«E chi sei
tu? Chiesi alla pioggia che dolcemente scendeva,
e che, strano a dirsi, mi rispose, come
traduco:
sono il
poema della terra, disse la voce,
sorgo impalpabile eterna dalla terra e dal
fondo del mare,
su verso il cielo, in forma mutata ma la
stessa,
E sempre, giorno e notte, restituiscono la
vita alla mia origine,
la rendo pura e l’abbellisco, con amore».-
di ROBERTO MUSSAPI
Nella Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, la
pioggia costituisce un avvento, un’epifania: il marinaio colpevole di avere
ucciso il bianco e angelico albatro giace disidratato sulla nave arsa dal
calore, in una plumbea e massacrate bonaccia. Ma si avvicina l’istante di
redenzione e la sua salvezza, il perdono divino sarà segnato da un’improvvisa
pioggia, ritorno della vita: l’acqua che «per incantesimo bruciava / d’un
acceso rossore immoto sparsa», nell’epocale traduzione di Luzi, torna salvifica
in forma di poggia: «Quelle inutili secchie sulla tolda/ che inerti erano state
così a lungo,/ sognai ch’erano colme di rugiada;/ e dopo, quando mi risvegliai,
pioveva».
Similmente
al fuoco, che è amore, energia, calore, ma può anche divenire incendio,
distruzione, la pioggia è benedicente nutrice della terra e dei semi e delle
piante e dei frutti e dell’uomo, ma anche calamità nei nubifragi e delle
alluvioni. Pluviale è uno dei miti delle origini, il Diluvio universale, la cui
memoria appare in molte parti del mondo. Vitale, nella sua origine, e nel
rito universalmente diffuso della sua invocazione. Il più famoso è quello dei
nativi d’America, in particolare del Sud Ovest, dove erano frequenti lunghi
periodi di siccità, con conseguenze disastrose per la sopravvivenza. Il rito
propiziatorio vedeva agire uomini e donne insieme, con abiti specifici,
rituali, maschera turchese con peli di capra, bande blu e gialle, un rito con
colori, costumi, canti, gesti e movimenti codificati.
Non
fa riferimento né alla danza della pioggia né a Coleridge, il conciso e
brillante Breve
storia della pioggia
di Alain Corbin, (Marietti 2016, pagine 74, euro 9), un
libro che si legge in un soffio, ma che tocca alcuni nodi centrali della nostra
esperienza nei confronti di quella realtà che, nota acutamente l’autore, è vista,
simbolicamente, spesso, come scorrere di lacrime. Un excursus intelligente
sulla molteplice lettura della pioggia nei secoli, dal diciottesimo, quando
nasce la moderna meterologia, a oggi, quando è divenuta quasi una scienza
esatta, ma in compenso si è diffusa la meteoropatia... Se il meteoropatico è
ultrasensibile alla pioggia, in realtà non fa che manifestare in modo
esplicito quanto avviene in ogni uomo, spesso inconsciamente. Ma, molte volte,
amore o disdegno per questo fenomeno, suscita entusiasmo o fastidio esplicito:
come la repulsione di Stendhal per «le piogge continue, eterne, villane infami,
abominevoli», o al contrario lo stupore di Darwin che nella pioggia sente la
potenza gioiosa del torrente, quello di Thoreau, l’autore di Walden, ovvero
vita nei boschi, a cui la pioggia suggerisce la sensazione di immergersi
nella totalità del mondo nell’ebbrezza della natura, l’entusiasmo di Whitman (a
cui si aggiunge l’incantato e incantante di D’Annunnzio nella Pioggia nel pineto).
Whitman
il grande poeta dell’anima del mondo, le parla direttamente e alla sua voce
risponde la voce della pioggia: «E chi sei tu? Chiesi alla pioggia che
dolcemente scendeva, / e che, strano a dirsi, mi rispose, come traduco: / sono
il poema della terra, disse la voce, / sorgo impalpabile eterna dalla terra e
dal fondo del mare, / su verso il cielo, in forma mutata ma la stessa, / E
sempre, giorno e notte, restituiscono la vita alla mia origine, / la rendo pura
e l’abbellisco, con amore».
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