giovedì 5 settembre 2024

ANALFABETISMO RELIGIOSO


Se ci riportiamo al “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” lo sgomento cresce a dismisura perché ci viene incontro un’asserzione dirimente: l’85% degli italiani sostiene di essere cattolico, il 70% possiede la Bibbia ma in quanti la leggono? Solo in meno del 30%.

Per costi sociali si intende la mancata conoscenza della propria religione ma anche di quella dell’altro, luoghi comuni, fraintendimenti si intersecano strettamente, così facendo si “concede spazio, almeno indirettamente, a incidenti culturali che minano la coesione sociale e rallentano i processi di integrazione”. Bisognerebbe infrangere il cosiddetto “muro di vetro” che impedisce le relazioni.

- di Marco Ventura

 Dieci anni fa un rapporto sul sacro mostrò quello che oggi è sotto gli occhi di tutti: siamo (o siamo diventati) estranei a un vasto patrimonio di conoscenze, non importa se credenti o no. È un problema che non riguarda solo il nostro Paese. Ed è un paradosso: perché le appartenenze confessionali sono tra i più profondi motivi di divisione, lo dimostra — ne parliamo più avanti — il bando, nell’Ucraina in guerra, della Chiesa russo-ortodossa

Tanto più avvertiamo il peso della religione contemporanea, tanto meno ci pare di saperne e di capirne. Non conosciamo e non capiamo la religione altrui, quella che più o meno visibile ci abita ormai accanto o che, remota, ci visita dallo schermo dei supporti digitali; ma non conosciamo e non capiamo neppure la nostra religione, quella che abbiamo dimenticato o non riconosciamo più. Ci sommergono informazioni e concetti, immagini e emozioni. Troppo materiale, troppo disparato, troppo nuovo, troppo complesso per riuscire a capire e sapere. Oppure c’è il vuoto. Una tabula rasa in cui non distinguiamo e riconosciamo alcunché.

 Per mettere ordine, per riempire il nulla, per articolare un significato, ci vorrebbe l’alfabeto giusto. Però non lo abbiamo. Siamo affetti da analfabetismo religioso: non conosciamo e non capiamo la religione, tanto la nostra quanto quella altrui. Ognuno di noi vive a suo modo questa condizione, ma la questione supera di gran lunga l’esistenza individuale: è collettiva, sociale. Sono passati dieci anni dalla pubblicazione del Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia a cura dello storico del cristianesimo Alberto Melloni. Nel volume pubblicato dal Mulino una trentina di autori individuava nell’ignoranza religiosa degli italiani un dato preoccupante per la salute culturale del Paese e per il suo sviluppo. Veniva proposta una mappatura dell’analfabetismo e si immaginavano risposte da affidare alle politiche dello Stato e alle iniziative della società civile.

 Un capitolo di quel Rapporto, scritto dal sociologo Paolo Naso, riferiva di un’indagine commissionata dalla Tavola valdese a Gfk Eurisko. La Bibbia era letta solo da un italiano su tre, a giudicare dal campione intervistato; il 26% la riteneva scritta da Mosè, il 20% da Gesù. Soltanto il 39% dei cattolici praticanti era in grado di nominare i quattro evangelisti. Il 70% del totale non riusciva a collocare in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Più del 50% non sapeva dire chi avesse dettato i Dieci Comandamenti, mentre solo il 3% dei cattolici praticanti era capace di elencarli. Le virtù teologali risultavano ignorate dall’83% degli intervistati. Infine, soltanto il 44% collegava Vladimir Putin all’ortodossia, il 62% non sapeva indicare la religione di Primo Levi, il 59% ignorava il padre della Riforma protestante.

 A dieci anni di distanza da quell’allarme le cose non sono migliorate. Anzi, è sempre più grave la questione dell’analfabetismo. Sui vecchi ritardi si innesta infatti il nuovo scarto tra il poco che conosciamo della religione del nostro tempo e il tanto che del nostro tempo è condizionato dalla religione. Siamo ben oltre la storica polemica protestante sull’ignoranza dei cattolici. Il problema è più vasto e profondo. La sua chiave è in due fenomeni. Il primo è la secolarizzazione: è diminuita la pratica religiosa, si è ristretto lo spazio del sacro, la fede, e la cultura di cui la fede è espressione, non vengono più trasmesse in famiglia. La religione non è morta, però. Ha resistito, spesso sotterranea; s’è reinventata. Al posto di ciò che si sapeva un tempo c’è il vuoto di ciò che non sappiamo più, di ciò che non sappiamo ancora. Interviene qui il secondo fenomeno, la multireligiosità. Mentre la religione tradizionale scompariva, si nascondeva o si reinventava, arrivavano nuove religioni nelle persone o sullo schermo. All’ignoranza sulla religione della tradizione si aggiungeva quella sulla religione altrui. Hanno condiviso lo stesso destino — e ora condividono la stessa ignoranza — quanti di noi erano qui da generazioni e quanti stavano arrivando. Abbiamo perso la conoscenza dei nonni perché l’abbiamo lasciata nei Paesi d’origine o nell’Italia cattolica che non c’è più. Ci tocca ora affrontare tutti una inedita multi-religiosità.

 Ecco il nostro analfabetismo. Non conosciamo più quello che conoscevamo della vecchia religione, quanto meno quello che conoscevamo frequentandola; non conosciamo ancora quella nuova e cioè la vecchia che si reinventa o l’altrui con cui impariamo a coabitare.

 L’ora di religione sintetizza il travaglio di questa fase. Rinata con l’Accordo di Villa Madama del 1984 come «insegnamento della religione cattolica», è ancora scelta dalla grande maggioranza degli studenti e delle famiglie, ma ha perso quasi il 10% negli ultimi dieci anni. È scesa infatti dal 93% all’84%, e registra percentuali molto più basse nelle grandi città del Centro-Nord, alle superiori e negli istituti tecnici e professionali. Non superano il 65%, secondo l’Unione degli atei e agnostici razionalisti, quanti se ne avvalgono nelle provincie di Bologna e Firenze. Essendo sotto il controllo della Conferenza episcopale italiana (Cei), l’insegnamento non può essere obbligatorio nella scuola pubblica. Si cerca di attrarre gli studenti con temi di interesse generale che però sottraggono spazio allo studio del cristianesimo. È sempre più avvertita, intanto, la necessità di informare sulle altre religioni. Con il consenso del governo e la collaborazione delle confessioni si includono nell’ora di religione percorsi di formazione sulle fedi non cristiane. L’anno scorso la Cei e l’Unione delle comunità ebraiche italiane hanno convenuto su sedici schede «per conoscere l’ebraismo». L’ora di religione cattolica si tramuta in una «ora cattolica di religioni».

 È sottile il confine tra lo sforzo per rispondere al bisogno di alfabetizzazione di cui si fanno forti gli insegnanti e il rischio di alimentare l’analfabetismo denunciato dai critici. Se sono fragili i tentativi di adeguare l’ora di religione, sono non meno fragili i tentativi di proporre alternative. La storia delle religioni è rimasta una «materia invisibile», come suggeriva nel 2011 il titolo del volume degli storici Alessandro Saggioro e Mariachiara Giorda edito da Emi. Gli esperimenti continuano, tuttavia, e la riflessione non si ferma, in Italia e in Europa. Proprio in queste settimane il pedagogista Flavio Pajer sta svolgendo un’ampia consultazione in vista dell’eventuale proposta di un insegnamento sui monoteismi nella scuola pubblica. La questione, comunque, va al di là della scuola. L’anno prossimo, dopo il successo in Francia, Belgio e Paesi Bassi, giungerà in Italia Emuna, piattaforma per l’alfabetizzazione al dialogo interculturale e interreligioso in collaborazione con la Luiss.

 A fronte dei mille segnali di reazione, di mobilitazione, sono palpabili due derive fondamentali dell’analfabetismo. La prima è il compiacimento. Ci rivendichiamo ignoranti con orgoglio perché la religione è sbagliata, la nostra razionalità è superiore alla fede, non è possibile sapere di un Dio che non esiste e comunque non si può conoscere una religione che non si abbraccia. Tanto più il religioso ci interpella, psicologicamente e socialmente, tanto più ci compiacciamo di ignorarlo nell’intento illusorio di rimuoverlo. Hanno fatto così in Québec, la regione francofona del Canada: dopo anni di discussioni sull’insegnamento della religione nella scuola pubblica, sostituirà l’insegnamento di «etica e cultura religiosa», da quest’anno, un corso di «cultura e cittadinanza del Québec» privo di religione. La seconda deriva è la manipolazione. Riduco il religioso al poco che so e che mi conviene. Mi approprio di simboli e testi. Mi ritaglio la tradizione su misura. Più sono ignorante, più mi riempio la bocca di buona religione, la mia, e di cattiva religione, la sua. Nella versione conservatrice, la mia ignoranza religiosa è nazionalista, escludente, armata. Nella versione progressista, è auto-flagellante, sincretista, ingenua. Rispecchiano e giustificano la medesima manipolazione ignorante, la Bibbia QAnon dei sostenitori di Donald Trump e la Bibbia queer delle drag queen.

 Nel suo La santa ignoranza del 2008 il politologo francese Olivier Roy fornì la lettura più illuminante del rapporto tra l’analfabetismo contemporaneo e il fondamentalismo religioso globale. Provengono dalle fedi globalizzatesi nel secondo Novecento, dopo aver reciso il cordone ombelicale con la loro storia culturale, i mostri religiosi del nostro tempo. Capiamo solo così Putin che bacia il Corano il 22 agosto scorso, nella nuova moschea della capitale cecena Grozny intitolata al «Profeta Gesù». Negli anni, seguendo la pista di quella riflessione, osservando gli sviluppi religiosi planetari, Roy ha compreso come la crisi della cultura religiosa segnalasse in realtà la crisi della cultura in quanto tale. È la tesi del suo libro di due anni fa in uscita il 10 settembre da Feltrinelli. L’appiattimento del mondo, così il titolo, è la sfida ultima dell’analfabetismo religioso: di quello macroscopico che minaccia il mondo e di quello microscopico che impoverisce il nostro quotidiano. Privi di alfabeto, confusi dal cambiamento e dalla molteplicità, ci «appiattiamo».

Rinunciamo ai rilievi della cultura in generale e della cultura religiosa in particolare: alle sue vette, ai suoi precipizi; alla sua verticalità. Preferiamo rifugiarci nell’orizzontalità delle anguste subculture verso cui ci spinge l’algoritmo, dove del religioso non resta che il povero stereotipo condiviso con la tribù di turno.

 Ci attendono qui le due derive del compiacimento e della manipolazione: la rimozione d’un religioso che ci inquieta oppure la sua liofilizzazione in formule efficienti, immediate, utilitariste, apparentemente capaci di schiuderci i nessi che cerchiamo tra religione e politica, tra religione ed economia, tra religione e comunicazione. In quelle sabbie mobili, ci inghiotte tanto più rapida la nostra ignoranza religiosa quanto più in essa ci dimeniamo. L’alternativa, per chi non ci sta, è la ricostruzione lenta, paziente, di un nuovo alfabeto, con i movimenti sapienti insegnati da chi ha competenza, da chi merita fiducia, da chi ha imparato ad uscire dalle sabbie mobili. Ci stanno provando studiosi e religiosi, credenti, non credenti e cittadini, enti pubblici e privati, individui e comunità, uomini e donne, giovani e meno giovani. Ci stanno provando, speriamo, le divinità.

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