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di Alessandro D’Avenia
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Il
presente ci raggiunge solo se gli prestiamo attenzione, ma spesso siamo troppo
distratti. Abbiamo persino inventato la curiosa espressione “tempo reale” per
indicare ciò che ci raggiunge il più rapidamente possibile.
Eppure,
reale non è sinonimo di veloce, come crede il nostro mondo di corsa, ma ciò di
cui scopriamo la pienezza, andandogli incontro anche lentamente, non a caso
contento e contenuto hanno la stessa radice: non si può esser contenti senza
contenuto. Solo l'attenzione permette al tempo di essere reale, un secondo
diventa un secolo (anche secondo e secolo hanno la stessa radice, secare,
tagliare: il tempo, a fette). Se in un bosco taglio una mattonella di terreno
30x30, spessore due centimetri, trovo in media 1400 esseri viventi. Uno spazio
minimo è così pieno di contenuto (vita) da poterci rendere contenti (vivi). Lo
stesso vale per un tempo minimo, ma solo se si è attenti. A questo serve la
scuola che comincia: a non vivere altrove, ad allenare l'attenzione, a scavare
per bene nell'istante (ciò che sta dentro) e nel circostante (ciò che sta
attorno) per trovare realtà a 18 carati, e quindi esperienza autentica. “Non
pensate al domani perché a ogni giorno basta il suo peso”, è una frase luminosa
di Cristo: ogni giornata, se non fuggi, è sufficiente a renderti vivo e magari
ricco. Istante e circostante sì incontrano nell'unità di misura della gioia: il
minuto. Come?
Minuto
è sia l'unità di tempo di 60 secondi, sia un aggettivo per indicare le
dimensioni, quindi lo spazio occupato da qualcosa: corpo, pioggia, caratteri,
faccende possono essere “minuti”. Lo si dice di una persona attenta ai
dettagli: minuta o minuziosa. La minuta era, per i nonni, la versione base di
un testo. Scaviamo con l'attenzione, la vanga dell'anima, “nel minuto”: che
cosa trovo qui (circostante) e ora (istante)? Comincio io, con studio, che
significava in latino desiderio, perché non si può conoscere se non ciò che si
ama. C'è una piccola conchiglia dalle striature bianche e marroni. Viene dalla
spiaggia che frequentavo da bambino, ricca di conchiglie a me ormai così
familiari che avrei dovuto farci l'abitudine, e invece no. L'ho raccolta quest’estate:
mi stupiscono sempre le regolari coste a sbalzo e i disegni a fascia in tutte
le sfumature dal marrone al bianco. Mostrano, sin dalla base della catena dei
viventi, una regola geometrica della vita che già basta a stupirmi: la
simmetria bilaterale. Quella conchiglia è la metà di un’altra uguale. La stessa
simmetria del corpo umano, del volto, del cuore. Voglio scavare oltre. Scopro
che si chiama acanthocardia tubercolata, nome dato nel 1758 alla bivalve che
può avere varie dimensioni ma sempre 18-20 coste radiali. Il nome latino
contiene la parola cuore, si chiamano infatti anche cuori di mare, molto comuni
nelle spiagge del Mediterraneo e dell'Atlantico nord-occidentale, e con una
funzione fondamentale per il fitoplancton delle coste. Appartengono alla
famiglia infinita di molluschi bivalvi detti cardiidae: cuori. Sulla mia
scrivania c'è quindi un mezzo cuore, metà di una casa costruita con maestria e
gusto da un essere i cui fossili datano a 30 milioni di anni di fa, nel periodo
geologico chiamato Oligocene, quando si formarono le Alpi e l'Himalaya e si
ghiacciò la calotta antartica, tanto che il mare raggiunse il livello più basso
nella storia terrestre, facendo emergere passaggi che permisero la migrazione
di piante e animali che si ritrovano infatti in continenti diversi. Al confronto
della storia di questa conchiglia, la mia, quella dei sapiens, è iniziata un
minuto fa. La solita conchiglia da passeggiata racconta una storia millenaria
di cui ho solo scalfito la superficie, ma che basta a risvegliare vocazioni,
dal geologo al malacologo, ispirazioni, dall'artista allo stilista, meraviglia,
all'ignorante attento, cioè lo studente.
Poco
sopra c'è lo schermo del computer aperto sulle notizie: domina quella di un
diciassettenne che ha ucciso padre, madre e fratello con 68 coltellate. La
descrizione mi lascia sgomento ma mi commuovono le parole dei nonni che
dichiarano che non lo abbandoneranno mai. In questo frammento ci sono tutte le
ombre e le luci del cuore umano, sangue e cura, male e bene. Non aggiungo
l'ennesima analisi del dramma, mi ricordo solo che fare l'insegnante è
ascoltare i vuoti e i silenzi dei ragazzi, non solo le loro interrogazioni. Poi
in questo “minuto”, a destra, c'è la colonna pericolante dei libri in attesa,
dove poc'anzi ne ho poggiato uno giunto in regalo, un “presente” inatteso.
Autore, Giulio Busi, titolo, “Giovanni: il discepolo che Gesù amava”. Una
storia dell'evangelista che preferisco, rileggo e approfondisco. Il libro vuole
smentire la tesi che quello di Giovanni sia il meno affidabile dei vangeli dal
punto di vista storico. Infatti, il testo mostra che Giovanni conosce benissimo
la vita del tempo e in particolare di Gerusalemme nel primo secolo: strade,
usanze, sogni, intrighi...
Unico
apostolo non ucciso dai persecutori del cristianesimo, si trasferirà a Efeso
dove racconterà a tanti dell'uomo che gli ha cambiato la vita. Dai suoi ricordi
nasce il testo più studiato e commentato al mondo. Io uno che dice di aver
toccato Dio sulla Terra lo sento amico, perché ne ho bisogno. Sollevo lo
sguardo dalla copertina e in questo “minuto” c'è anche un acquarello che mi ha
regalato anni fa un ragazzo in una scuola. Su uno sfondo scuro una sagoma
bianca, in bicicletta, solca una strada, il colore dell'asfalto è quello di un
cielo notturno, il cielo sembra in terra, la terra in cielo. Sul petto della
figura bianca è accesa una macchia rossa all'altezza del cuore. Geniale nella
composizione e bello per dinamismo e colori, tengo l'acquarello sulla
scrivania.
Quel
ragazzo, talento che ho saputo poi esser fiorito, aveva colto l'essenza del mio
viaggio artistico ed esistenziale: un esploratore lento, cuore acceso (studio è
desiderio), a caccia del cielo in terra. Tutte le volte che lo guardo mi
ricordo che ci sto a fare qui. Il “minuto” finisce solo perché questo “pezzo”
finisce, ci sarebbero infiniti finiti da scavare ma mi resta solo il tempo di
leggere la massima scritta sul foglietto di un calendario da tavolo, quella di
domenica 8 settembre dice: “Concentra l'attenzione su una cosa alla volta”. È
vero: quanta grazia ricevuta solo per aver scavato in uno dei 1440 minuti di
oggi. Che gioia poterlo fare ancora, e ancora, fino alla fine dei miei minuti.
In fondo abbiamo sempre e solo il minuto per vivere, perché il passato è un
“minuto” degno d'esser ricordato e il futuro un “minuto” degno d'esser
desiderato. Studiare il minuto è il segreto della scuola imminente e permanente
della vita senza la quale tutto si disperde nel vuoto, cioè nel non-contenuto,
e quindi nello s-contento.
Buona
scuola a tutti.
Alzogliocchiversoilcielo
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