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lunedì 1 maggio 2023

INIZIATIVA E IMPRENDITORIALITA' A SCUOLA


Lo spirito di iniziativa e l’imprenditorialità. 

La formazione di una competenza interculturale nei preadolescenti.

- di Barbara Baschiera e Fiorino Tessaro

La competenza “spirito di iniziativa e di imprenditorialità”, tra le otto competenze-chiave europee, è la meno perseguita nella scuola secondaria di primo grado, poco sviluppata nei ragazzi italiani, senz’altro meno rispetto ai coetanei immigrati. La ricerca si rivolge a due classi di preadolescenti, con una consistente presenza di immigrati, organizzati in gruppi di lavoro eterogenei, con metodologie cooperative, chiamati ad affrontare situazioni-problema di realtà, compiti autentici e prove esperte. L’ipotesi chiave è che il lavoro in gruppo di apprendimento cooperativo interculturale, per compiti di realtà, migliora e incrementa i processi nei sei indicatori di tale competenza (traduzione idea-azione, creatività, innovazione, assunzione di rischio, pianificazione, gestione di progetti), sia negli studenti italiani che in quelli non italofoni.

 Una competenza dimenticata dalla scuola

Negli ultimi anni si è affacciato nell’ambito della discussione pedagogica italiana ed europea il tema dell’apprendimento per competenze, distinto, anche se non contrapposto, dall’apprendimento per conoscenze e contenuti che ancora sembra caratterizzare, il contesto scolastico tradizionale.

Impostare il processo di insegnamento/apprendimento per competenze, significa progettare una didattica tesa ad offrire occasioni di apprendimento in situazione, in contesti cooperativi, a richiedere compiti autentici, problem solving, assunzione di autonomia e responsabilità di gestione di relazioni, situazioni, risultati; ma vuol dire anche esplicitare all’alunno il significato dell’istruzione, permettergli di comprendere il valore pratico delle conoscenze e delle abilità procedurali, di saldare le acquisizioni teoriche alla pratica.

L’Unione europea, con la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio del 18 dicembre 2006, relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente, ha invitato gli Stati membri a sostenere, nell’ambito delle loro politiche educative, strategie atte ad offrire a tutti i giovani gli strumenti per sviluppare le competenze che costituiscono la base per ulteriori occasioni di apprendimento, così come per la vita lavorativa. Tra le otto competenze chiave, figura lo spirito di iniziativa e imprenditorialità, cioè la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientrano la creatività, l’innovazione e l’assunzione dei rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi.

Intraprendenza

Considerata la difficoltà di introdurre il termine ‘imprenditorialità’ nel contesto scolastico italiano, in particolare nel primo ciclo, è opportuno interpretarlo con il concetto trasversale di ‘intraprendenza’. Potenziare la creatività e l’innovazione e includere l’imprenditorialità a tutti i livelli dell’istruzione e della formazione rientra anche tra gli obiettivi a lungo termine della strategia Europa 2020 per l’occupazione e la crescita sostenibile. Da quanto riportato nella relazione pubblicata nel Marzo del 2012 dalla Commissione europea Entrepreneurship Education at School in Europe. National Strategies, Curricula and Learning Outcomes, in base ai dati rilevati in 31 Paesi e 5 regioni europee, la promozione dell’educazione all’imprenditorialità è in aumento nella maggior parte dei paesi europei già nei programmi dell’istruzione primaria, ma non in Italia, dove “there is no specific National strategy for entrepreneurship education except for technical and vocational pathways”. Androulla Vassiliou (2012), Commissario europeo responsabile per l’istruzione, la cultura, il multilinguismo e la gioventù, afferma che “Per continuare a essere competitiva, l’Europa deve investire sui suoi cittadini, sulle loro abilità e sulle loro capacità di adattamento e innovazione. Per incoraggiare l’adozione di una nuova mentalità europea incentrata sull’attitudine all’imprenditorialità, il primo passo consiste nell’instillare uno spirito imprenditoriale fin dalle tappe iniziali del sistema scolastico.”

Progettualità

Ma come far acquisire quei processi che concernono una gestione progettuale proattiva, come la pianificazione, l’organizzazione, l’analisi, la comunicazione, la valutazione, l’anticipazione degli eventi, l’indipendenza e l’innovazione nella vita privata e sociale, in contesti culturali sempre più allargati? In che misura sviluppare il senso di iniziativa e l’intraprendenza all’interno dell’ambito scolastico, può contribuire a creare processi di interscambio tra individui, tali da coinvolgerli in una relazione dinamica realmente inclusiva, indispensabile alla formazione dell’identità individuale e collettiva, capace di costituire una epistemologia nuova per l’educazione stessa?

La didattica interculturale: tra opportunità e criticità.

 Nel corso degli ultimi quindici anni il numero di persone che si è stabilito in maniera regolare nel Paese meta del percorso migratorio è aumentato a tal punto che, i flussi migratori hanno abbandonato il loro tradizionale aspetto transitorio, passando dall’essere considerati dei ‘fenomeni’ straordinari, all’assumere le caratteristiche di ‘percorsi’ sempre più stabilmente ‘ordinari’ (Altin, 2011). Tale cambiamento riguarda anche l’Italia (Caritas, 2010), dove la generazione di “nuovi Italiani” (Della Zuanna, Farina e Strozza, 2009) è arrivata a comprendere circa un milione e mezzo tra adolescenti e ragazzi cresciuti o nati (seicentomila) nel nostro Paese; questi ultimi (seconde generazioni di migranti) stanno aumentando con una progressione costante, dal 2001 ad oggi, fino al 20%. Questi dati lasciano prospettare, in un breve arco temporale, l’esistenza di una società fortemente multietnica e culturalmente differenziata, nei confronti della quale non bastano istanze etiche e appelli politici ad una dimensione di incontro, tolleranza, rispetto e riconoscimento, ma appare necessario un mutamento di paradigma pedagogico, in grado di fornire reti di senso all’incontro tra sistemi culturali e valoriali diversi.

L’educazione interculturale in Europa è considerata un ambito ancora incompiuto, sia per quanto concerne i sistemi educativi dei Paesi storicamente organizzati attorno ad un approccio monolingue e monoculturale, sia per quanto riguarda i contesti scolastici in cui essa non è colta come componente strutturale del processo formativo, ma come segmento curricolare inserito, a seconda delle esigenze, nei percorsi educativi. Alla base di tale immobilismo sta la mancanza di modelli politici e sociali in grado di tenere davvero conto del pluralismo societario, nonché le resistenze del sistema scolastico, impermeabile alle riforme e piuttosto refrattario ai cambiamenti culturali. Per quanto concerne l’ambito italiano, le pratiche didattiche volte alla reciprocità interculturale sembrano articolarsi in percorsi tesi sì ad agevolare l’accoglienza, a promuovere il confronto tra culture, a prevenire stereotipi e pregiudizi, a facilitare percorsi sull’educazione democratica, a sviluppare la consapevolezza dell’identità, a diffondere la didattica dell’italiano come lingua seconda, ma ancora privi di un sostrato pedagogico comune e condiviso tra educatori, insegnanti e responsabili delle politiche scolastiche (Portera, 2003).

La formazione interculturale deve potersi riferire ad una prospettiva dialogica, di socializzazione ed interazione, orientata ad ambiti di contatto e scambio reciproco, che permettano l’incrocio, l’interazione, il confronto, la negoziazione tra culture, in una scuola che faccia dell’assimilazione e della promozione sociale i propri ambiti prioritari, attivando “processi formativi interculturali per tradurre, trasmettere senso e significati tra universi culturali diversi, attraverso il pensiero, la pratica e il linguaggio della differenza, nel rispetto di nuove identità culturali e sociali” (Lazzari, 2012, p. 165). Alla scuola sta il compito di educare alla convivenza tra persone afferenti a diversi gruppi etnico-culturali, secondo i principi democratici del rispetto della diversità (Bocchi e Ceruti, 2004; Santerini e Reggio, 2007), del confronto costruttivo di saperi ed esperienze e della tutela del diritto alla conoscenza di ogni persona. Per rapportarsi alla complessa realtà sociale, il sistema scolastico ha il compito di fornire ai ragazzi italiani e a quelli privi di cittadinanza italiana, relazioni dinamiche indispensabili alla formazione della identità individuale e collettiva, costruendo una nuova epistemologia fondata sul concetto di alterità come diritto riconosciuto ad ogni individuo di essere, nella sua diversità, uguale agli altri.

L’educazione interculturale nella scuola postula metodologie didattiche

 Laboratorio di contrasto alla dispersione e operative e laboratoriali, esperienziali e situazionali, che promuovano nuovi modi di costruire e di condividere la conoscenza a partire dalla pluralità dei vissuti esistenziali e dalla varietà dei modelli culturali degli allievi. La ricchezza interculturale proattiva, con il riconoscimento del valore delle differenze e delle diversità, ma anche con la ricerca di ciò che accomuna, emerge quando gli allievi operano insieme per trovare soluzioni nuove e creative a problemi reali, progettando e pianificando le attività, dando scopo, senso e significato a ciò che sanno e che sanno fare.

 L’intraprendenza: un potenziale che supera le barriere culturali

L’intraprendenza è considerata una delle principali fonti di sviluppo, innovazione e crescita degli individui e della società (Audretsch, Carree, Van Stel e Thurik, 2002). Essa attraversa tutte le differenze e le diversità, e in quanto tale si presenta come valido connettore, come elemento di dialogo, come base progettuale e curricolare inclusiva. Ciononostante, il sistema educativo tende ad inibire lo sviluppo del senso di iniziativa, insegna ai giovani a ripetere, a riprodurre i fatti e ad impegnarsi concretamente solo dopo aver terminato gli studi. La formazione scolastica è centrata sul pensiero analitico e riflessivo, con lo scopo di spiegare i fatti, di approfondire ciò che è successo; l’intraprendenza, invece, è centrata sul pensiero creativo (Kourilsky, 1990), vive di risorse e potenziali diversi, costruisce opportunità nell’incertezza, apre a nuove possibilità. Quali sono le qualità e le capacità su cui si fonda l’intraprendenza? Gibb (1998) riepilogando gli studi in merito, le articola in sette capacità: di decidere in modo intuitivo, di affrontare creativamente il problem solving, di trovare interdipendenze e connessioni tra le conoscenze, di portare a termine i propri obiettivi, di utilizzare il pensiero strategico e la gestione progettuale di tempi e risorse, di negoziare e di persuadere, di motivare le persone dando l’esempio.

Queste capacità si basano su alcune qualità fondamentali: 1. Motivazione al successo: la tendenza a fissare obiettivi intesi come sfide, da perseguire attraverso lo sforzo personale. McClelland (1965) sostiene che una forte necessità di realizzazione spinge le persone a diventare intraprendenti. Secondo Kourilsky (1980, p. 182) la motivazione al successo si riconosce dalla volontà di realizzare qualcosa di importante e dalla manifestazione aperta delle proprie performance e competenze. 2. Necessità di autonomia: il desiderio di indipendenza nelle scelte e nelle decisioni e l’insofferenza verso il controllo esterno. Per Kirby (2003) le persone con un’elevata esigenza di autonomia sono refrattarie alle regole, alle procedure e alle norme sociali. 3. Creatività: la capacità di percorre nuove strade, di sviluppare nuovi metodi, invece di utilizzare percorsi e procedure standard (Born e Altink, 1996). Torrance (1967) ha distinto quattro componenti principali della creatività: a) fluidità, la capacità di produrre un gran numero di idee (quantità), b) l’originalità, la capacità di produrre idee nuove e insolite (qualità), c) la flessibilità, la possibilità di cambiare, d) l’innovazione, la capacità di ridefinire e percepire in maniera atipica. 4. Senso di iniziativa: la motivazione per cominciare ad agire in modo indipendente, a fare il primo passo nell’incerto, ad essere disposti a provare nuove strade e nuovi metodi (Kourilsky, 1980). Born e Altink (1996) definiscono l’iniziativa come la capacità di esercitare la propria spontanea volontà. 5. Assunzione del rischio: l’accettazione delle incognite nella realizzazione di qualcosa, riconoscendo che le probabilità di successo sono sempre inferiori al cento percento. È intesa anche come la capacità di esporsi alla perdita. 6. Opportunità: la capacità di cercare, riconoscere e individuare, le insoddisfazioni, i bisogni e le esigenze, ma anche le risorse e le potenzialità che possono, con nuovi prodotti o processi, soddisfare e risolvere. 7. Obiettivi innovativi: la capacità di definire e regolare gli obiettivi che possono essere realmente raggiunti con uno sforzo imprenditoriale, in modo creativo e autonomo. 8. Autoconsapevolezza: il grado di realismo nel riconoscimento delle proprie qualità e nella stima delle proprie capacità, nell’affrontare il nuovo e nel rispondere adeguatamente all’ambiente. Un soggetto intraprendente promuove azioni innovative, valuta accuratamente le proprie capacità, ma nel contempo crede nelle proprie azioni ed ha fiducia in se stesso. 9. Locus of control interno: chi considera che i risultati raggiunti dipendano direttamente dalle proprie azioni e volontà, è caratterizzato da un locus of control interno, mentre chi crede che i risultati siano frutto di fortuna o dell’intervento di altri è caratterizzato da un locus of control esterno. Gli intraprendenti presentano uno spiccato locus of control interno. 10. Persistenza: la propensione ad attenersi ad un compito fino a quando non è completato (Kourilsky, 1980, p. 182). La persistenza dipende in gran parte dalla motivazione.

Spirito di iniziativa e imprenditorialità.



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