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venerdì 2 maggio 2025

ELOGIO DELLA LENTEZZA


Rallentare è la chiave

 per una vita piena

 

La Redazione

 In un mondo che corre senza tregua, rallentare può diventare un atto rivoluzionario. Scopri come la lentezza può restituirti tempo, consapevolezza e una nuova qualità della vita...

 In un mondo dove la velocità è sinonimo di successo, in cui ogni momento sembra essere un’opportunità persa se non sfruttato immediatamente, la riflessione sulla lentezza può sembrare anacronistica. Ma in realtà, mai come oggi, ci sarebbe bisogno di un’educazione alla lentezza, alla pausa, al rallentamento intenzionale. Viviamo nella società dell’instant gratification, dove ogni click, ogni notifica, ogni messaggio ci spinge a una risposta rapida e immediata.

 Tuttavia, c'è una potenza nascosta nel dare tempo alle cose, nel fermarsi e nel respirare prima di reagire. La lentezza non è sinonimo di inefficienza o di pigrizia. Anzi, è un atto di profonda consapevolezza. È il riconoscimento che non tutto ha bisogno di una risposta immediata, che non tutte le domande hanno bisogno di una soluzione rapida. Nella nostra quotidianità, siamo così abituati alla frenesia che dimentichiamo quanto può essere prezioso il silenzio, il pensiero riflessivo e l’atto di osservare prima di agire.

Paolo Crepet, sociologo e psichiatra, ha spesso parlato dell’importanza di fermarsi a riflettere e di prendersi il tempo per comprendere ciò che accade dentro di noi. Il suo consiglio che è una massima di vita è: per realizzare se stessi è opportuno perdersi, fare una pausa in più per raggiungere livelli inaspettati. Per andare avanti  a volte è necessario regredire, come fa l’atleta quando si riposa prima di fare un grande salto.  "L'uomo ha bisogno di silenzio, di pausa, per capire cosa sta accadendo dentro di sé". Riflessione che sottolinea quanto sia essenziale, in un mondo iperconnesso e sempre attivo, fare spazio per l'introspezione e per il rallentamento.

La filosofia della lentezza ha trovato una voce importante negli ultimi decenni, specialmente attraverso movimenti come il Slow Food e il Slow Movement, che si oppongono al consumismo sfrenato e alla frenesia della vita moderna. Questi movimenti ci invitano a riprendere il controllo del nostro tempo, a vivere in modo più consapevole, a dedicare tempo a ciò che è davvero importante: le relazioni, la qualità del nostro lavoro, l’attenzione a ciò che ci circonda.

Umberto Galimberti, filosofo e psicologo, ha affermato che "Noi viviamo nella pura accelerazione del tempo, scandita non dai progetti umani, ma dagli sviluppi tecnici che, consumando con crescente rapidità il presente, tolgono anche al futuro il suo significato prospettico, quindi il suo 'senso'." Dal suo pensiero emerge che la velocità è il nemico della profondità, perché ciò che è profondo ha bisogno di tempo per essere compreso e per svilupparsi. Un pensiero che si collega perfettamente all'idea che la crescita personale e professionale non può essere forzata dalla fretta. Ogni passo, anche il più piccolo, merita di essere vissuto pienamente, e ciò non può accadere se corriamo sempre verso il prossimo obiettivo. Imparare a rallentare significa anche riscoprire la bellezza del presente. In un'epoca in cui siamo costantemente proiettati verso il futuro o immersi nel passato, la capacità di essere pienamente presenti nel qui e ora è diventata una risorsa rara. Eppure è proprio in quel momento che si trovano le risposte più profonde.

La riflessione, la calma e la serenità sono gli spazi in cui si sviluppano le idee più creative, quelle che non nascono dalla fretta ma dalla quiete. Inoltre, la lentezza non riguarda solo il nostro rapporto con il tempo, ma anche con le altre persone. La società contemporanea, sempre più individualista, ci ha convinti che per avere successo dobbiamo correre da soli, senza fermarci mai. Ma in realtà, è proprio rallentando e prendendosi il tempo per costruire relazioni autentiche che si arriva alla vera crescita. La pazienza nell’ascolto, la cura nei dettagli e la disponibilità a investire tempo nelle persone sono valori che, sebbene spesso ignorati, sono alla base di qualsiasi vera connessione. Crepet, in un'intervista, ha sottolineato che "l'intelligenza della vita consiste nel sapere quando fermarsi, nel capire che non è tutto urgente."

Questo invito a riflettere prima di agire, a non cedere alla spinta costante verso il fare, è un monito che ci dice che solo rallentando possiamo acquisire la lucidità necessaria per fare scelte veramente significative. Non è facile fermarsi in un mondo che ci spinge a correre. Ma forse il coraggio più grande oggi è proprio quello di scegliere di rallentare, di non cedere alla pressione esterna e di riconoscere che la vita, in tutta la sua bellezza, si trova nei momenti più lenti e riflessivi. Perché, come ci insegna la saggezza di tante tradizioni, "la vita non è una corsa, ma un viaggio da vivere appieno". E solo chi ha il coraggio di fermarsi per ascoltare il proprio cuore può davvero comprendere il valore di ogni passo lungo il cammino.

 SCUOLAOGGI

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martedì 18 febbraio 2025

L'IMPORTANZA DI NON PIACERE

 


 Liberarsi dalle aspettative altrui 

e trasformare 

le fragilità in salvezza 



di Thomas Leoncini (Autore)

 

Sapete qual è uno dei grandi, nuovi mali del nostro secolo? La convinzione di dover piacere a tutti, e a tutti i costi. Piacere per non sentirsi esclusi, per essere come gli altri, gratificati e «normali».

Troppo spesso fatichiamo a comprendere che ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene non lo troveremo negli sguardi esterni, ma dentro di noi: solo noi possiamo tracciare la nostra strada verso la serenità. E chi ci accetterà per ciò che siamo potrà camminare al nostro fianco.

Dobbiamo liberarci dalla dipendenza e dalla paura del giudizio se vogliamo arrivare a esprimere pienamente il nostro potenziale.

Prendendo le mosse da queste considerazioni, il nuovo libro di Thomas Leoncini è un prezioso alleato per dire «basta!» Basta vivere la vita che gli altri vorrebbero per noi, ma che non ci appartiene e per questo ci rende infelici. Basta omologarsi alla società, se non è quello che desideriamo. Basta basare le nostre giornate sul tentativo di strappare un like o un'approvazione che ci confermi che stiamo facendo bene.

Attraverso un sorprendente ribaltamento dei luoghi comuni e grazie ad alcuni autotest semplici, intuitivi e chiarificatori per comprendere quali emozioni ci condizionano la vita, lo psicologo e autore del bestseller

L'ansia del colibrì accompagna i lettori in un nuovo e rivoluzionario viaggio alla scoperta del proprio mondo interiore, per conquistare la libertà di diventare, finalmente, sé stessi.

All'interno, rivoluzionari autotest per misurare rapidamente la nostra indipendenza emotiva e il nostro livello di autostima, paura, vergogna e magia.

domenica 16 aprile 2023

RAGAZZI FRAGILI

 «Pressioni e paura 

di non farcela

 Cosa c’è dietro 

ai ragazzi fragili»


Lo psicologo Castelnuovo (Cattolica): venute meno le occasioni di confronto, i social sono disfunzionali. Aiutiamo gli adolescenti a tornare nella vita reale, ripartendo da anima e corpo

 

- di FULVIO FULVI

 Giovani, fragili ed esposti alle continue pressioni di una società che li vuole “sempre sul pezzo”, in famiglia, a scuola, nello sport e persino quando navigano sul web. Col risultato che spesso la corda si spezza e compare il disagio psicologico sotto forma di rabbia, isolamento, rapporto anomalo col cibo, ansia da prestazione. E allora gli adolescenti che non reggono allo stress della “competizione a tutti i costi” cominciano a combinare guai, compiono atti di autolesionismo e qualcuno tra i più disperati prova anche a togliersi la vita. «Ma il disagio giovanile c’è sempre stato, si presenta quando il proprio corpo cambia e si comincia a rispondere personalmente alle vicende della vita » spiega Gianluca Castelnuovo, ordinario di Psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e direttore del servizio di Psicologia clinica dell’Istituto Auxologico italiano.

Ma è più difficile oggi per i giovani crescere?

Diventare adulti non è mai automatico, però i ragazzi ora devono fare i conti, psicologicamente, con l’onda lunga del Covid. Erano già fragili, si interrogavano su cosa fare da grandi, poi sono arrivati il lockdown e le altre restrizioni imposte dalla pandemia, e sono venuti a mancare i loro sfoghi. Questo ha pesato e pesa ancora. Alcuni non si sono mai ripresi, fanno fatica a casa e a scuola. Hanno perso le occasioni di confronto con i modelli tradizionali e ne hanno assunti altri attraverso la tecnologia. I social network però sono punti di riferimento disfunzionali.

Cosa accade? Come è che la Rete condiziona la loro vita?

Dando un’immagine esagerata del corpo, per esempio. I ragazzi sono stati privati della parte umana dei rapporti: prima i pregi e i difetti di una persona si notavano, adesso non più. È stata “tolta” ogni negatività con la conseguenza che la vita viene fatta percepire solo come una cosa felice, ma sappiamo che non è così. Insomma, i punti di riferimento non sono più ancorati al reale. Tutto questo, messo insieme, se non se ne colgono i segnali per tempo, può creare forti disagi e far entrare in crisi i più fragili. Esiste, quindi, un problema educativo.

Colpa dei genitori che non se ne accorgono?

No. Anche loro sono sballottati da diverse agenzie educative più potenti e influenti. Mamma e papà conoscono solo una minima parte della vita dei figli e non sempre riescono ad aiutarli e sostenerli, se i messaggi non arrivano. E quando arrivano spesso non sanno cosa fare. Ma non è giusto accusarli di superficialità o incapacità. Diciamo invece che mancano le strutture, che non esiste un welfare per i disagi psicologici o psichici dei minori: scarseggiano medici specializzati, posti letto, servizi.

E la scuola, che ruolo svolge in questo contesto?

Molto spesso i ragazzi la vivono come una valutazione di sè. Il voto viene dato alla persona più che alla bontà di una prova.

E, infatti, otto studenti su dieci ritengono che quello che viene insegnato a scuola non abbia alcuna attinenza con la vita quotidiana. La percepiscono come interrogazioni, compiti da fare, verifiche. Ma così si amplifica l’ansia. Invece la scuola sarebbe una ghiotta occasione per crescere.

Ci sono stati ultimamente diversi casi di suicidi di studenti universitari che avevano nascosto ai genitori, per vergogna, i loro fallimenti...

Perché hanno ritenuto che non aver superato un esame o non essersi laureati è per loro una sconfitta inaccettabile, una squalifica della propria persona. Sono stati abituati al perfezionismo. Si illudono che ottenendo un “risultato alto” la loro persona stia bene ma appena questo non si verifica, e può succedere, vanno in crisi.

Lo sport può aiutare a far maturare un adolescente?

Bisogna avere un approccio non patologizzante con lo sport: non deve portare a disturbi alimentari, a una dedizione totale alla rinuncia e al sacrificio, che alla fine sono penalizzanti. Così, per altro, ci si disaffeziona. Lo sport deve essere invece vissuto come una festa del corpo, affrontato con spirito giocoso, come un’occasione per divertirsi. E si deve accettare anche che ci sia qualcuno più bravo di noi, accettare l’idea che si può anche perdere e non cambia nulla di quello che siamo.

Nello sport agonistico però le pressioni psicologiche sono spesso troppo stringenti. Come nel caso delle “farfalle” della nazionale di ginnastica artistica... Che fare?

La logica dominante è: se non hai risultati eccellenti non meriti di stare lì. Ma se lo sport non è più un gioco ma un lavoro diventa pericoloso. E basta un infortunio, un incidente, un allenamento non corretto, o un cambiamento del corpo e la prestazione non è più la stessa. E così subentra il terrore di essere messi fiori dal gruppo.

Ci si può sottrarre a questa logica?

Certo. Io come psicologo clinico ho seguito una danzatrice 15enne che era sottoposta a forte tensione fino al punto di avere problemi muscolari e perdere l’armonia del proprio corpo che è diventato quindi un ostacolo. Ma è stata aiutata a concentrarsi e adesso sta ritrovando il piacere della danza. E durante i saggi è tornata a divertirsi, non è più assillata dall’idea che deve fare bene sempre e tutto, compromettendo così anche i risultati.

 

www.avvenire.it