lo
sviluppo “storto” dei talenti singolari, più che il principio di prestazione».
Nel Convivio Dante usa la
metafora del banchetto per invitare a mangiare «il pane degli angeli», ovvero a
nutrirsi della conoscenza. Anche tu parli di «cibo del sapere» che può essere
assimilato solo in una scuola in cui «il movimento della luce e quello
dell’onda» sono attivi, non anestetizzati. Forse uno dei problemi della scuola
oggi è questo: si limita a spargere briciole e tiene da parte il pane.
«Mi fai venire in mente
una frase di Don Milani che mi ha sempre colpito per la sua radicalità: un
maestro non è colui che possiede il sapere ma colui che lo dona. Quando
incontriamo un maestro facciamo esperienza della radura, dell’aperto, della
luce appunto: la parola del maestro non comanda, ma illumina. Al tempo stesso
l’incontro con un maestro è un impatto, un urto. Come accade al bambino che
vuole imparare l’arte del nuoto. Dopo avere appreso i suoi movimenti sulla
spiaggia il maestro lo costringe a incontrare l’onda, perché è solo da questo
incontro che l’allievo potrà fare davvero suo quel sapere astratto. Se vuoi è
quello che accade ogni volta che incontriamo un maestro: una luce allarga
l’orizzonte del nostro mondo e un’onda ci costringe ad inventare un nostro
stile. Se invece la Scuola è solamente routine, se la parola del maestro nasce
spenta, stremata dalla noia o da incarichi burocratici, allora c’è davvero
l’anestesia di cui parli».
Si discute oggi molto sul
ruolo dell’insegnante. Per Camus, come tu stesso ricordi, il maestro Bernard
era colui che per la prima volta aveva fatto sentire i suoi studenti «degni di
scoprire il mondo». Il professor Keating, protagonista dell’«Attimo fuggente»
di Peter Weir, incarna il ruolo del capitano, nell’«Amica geniale» di Elena
Ferrante è la maestra Oliviero a spingere le due amiche a studiare. Oggi il
docente/capitano ha perso i gradi, non è più al timone della nave ma è
imbrigliato nei lacci e lacciuoli di una burocrazia che lo vuole compilatore di
griglie, schede di valutazione e punti di credito.
«Esattamente.
L’apprendimento non è salire la scala del sapere come già costituita secondo un
criterio linearmente progressivo, dal più semplice al più complesso, ma non può
prescindere dal carattere imprevedibile dell’incontro. È un processo
spiraliforme, fatto di passi in avanti e all’indietro, di sbandamenti e di
cambi improvvisi di direzione. In questo senso un maestro è qualcuno che porta
il fuoco: non ci accompagna nel salire la scala ma accende la nostra vita, ci
porta verso l’ignoto».
Mi ha colpito la
differenza che tu proponi tra regole e leggi. Sono molto d’accordo sul fatto
che la scuola invece di dettare regole e regolette dovrebbe insegnare le grandi
leggi: la legge della convivenza, la legge dell’ascolto, la legge dell’altro,
la legge della parola. Te ne viene in mente qualche altra?
«Le leggi che tu nomini e
che non possono essere ridotte a regole o a regolette hanno secondo me un
denominatore comune: la legge del non tutto. Affinché vi sia educazione o, se
preferisci, formazione, è necessario che questa legge si scriva nel cuore del
figlio, come direbbe il profeta Ezechiele. La legge del non tutto è la legge
dell’impossibile: non posso avere tutto, sapere tutto, essere tutto, godere di
tutto. Solo l’iscrizione del non tutto nel cuore del figlio può rendere
possibile l’esperienza del desiderio. Posso desiderare di sapere proprio perché
non posseggo tutto il sapere».
Come si concilia
l’erotica dell’insegnamento con un mondo infiltrato dall’Intelligenza
Artificiale in cui ogni sapere sembra accessibile e riproducibile?
«L’intelligenza
artificiale esclude per principio la possibilità dell’incontro. Offre un sapere
illimitato ma privo di ogni testimonianza. L’AI può essere uno strumento utile,
ma non può sostituire la funzione del maestro. Nessuno oggetto psicotecnico può
rimpiazzare la forza unica dell’incontro con il fuoco. L’illusione di una
digitalizzazione cognitivista integrale della conoscenza trascura l’importanza
della testimonianza del desiderio che ogni maestro è tenuto a dare. È quello
che io chiamo l’erotica dell’insegnamento che nessuna AI potrà mai conoscere».
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