A cinquant'anni dalla
morte del commissario Calabresi arriva in libreria la testimonianza di amore e
perdono della donna che è riuscita non solo a sopravvivere alla tragedia
dell'uccisione del marito, ma a essere anche una delle voci più forti nel
raccontare quegli anni: La crepa e la luce di Gemma Calabresi Milite.
Dopo Spingendo la notte
più in là, in cui il figlio Mario Calabresi ha raccontato la storia della sua
famiglia, in un resoconto intimo e commovente Gemma Calabresi Milite narra il
percorso di vita e di fede compiuto dai primi giorni dopo l'assassinio fino a
oggi.
Ho 75 anni, non so
quanto ancora durerà questo mio viaggio qui. Scrivo questo libro per lasciare
una testimonianza di fede e di fiducia. Per raccontare l’esperienza più
significativa che mi sia capitata nella vita, quella che le ha dato un senso vero
e profondo: perdonare.
La crepa e la luce è la
storia di una donna che, ad appena venticinque anni, si ritrova vedova con due
figli piccoli e incinta del terzo. Una donna diventata vittima della Storia e
del terrorismo nell'Italia torbida e feroce degli anni di piombo.
Un'intensa e sincera
testimonianza sul senso della giustizia, sulla memoria e sul perdono. Sul come
si può reagire di fronte a una tragedia personale apparentemente
insormontabile.
Questo libro è il
racconto di un cammino, quello che Gemma Capra, vedova del commissario
Calabresi, ha percorso dal giorno dell'omicidio del marito, cinquant'anni fa.
Una strada tortuosa che,
partendo dall'umano desiderio di vendetta di una ragazza di 25 anni con due
bambini piccoli e un terzo in arrivo, l'ha condotta, non senza fatica, al
crescere i suoi figli lontani da ogni tentazione di rancore.
Ho un ricordo abbastanza
confuso dei primi tempi. Che cosa facevo durante le giornate? Che cosa
distingueva una dall’altra? Mi pare niente. Le ore passavano e basta, e io come
una sonnambula le guardavo passare, cercando di stringere con le mani i piccoli
doveri che mi toccavano, le poche cose che lasciavano fare a me e che mi
servivano per scandire quel tempo che era diventato un lunghissimo tubo di
plastica, con la mia vita dentro. Sveglia tu i bambini, vestili, dagli un bacio
e non piangere, apri una busta, apri la porta ai bambini, siediti per terra e
gioca un po’ con loro e non piangere, mangia qualcosa, mangia qualcosa, prendi
il Tavor, prova a dormire.
Ogni 17 maggio alle
9.15, io guardo l'ora e dico "Ecco, adesso. Adesso esce di casa. Adesso lo
uccidono".
Sono queste le parole
che la vedova Calabresi rivolge al figlio, nella loro conversazione. La memoria
ha le gambe del podcast Altre/Storie, avvenuta ad aprile 2021 dopo l'arresto in
Francia di Giorgio Pietrostefani, condannato come mandante dell’omicidio, e di
altri sei ex terroristi.
Sono passati ormai
cinquant'anni da quel 17 maggio del 1972, quando Luigi Calabresi venne ucciso
sotto casa. Il commissario di polizia e addetto alla squadra politica della
Questura di Milano perse la vita quel giorno a causa di un commando di due
uomini che lo uccise con due colpi di pistola.
Dopo un iter giudiziario
durato sedici anni, i mandanti dell'omicidio sono stati condannati con formula
definitiva. Ancora oggi, tuttavia, il puzzle dell’omicidio Calabresi rivela
delle tessere mancanti.
Di fronte a quel dolore
immenso, Gemma Calabresi Milite ha
provato rabbia, rancore, odio verso coloro che l'hanno privata non solo di suo
marito, ma anche del suo amore e del padre dei suoi figli.
Immaginavo di dire:
credo nella vostra causa, sono come voi, sono una di voi, eccomi. Mentire a
tutti, conquistarmi piano la loro simpatia, la loro fiducia. Ci sarebbe voluto
forse un po’ di tempo, ma non era un problema perché io di tempo ne avevo,
avevo tutta la vita di tempo.
E poi una sera mi sarei
trovata al posto giusto, in una casa, a cena, pochi intimi, i più fidati. E
allora qualcuno lo avrebbe detto, avrebbe detto qualcosa tipo: ce l’abbiamo
fatta, ci siamo riusciti.
Avrebbe detto: sono
stato io, vantandosi. Avrebbe pronunciato queste parole precise: l’ho ammazzato
io Calabresi. Io avrei fatto un mezzo sorriso, socchiuso leggermente gli occhi
perché non si vedesse quello che mi succedeva dentro. Poi avrei allungato piano
una mano verso la borsa come se mi fosse improvvisamente venuta molta voglia di
fumare, ma invece delle sigarette avrei preso una pistola. E gli avrei sparato.
In questi cinquant’anni
non ho mai confidato a nessuno quello che ho appena scritto qui sopra, qualche
volta ho cercato di nasconderlo perfino a me stessa, tanta è la vergogna che
anche in questo momento provo per quella fantasia di vendetta forse puerile che
mi ha accompagnata per i primi tempi dopo l’omicidio di mio marito, il
commissario Luigi Calabresi.
Ma questo è solo
l'inizio della sua dolorosa storia. Nel suo percorso di riconciliazione e di
pacificazione, l'autrice non ha mai ceduto a sentimenti barbari e brutali, e lo
ha deciso fin da subito.
Questa scelta,
perseguita con grande forza e tenacia, non è mai venuta meno negli anni a
seguire, e anzi l'ha condotta lungo un cammino faticoso, ma lontanissimo dai
pensieri distruttivi fatti di odio e di rancore.
Ora è tempo per lei di
raccontare la sua storia attraverso La crepa e la luce, un memoir
prezioso, che regala a tutti un libro straordinario, pieno di umanità,
sensibilità e perdono.
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