Se ci riportiamo al “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” lo sgomento cresce a dismisura perché ci viene incontro un’asserzione dirimente: l’85% degli italiani sostiene di essere cattolico, il 70% possiede la Bibbia ma in quanti la leggono? Solo in meno del 30%.
Per costi sociali si intende la mancata conoscenza della propria religione ma anche di quella dell’altro, luoghi comuni, fraintendimenti si intersecano strettamente, così facendo si “concede spazio, almeno indirettamente, a incidenti culturali che minano la coesione sociale e rallentano i processi di integrazione”. Bisognerebbe infrangere il cosiddetto “muro di vetro” che impedisce le relazioni.
- di Marco Ventura
Dieci anni fa un rapporto sul sacro mostrò quello che oggi è sotto gli
occhi di tutti: siamo (o siamo diventati) estranei a un vasto patrimonio di
conoscenze, non importa se credenti o no. È un problema che non riguarda solo
il nostro Paese. Ed è un paradosso: perché le appartenenze confessionali sono
tra i più profondi motivi di divisione, lo dimostra — ne parliamo più avanti —
il bando, nell’Ucraina in guerra, della Chiesa russo-ortodossa
Tanto più avvertiamo il peso della religione contemporanea, tanto meno ci
pare di saperne e di capirne. Non conosciamo e non capiamo la religione altrui,
quella che più o meno visibile ci abita ormai accanto o che, remota, ci visita
dallo schermo dei supporti digitali; ma non conosciamo e non capiamo neppure la
nostra religione, quella che abbiamo dimenticato o non riconosciamo più. Ci
sommergono informazioni e concetti, immagini e emozioni. Troppo materiale,
troppo disparato, troppo nuovo, troppo complesso per riuscire a capire e
sapere. Oppure c’è il vuoto. Una tabula rasa in cui non distinguiamo e
riconosciamo alcunché.
Per mettere ordine, per riempire il nulla, per articolare un significato,
ci vorrebbe l’alfabeto giusto. Però non lo abbiamo. Siamo affetti da
analfabetismo religioso: non conosciamo e non capiamo la religione, tanto la
nostra quanto quella altrui. Ognuno di noi vive a suo modo questa condizione,
ma la questione supera di gran lunga l’esistenza individuale: è collettiva,
sociale. Sono passati dieci anni dalla pubblicazione del Rapporto
sull’analfabetismo religioso in Italia a cura dello storico del cristianesimo
Alberto Melloni. Nel volume pubblicato dal Mulino una trentina di autori
individuava nell’ignoranza religiosa degli italiani un dato preoccupante per la
salute culturale del Paese e per il suo sviluppo. Veniva proposta una mappatura
dell’analfabetismo e si immaginavano risposte da affidare alle politiche dello
Stato e alle iniziative della società civile.
Un capitolo di quel Rapporto, scritto dal sociologo Paolo Naso, riferiva di
un’indagine commissionata dalla Tavola valdese a Gfk Eurisko. La Bibbia era
letta solo da un italiano su tre, a giudicare dal campione intervistato; il 26%
la riteneva scritta da Mosè, il 20% da Gesù. Soltanto il 39% dei cattolici
praticanti era in grado di nominare i quattro evangelisti. Il 70% del totale
non riusciva a collocare in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Più
del 50% non sapeva dire chi avesse dettato i Dieci Comandamenti, mentre solo il
3% dei cattolici praticanti era capace di elencarli. Le virtù teologali
risultavano ignorate dall’83% degli intervistati. Infine, soltanto il 44%
collegava Vladimir Putin all’ortodossia, il 62% non sapeva indicare la religione
di Primo Levi, il 59% ignorava il padre della Riforma protestante.
A dieci anni di distanza da quell’allarme le cose non sono migliorate.
Anzi, è sempre più grave la questione dell’analfabetismo. Sui vecchi ritardi si
innesta infatti il nuovo scarto tra il poco che conosciamo della religione del
nostro tempo e il tanto che del nostro tempo è condizionato dalla religione.
Siamo ben oltre la storica polemica protestante sull’ignoranza dei cattolici.
Il problema è più vasto e profondo. La sua chiave è in due fenomeni. Il primo è
la secolarizzazione: è diminuita la pratica religiosa, si è ristretto lo spazio
del sacro, la fede, e la cultura di cui la fede è espressione, non vengono più
trasmesse in famiglia. La religione non è morta, però. Ha resistito, spesso
sotterranea; s’è reinventata. Al posto di ciò che si sapeva un tempo c’è il
vuoto di ciò che non sappiamo più, di ciò che non sappiamo ancora. Interviene
qui il secondo fenomeno, la multireligiosità. Mentre la religione tradizionale
scompariva, si nascondeva o si reinventava, arrivavano nuove religioni nelle
persone o sullo schermo. All’ignoranza sulla religione della tradizione si
aggiungeva quella sulla religione altrui. Hanno condiviso lo stesso destino — e
ora condividono la stessa ignoranza — quanti di noi erano qui da generazioni e
quanti stavano arrivando. Abbiamo perso la conoscenza dei nonni perché
l’abbiamo lasciata nei Paesi d’origine o nell’Italia cattolica che non c’è più.
Ci tocca ora affrontare tutti una inedita multi-religiosità.
Ecco il nostro analfabetismo. Non conosciamo più quello che conoscevamo
della vecchia religione, quanto meno quello che conoscevamo frequentandola; non
conosciamo ancora quella nuova e cioè la vecchia che si reinventa o l’altrui
con cui impariamo a coabitare.
L’ora di religione sintetizza il travaglio di questa fase. Rinata con
l’Accordo di Villa Madama del 1984 come «insegnamento della religione
cattolica», è ancora scelta dalla grande maggioranza degli studenti e delle
famiglie, ma ha perso quasi il 10% negli ultimi dieci anni. È scesa infatti dal
93% all’84%, e registra percentuali molto più basse nelle grandi città del
Centro-Nord, alle superiori e negli istituti tecnici e professionali. Non
superano il 65%, secondo l’Unione degli atei e agnostici razionalisti, quanti
se ne avvalgono nelle provincie di Bologna e Firenze. Essendo sotto il
controllo della Conferenza episcopale italiana (Cei), l’insegnamento non può
essere obbligatorio nella scuola pubblica. Si cerca di attrarre gli studenti
con temi di interesse generale che però sottraggono spazio allo studio del
cristianesimo. È sempre più avvertita, intanto, la necessità di informare sulle
altre religioni. Con il consenso del governo e la collaborazione delle
confessioni si includono nell’ora di religione percorsi di formazione sulle
fedi non cristiane. L’anno scorso la Cei e l’Unione delle comunità ebraiche
italiane hanno convenuto su sedici schede «per conoscere l’ebraismo». L’ora di
religione cattolica si tramuta in una «ora cattolica di religioni».
È sottile il confine tra lo sforzo per rispondere al bisogno di
alfabetizzazione di cui si fanno forti gli insegnanti e il rischio di
alimentare l’analfabetismo denunciato dai critici. Se sono fragili i tentativi
di adeguare l’ora di religione, sono non meno fragili i tentativi di proporre
alternative. La storia delle religioni è rimasta una «materia invisibile», come
suggeriva nel 2011 il titolo del volume degli storici Alessandro Saggioro e
Mariachiara Giorda edito da Emi. Gli esperimenti continuano, tuttavia, e la
riflessione non si ferma, in Italia e in Europa. Proprio in queste settimane il
pedagogista Flavio Pajer sta svolgendo un’ampia consultazione in vista
dell’eventuale proposta di un insegnamento sui monoteismi nella scuola
pubblica. La questione, comunque, va al di là della scuola. L’anno prossimo,
dopo il successo in Francia, Belgio e Paesi Bassi, giungerà in Italia Emuna,
piattaforma per l’alfabetizzazione al dialogo interculturale e interreligioso
in collaborazione con la Luiss.
A fronte dei mille segnali di reazione, di mobilitazione, sono palpabili
due derive fondamentali dell’analfabetismo. La prima è il compiacimento. Ci
rivendichiamo ignoranti con orgoglio perché la religione è sbagliata, la nostra
razionalità è superiore alla fede, non è possibile sapere di un Dio che non
esiste e comunque non si può conoscere una religione che non si abbraccia.
Tanto più il religioso ci interpella, psicologicamente e socialmente, tanto più
ci compiacciamo di ignorarlo nell’intento illusorio di rimuoverlo. Hanno fatto
così in Québec, la regione francofona del Canada: dopo anni di discussioni
sull’insegnamento della religione nella scuola pubblica, sostituirà
l’insegnamento di «etica e cultura religiosa», da quest’anno, un corso di
«cultura e cittadinanza del Québec» privo di religione. La seconda deriva è la
manipolazione. Riduco il religioso al poco che so e che mi conviene. Mi
approprio di simboli e testi. Mi ritaglio la tradizione su misura. Più sono
ignorante, più mi riempio la bocca di buona religione, la mia, e di cattiva
religione, la sua. Nella versione conservatrice, la mia ignoranza religiosa è
nazionalista, escludente, armata. Nella versione progressista, è
auto-flagellante, sincretista, ingenua. Rispecchiano e giustificano la medesima
manipolazione ignorante, la Bibbia QAnon dei sostenitori di Donald Trump e la
Bibbia queer delle drag queen.
Nel suo La santa ignoranza del 2008 il politologo francese Olivier Roy
fornì la lettura più illuminante del rapporto tra l’analfabetismo contemporaneo
e il fondamentalismo religioso globale. Provengono dalle fedi globalizzatesi
nel secondo Novecento, dopo aver reciso il cordone ombelicale con la loro
storia culturale, i mostri religiosi del nostro tempo. Capiamo solo così Putin
che bacia il Corano il 22 agosto scorso, nella nuova moschea della capitale
cecena Grozny intitolata al «Profeta Gesù». Negli anni, seguendo la pista di
quella riflessione, osservando gli sviluppi religiosi planetari, Roy ha
compreso come la crisi della cultura religiosa segnalasse in realtà la crisi
della cultura in quanto tale. È la tesi del suo libro di due anni fa in uscita
il 10 settembre da Feltrinelli. L’appiattimento del mondo, così il titolo, è la
sfida ultima dell’analfabetismo religioso: di quello macroscopico che minaccia
il mondo e di quello microscopico che impoverisce il nostro quotidiano. Privi
di alfabeto, confusi dal cambiamento e dalla molteplicità, ci «appiattiamo».
Rinunciamo ai rilievi della cultura in generale e della cultura religiosa
in particolare: alle sue vette, ai suoi precipizi; alla sua verticalità.
Preferiamo rifugiarci nell’orizzontalità delle anguste subculture verso cui ci
spinge l’algoritmo, dove del religioso non resta che il povero stereotipo
condiviso con la tribù di turno.
Ci attendono qui le due derive del compiacimento e della manipolazione: la
rimozione d’un religioso che ci inquieta oppure la sua liofilizzazione in
formule efficienti, immediate, utilitariste, apparentemente capaci di
schiuderci i nessi che cerchiamo tra religione e politica, tra religione ed
economia, tra religione e comunicazione. In quelle sabbie mobili, ci inghiotte
tanto più rapida la nostra ignoranza religiosa quanto più in essa ci dimeniamo.
L’alternativa, per chi non ci sta, è la ricostruzione lenta, paziente, di un
nuovo alfabeto, con i movimenti sapienti insegnati da chi ha competenza, da chi
merita fiducia, da chi ha imparato ad uscire dalle sabbie mobili. Ci stanno
provando studiosi e religiosi, credenti, non credenti e cittadini, enti pubblici
e privati, individui e comunità, uomini e donne, giovani e meno giovani. Ci
stanno provando, speriamo, le divinità.
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