PROVIAMO A PENSARLA COME DIO
E RIUSCIREMO
PER DAVVERO A FAR PACE
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di RICCARDO MACCIONI
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Questa guerra alle
porte di casa, come tutti i conflitti, come ogni gesto che
coinvolge totalmente l’uomo, parte dal cuore e dalla testa e poi
arriva alle mani. Mani che caricano un fucile, che
demoliscono pareti, che alzano un indice accusatorio.
E, dall’altra parte, che erigono trincee, che costruiscono bombe
a loro volta, che cercano una via di fuga tra boschi e
palazzi. Facile dire che non sono fatte per tutto questo, che un
un buon libretto di istruzioni spiega come montare un oggetto e
non la via per distruggerlo. Se ci si avvia sulla strada della
violenza, quando l’unico linguaggio possibile sembra
essere quello della rabbia, tornare indietro diventa a ogni
passo più difficile. Si tratta invece di fermarsi un attimo, di
resettare la testa infarcita di propaganda, di dare al cuore il
tempo di vedere quale tragedia si prepara dietro l’angolo.
Andava in questo senso l’invito di papa Francesco per il
Mercoledì delle Ceneri. Una formula semplice: preghiera e digiuno
per far tacere le armi, per invocare il dono della pace. Non la
rinuncia alle proprie responsabilità, tanto meno una
ricetta magica, piuttosto l’impegno a provare a ragionare in un
altro modo, a tentare di capire la logica di Dio, che è Padre di
tutti, e tutti vuole fratelli.
Non nemici.
Certo, le obiezioni sono facili: ma,
come, siamo sull’orlo di un conflitto mondiale e l’unica cosa che proponete è
mettervi in ginocchio? E poi, andiamo, certe formule sono vecchie, superate.
Può darsi sia così. Però non vanno fuori moda le domande di senso, il perché
siamo in questo mondo e cosa fare per migliorarlo. La preghiera ci riporta
proprio lì, dove si formano i dubbi, nell’abisso più profondo di noi stessi, in
cui cadono le maschere e si resta nudi nelle proprie paure e fragilità. La
Quaresima, per i cristiani, è l’itinerario privilegiato per arrivarci. Come uno
zoom fotografico allarga le immagini dell’orrore: i morti bambini, i missili
sui civili, la lunga interminabile fila dei tank invasori. E allora che fare?
Non possiamo nulla, verrebbe voglia di dire ma è la risposta sbagliata.
Assieme agli aiuti materiali e
all’accoglienza dei rifugiati, si tratta di lavorare su noi stessi.
«La pace
nel mondo inizia sempre con la nostra conversione personale», ha sottolineato il Papa. Vuol dire, per esempio, disarmare i gesti e il vocabolario,
informarsi con cura e non per schieramenti, ascoltare la sofferenza. E qui
torna in campo la preghiera, più assidua e profonda durante il tempo che
prepara la Pasqua, come un collirio per liberare gli occhi dai pregiudizi. Non
una tessera di appartenenza, ma una scuola di umanità cui tutti possono
iscriversi. Perché la preghiera è lì, esiste, anche se non si rivolge a Dio. Ti
esplode dentro quando il dolore è troppo forte e allora urla, grida, piange. È
naturale come l’aria, appartiene a tutti, in più nel credente ha un indirizzo
chiaro e la certezza di essere ascoltato. Che non vuol dire ottenere ciò
che desideriamo.
La logica di Dio, infatti, è diversa
dalla nostra. Invocarlo significa dirsi disponibili a provare a pensarla come
Lui, passando il più possibile attraverso lo svuotamento di noi stessi,
rinunciando all’esagerata autoreferenzialità, mettendo a tacere il narcisismo.
Il digiuno, dicono i saggi di ogni tempo e le Scritture, in questo senso aiuta.
Fortifica la volontà, educa al sacrificio, qualche volta somiglia al bambino
che rinuncia a qualcosa che gli piace molto per dimostrare che la prossima
volta saprà fermarsi in tempo, non commetterà più l’errore appena commesso. Una
richiesta d’amore e, dall’altra parte, una lezione di perdono.
Tra le tante testimonianze di questi
giorni, una colpisce in particolare. È del nunzio apostolico a Kiev,
l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, che ha provato a mettersi nei panni di Dio.
«Se vedessi una grandissima solidarietà tra gli esseri umani – che si aiutano a
vicenda, si sostengono, aprono il cuore – direi: che bello, sono diventati
fratelli! E la conclusione sarebbe: basta, si è superata la prova, non c’è più
bisogno di guerra. Eccovi come dono la pace». La preghiera ci insegna proprio
questo. Ad andare a lezione di umanità dal Signore. Per imparare la logica che
riempie il cuore di progetti di bene, che impegna la testa nella ricerca del
modo per realizzarli. E così disarma le mani.
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