Anche quest’anno le occupazioni sono terminate senza lasciare traccia. Un fenomeno che dovrebbe almeno interrogare i dirigenti
- di Leonardo Eva
Sembra
che la
stagione delle occupazioni scolastiche sia finita. Del
resto, quando ci si avvicina al termine dell’anno diventa più difficile far
dimenticare ai docenti in sede di scrutinio finale le proprie “contestazioni”.
In autunno, siamo tutti leoni…
I
giovani hanno chiesto qualsiasi cosa, dalla pace nel mondo alla riparazione dei
termosifoni. Ma soprattutto dialogo, tanto dialogo. Gli adulti hanno
sottolineato l’importanza del dialogo nella scuola democratica, inclusiva,
resiliente e anche un po’ sostenibile (si spera) di oggi.
Dopo?
“Tutto passato, finito”, cantava trent’anni fa (in un diverso contesto)
l’immortale Bennato.
Com’è
possibile che rivendicazioni che sembravano tanto stringenti tre mesi fa siano
svanite nel nulla? Il dialogo ha risolto tutto? Non si direbbe proprio. La pace
certamente non è arrivata. Magari qualche termosifone sarà stato riparato… Ma
c’era bisogno di tanto trambusto?
Quei
docenti che non hanno ancora perso del tutto la voglia di insegnare rimangono
con le proprie domande.
La
prima, naturalmente, riguarda la grande trovata dell’educazione civica, che nei
mesi scorsi ha rivelato tutta la sua “utilità”. Ore e ore di parole svanite in
un attimo, grazie all’azione violenta di una minoranza di persone che
(maggioranza silenziosa permettendo) ha potuto lasciare letteralmente in strada
quei lavoratori e quei ragazzi che avrebbero voluto entrare negli edifici
scolastici non dico a svolgere il proprio compito, ma perlomeno a ripararsi dal
freddo.
La
seconda è una questione di logica. O gli
“eventi occupazionali” sono qualcosa di eclatante, tale da
pretendere l’attenzione generale e costringere a una presa di posizione
globale, oppure equivalgono a una serie di picnic in ambiente (più o meno)
riscaldato. Nel primo caso, è lecito attendersi, appunto, una risposta forte
(inclusa la possibilità, almeno teorica, di una netta contrapposizione). Nel
secondo caso, come si può pretendere di cambiare qualcosa?
La
terza domanda riguarda i
dirigenti scolastici.
Premettiamo
che gli insegnanti non sono in grado di mettersi d’accordo su questioni
importanti nemmeno all’interno di un collegio di cinquanta docenti e che di
sindacati della scuola e di genitori è ormai meglio tacere.
In
attesa di un intervento deciso da parte del ministero dell’Istruzione, che
probabilmente avverrà tra un paio di secoli, perché i dirigenti scolastici non
prendono in mano la situazione e non protestano con risolutezza? Non sono
allibiti per il fatto di dover gestire l’“eterno ritorno” delle occupazioni
autunnali?
Non
si sta chiedendo qui di far incarcerare gli alunni “contestatori”. Ma tra
mandare in prigione i responsabili e il niente, magari potrebbe esserci una via
di mezzo…
O
è solo una questione di numeri? Se fosse il sottoscritto a occupare un istituto
e fare uno sciopero della fame per protestare contro l’assoluta mancanza di un
serio dibattito pubblico sulla scuola italiana, dopo quanti minuti entrerebbero
in azione le forze dell’ordine?
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