IN CAMMINO VERSO LA PORTA SANTA Un
pellegrinaggio verso la Porta Santa tra strade, catacombe e basiliche, per
ripercorrere i passi dei primi cristiani che vissero a Roma duemila anni fa. È
il nuovo libro di Alessandro Sortino Il Dio nuovo. Storia dei
primi cristiani che portarono Gesù a Roma in uscita per Rizzoli (pagine 276,
euro 18,50) e del quale proponiamo un estratto. la storia di come una piccola
comunità di uomini e di donne ha conquistato senza armi il cuore dell’impero
più potente dell’antichità, ma anche un cammino alla ricerca del cristianesimo
delle origini.
-
di Alessandro Sortino - Stefania Casellato
Avvicinarsi
alla Porta Santa significa muoversi avanti nello spazio e indietro nel tempo.
Ma prima di arrivare è necessario superare un labirinto: interiore ma non meno
reale. Quando arrivò a Roma, Pietro era solo un pescatore alla guida di pochi
Che significato ha la sua cattedra ora che la Chiesa è tornata minoritaria? Sei
di fronte alla basilica di San Pietro. Davanti a te la Porta Santa. Oltre
quella porta c’è la tomba del pescatore. Stai facendo la fila per
attraversarla. Puoi compiere questo gesto da turista o da curioso. Oppure puoi
farlo da pellegrino. Se è così, fermati, non entrare. Dante Alighieri ambientò
la sua Divina Commedia, secondo l’interpretazione prevalente, nella Settimana
Santa del 1300, l’anno del primo giubileo della storia. Si ritrovò in una selva
oscura a metà della sua vita. Ma capì subito che per uscirne non poteva salire
sul colle, perché tre fiere gli sbarravano la strada. Prima di salire doveva
inabissarsi e farsi pellegrino all’inferno. Io ti propongo lo stesso. Prima di
entrare nella Porta Santa voltati, dai le spalle alla basilica. Di fronte a te
c’è un labirinto, fatto di strade che partono nel presente, si perdono nel
passato e sbucano nel futuro. Quel labirinto è la città di Roma. Per
attraversare la Porta Santa da pellegrino, per venir fuori dalla selva oscura e
accettare il perdono, devi prima perderti lì dentro. Quando a Betlemme nasce
Gesù, a Roma governa Ottaviano Augusto, il primo imperatore della storia. Gesù
definirà gli ultimi del mondo “beati”, promettendo loro che saranno “i primi”.
Ottaviano definiva sé stesso “primo tra i pari”, il primo tra i primi che
comandano. Sessantaquattro anni dopo, Nerone – l’ultimo imperatore della
dinastia di Ottaviano – farà ammazzare nel suo circo privato ai piedi del colle
Vaticano Simone detto Pietro, il primo degli apostoli di Gesù.
La
civiltà in cui viviamo nasce da questo testacoda della storia fra ultimi e
primi, attraverso una trama che si dipana tra due grandi capitali del mondo
antico: Gerusalemme e Roma. Si tratta di una vicenda ricca di tradimenti,
enigmi, assassinii, colpi di scena, perfetti ingredienti per una serie tv di
successo. Io però ti offro di entrare in questa storia non come spettatore, ma
in un’altra maniera: con un ruolo da testimone. Come? Accedendo a una
narrazione in cui il protagonista del racconto e il narratore coincidono.
Questa narrazione si chiama “pellegrinaggio”. Il pellegrino si mette in viaggio
verso un luogo che un evento ha reso santo. Cammina in avanti nello spazio e
indietro nel tempo. Il suo premio sta nell’ottenere un incontro che induca in
lui un cambiamento: vuole rivivere nella propria esistenza quell’evento che ha
cambiato la storia. Non a caso papa Francesco, indicendo il giubileo del 2025,
ha scelto questo motto: “Pellegrini di speranza”. Anche questo libro che stai
per leggere dunque è un pellegrinaggio, cioè un racconto fatto camminando.
Viaggeremo in direzione del sepolcro degli apostoli, sovrapponendo i nostri
passi a quelli dei pellegrini che a milioni hanno compiuto nei secoli lo stesso
percorso. Passeremo anche noi attraverso la Porta Santa delle basiliche
dedicate a san Pietro e san Paolo, per scoprire se insieme a quelle ossa, nelle
loro tombe, la speranza è piantata o è seppellita. Pietro e Paolo. Per
cominciare tolgo loro l’aureola. Se al tempo dell’impero romano ci fossero stati
i giornali, questi due non sarebbero mai finiti in prima pagina: erano
provinciali emigrati, spiantati e marginali, privi di mezzi propri, di
religione ebraica ma considerati periferici pure dagli stessi ebrei. Uno,
Pietro, in origine faceva il pescatore; l’altro, Paolo, il fabbricante di
tende. Accanto a loro, le persone comuni che ne hanno ascoltato i racconti e si
sono fatte battezzare nel nome di Cristo tramandando fino a noi le loro
testimonianze e i loro gesti: maschi e femmine, patrizi e plebei, romani e
stranieri, schiavi e uomini liberi, commercianti e imprenditori, politici e
magistrati. Persone che si frequentavano, si riunivano e si sentivano parte
della stessa comunità, a prescindere dal ceto sociale o dall’etnia di
provenienza. Il cristianesimo dei primissimi tempi era così.
La
Chiesa dei primi cristiani è passata attraverso una serie incredibile di
sconfitte e fallimenti, e la sua missione è stata portata avanti da persone che
non sapevano affatto ciò che stavano facendo e l’hanno scoperto via via,
sorprese a loro volta dagli eventi di cui erano protagoniste. Eppure, pensaci:
tutte le autorità civili e religiose che governavano al tempo degli imperatori
– cioè dal primo al quarto secolo dopo Cristo – sono state spazzate via. Da
allora l’unica autorità ad aver resistito, l’unica figura superstite del tempo
dei romani, è quella del vescovo di Roma. Di colui, cioè, che viene eletto
“successore di Pietro”, erede del primo tra coloro che dalla Giudea il messia
inviò nel mondo perché lo convertisse in suo nome. La domanda è questa: il suo
trono, la cattedra del pescatore Pietro, è un relitto della storia, qualcosa
che emerge dalla polvere del tempo come un antico reperto e che alla polvere
tornerà come tutto il resto? Oppure è il segno spirituale e materiale di una
realtà che abita sì il tempo, ma nutrita da radici che pescano la vita al di
fuori di esso? E noi? Davvero crediamo che lo sia? La stessa Chiesa ci crede?
Crede davvero di non essere in pericolo? Di non essere sul punto di
estinguersi? Una comunità di persone chiamate ad abrogare il sacrificio su cui
si regge il mondo, ma che questa cosa non la capiscono mai fino in fondo e a
ogni generazione devono riscoprirla daccapo. Questa era la Chiesa di allora.
Questa sta tornando a essere la Chiesa di oggi, via via che il mondo la spoglia
di quel potere e di quella ricchezza che proprio l’impero romano le aveva
attribuito, dopo averla perseguitata. Oggi, come nel primo secolo, si trova a
essere minoritaria, diffamata, insultata e tradita dai suoi stessi membri,
eppure in pellegrinaggio verso la tomba dei suoi fondatori, per ritrovare la
speranza che loro hanno testimoniato. Per questo è interessante capire come
tutto è cominciato. In quel passato c’è il nostro futuro. Anche se tornassimo
in dodici, non sarebbe la fine.
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