risponderei che è il frutto della sua decisione».
intervista
a Vito Mancuso
a
cura di Michelangelo Suma
Il
3 ottobre 2025 Vito Mancuso ha inaugurato a Misano Adriatico la rassegna filosofica Ecce Homo curata da Gustavo Cecchini, portando all’attenzione del pubblico
numerose riflessioni sulle componenti della natura umana, fra cui il senso
della libertà, di cui il teologo e filosofo brianzolo ha parlato mettendone
maggiormente in risalto le implicazioni etiche, più che le basi concettuali.
Gli studi sull’agire umano dei filosofi del passato ora non bastano più a
descrivere pienamente né le relazioni fra le persone, né il modo stesso di
vedere la morale, processi che ultimamente vengono resi sempre più complessi
dalla politica e dal mondo digitale. Questi fattori hanno delle conseguenze
anche sull’azione dell’individuo, il quale, di fronte ad eventi drammatici
propri o altrui, non si rende conto di cosa possa e debba fare per apportare un
cambiamento decisivo. Nel comprendere questi fenomeni articolati, Mancuso ha risposto ad una serie di domande che vertevano
proprio sul senso di inconsapevolezza descritto, che produce indifferenza o
impotenza di fronte al male…
Lei
ha più volte indicato la consapevolezza dei limiti della vita umana, assieme a
creatività e responsabilità, come un pilastro della libertà. Crede che la
consapevolezza sia un valore condiviso, o che essa stia iniziando a venire
meno?
La
consapevolezza
«Penso
che la consapevolezza sia sempre stata una merce rara e preziosa e mai
immediata nel nostro carattere. Immediato è l’essere trascinati e irretiti
dalle circostanze del mondo e del nostro contesto; immediato è il giudicare
l’altro, visto che esaminarsi, capirsi e riflettere su noi stessi è spesso poco
frequente. In maniera gratuita i cellulari e le reti social in qualche modo ci
distraggono dalla realtà, un po’ come le superstizioni religiose nei secoli
precedenti. In sintesi, i nostri giorni non sono peggiori di prima, poiché,
come detto precedentemente, la consapevolezza è sempre venuta a meno, sono
semplicemente cambiati i meccanismi che ci impediscono di maturarla».
Come
accennava precedentemente, ritiene che i social e i mezzi di comunicazione ci
stiano sviando dall’esperienza degli eventi problematici della vita, come la
malattia e la miseria?
«Sicuramente.
La malattia e la morte paradossalmente sono molto presenti nel mondo digitale,
anche se la loro rappresentazione sullo schermo, oltre ad una
spettacolarizzazione, crea una forte distanza, non solo spaziale, fra lo
spettatore e la vittima. Questo distacco sociale lo vedo spesso con il lutto,
poiché non ci sono più manifesti funebri nelle grandi città, ma solo nei
piccoli centri: ad esempio io vivo a Bologna da 14 anni e non ho mai visto un funerale, uno
scenario a dir poco inconcepibile durante la mia infanzia in Brianza. Questa mancanza del lutto come rito condiviso ha
delle implicazioni, dato che gli esseri umani sono umani solo se hanno qualcosa
di interiore da condividere, che è ciò che ci rende soci. L’intrattenimento
multimediale fine a sé stesso ci ha reso in sintesi degli stranieri morali».
L’amoralità
Nella scorsa
conferenza del 2024 a Misano lei affermò che il problema di oggi non è
l’immoralità, che è sempre stata presente, ma l’amoralità. Da cosa lo ha
dedotto?
«L’immoralità
ci ha sempre accompagnato durante il nostro percorso storico, sia nella
vergogna dei nostri vizi, sia nel senso del peccato che gravava sugli esseri
umani. Tutto questo è progressivamente venuto a meno con la mancanza di valori
per i quali sentirsi in regola, di ciò che Freud identificava come Super Ego; ora si dà spazio soltanto all’ego e l’aggettivo
moralista, da che era un complimento, è percepito al giorno d’oggi come un
insulto».
In
questo successo dell’amoralità il relativismo, di cui buona parte della
filosofia contemporanea si è fatta portavoce, ha avuto una sua parte?
«Si
può dire che ci sia una componente relativista a cui la filosofia non ha saputo
reagire e che ha in parte plasmato, come nel caso dell’opera Al di là del bene
e del male di Friedrich Nietzsche. Essendo presente solo il desiderio del
soggetto, la mancanza di criteri morali ci porta ad un sostanziale
disorientamento».
L’incertezza
Questa
mancanza di certezze che lei ha descritto porta le persone alla ricerca di
responsi certi a questioni difficili, come nel caso della politica e del
populismo?
«Sì
certamente. Si tratta spesso di risposte semplici e materialistiche che
ragionano in modo banale e rozzo senza considerare le sfumature, come quando si
identifica il proprio avversario con la dicitura nemico/amico. Per ripristinare
la capacità etica dell’essere umano, bisogna trovare qualcosa che fondi dei
criteri alla base di ogni riflessione, che è proprio il compito del pensiero».
rivista di Cultura Mediterranea
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