CHI
SERVE MEGLIO
-di Alessandro D’Avenia
Un
poeta non aveva mai visto il mare. Si mise in viaggio. Si fermò in una locanda
e confidò all'albergatore la sua ricerca. L'uomo gli rispose che era ormai
vicino, avrebbe potuto raggiungere la meta l'indomani. Il poeta passò la notte
a rigirarsi nel letto della sua camera nell'insonne attesa. Il giorno dopo
l'albergatore lo vide tornare e gli chiese come era andata, ma il poeta rispose
che non aveva visto il mare e non aggiunse altro. Come era possibile? La
curiosa scena si ripeté per due o tre giorni, fino a quando il poeta tornò
raggiante: ce l'aveva fatta! E come? Chiese incuriosito l'albergatore. Da una
barca giunta a riva erano scesi dei pescatori: li aveva osservati, aveva
parlato con loro fissandoli negli occhi. E finalmente, in quei corpi e in
quelle voci, aveva visto il mare.
Così
è la verità, sempre incarnata in qualcuno, e per questo esiste la scuola: un
luogo pensato per incontrare testimoni credibili di un pezzo di vita a cui
hanno dedicato anni, sforzi e sogni. Sin da bambini impariamo il mondo per
fiducia, da qualcuno prima che da qualcosa, la pelle («un discorso
toccante...») e la voce («...mi ha incantato!») precedono la vista di almeno
nove mesi, ed è poi così anche nella vita fuori dal grembo. Si comincia a
conoscere solo da soggetto a soggetto: il corpo e la voce di qualcuno ci dicono
dove, come e cosa guardare. Ma chi seguire, chi ascoltare tra tante voci?
Maestro
Maestro
viene dal latino magister, versione umana della radice mag, più, da cui molti
termini come maggiore, magistrato, maggiordomo... Il «più» al maestro è dato
dall'intensità trovata in un ambito della vita, di cui è testimone: un sapere
incarnato. Per questo la grande poetessa russa Marina Cvetaeva diceva di
imparare da tutti i mastri e maestri: «Presto ascolto a ogni grande voce, a
chiunque appartenga. Quando recito una poesia sul mare e un marinaio che non
capisce nulla di poesia mi corregge, io gli sono riconoscente. Lo stesso con il
guardaboschi, il fabbro, il muratore».
Parola
Non
c'è trasmissione di parola se la parola non si è fatta carne: gesti, occhi,
mani, corpo... La verità ci afferra solo se è viva, cioè se è «sentita» e
«sensata»: passa dai sensi, ha senso. Anche Gesù veniva chiamato maestro, rabbi
significa infatti «grande» (versione ebraica del «più»). I rabbi di professione
non tolleravano quell'attribuzione, perché il falegname di Nazareth non aveva
titoli ufficiali per essere definito maestro. Eppure, la gente gli riconosceva
l'autorità sul campo e per questo lo seguiva.
A
proposito di rabbini, uno di loro diceva che la prima domanda che Dio ci porrà
nell'aldilà è: «Chi era il tuo maestro e che cosa hai appreso da lui?», perché
nell'incontro con i maestri è data a ciascuno l'occasione per una vita riuscita
o sprecata, cosa non scontata nell'epoca dei presunti (come se non fossero
stati nel grembo materno) self-made. Se fatichiamo a rispondere alla domanda
immaginata dal rabbino non abbiamo ancora ricevuto un'eredità, un destino, una
vocazione.
Testimoniare
Ma
passiamo dalla parte dei maestri: non basta conoscere, bisogna testimoniare la
vita. Come fare a farsi ascoltare? Il professor John Hattie, in Apprendimento
visibile ha raccolto i dati della più ampia analisi mai condotta su ciò che
rende l'insegnamento efficace, delineando quattro aspetti fondamentali,
estendibili a ogni ambito educativo e lavorativo:
1. Dare un riscontro chiaro, specifico e
tempestivo (aumento dell'apprendimento del 75%), così il tanto temuto
voto/giudizio diventa il logico punto di arrivo di una performance, come il
tempo di una corsa o l'altezza di un salto, un dato necessario per migliorare e
non un verdetto sulla persona. Durante le Olimpiadi ho seguito una delle mie
gare preferite, i tuffi: immediatamente dopo l'esecuzione ogni allenatore la
mostrava di nuovo al monitor al tuffatore, segnalandogli i punti deboli e
incoraggiandolo per il successivo.
2. Studenti che aiutano altri studenti:
insegnamento e apprendimento cooperativi (aumento del 58%). Il nostro sistema
scolastico è basato quasi esclusivamente sulla competizione, invece, la verità
si cerca e trova insieme, e non perché sia democratica (una legge fisica, la
grammatica di una lingua non lo sono), ma perché ognuno ne vede meglio un
pezzo. Inoltre, c'è sempre qualcuno che non vede e ha bisogno di aiuto, e chi
riesce a spiegare qualcosa la impara meglio di chiunque altro. Tutti diventano
maestri e tutti allievi.
4. Un clima di apprendimento gioioso e
positivo (aumento del 37%). Diceva già Agostino che «nutre la mente
soltanto ciò che la rallegra» ed è stato calcolato che, per modificare un
errore, un solo incoraggiamento vale quanto 89 rimproveri. Sono tutti aspetti
strettamente professionali, niente effetti speciali o carismi divini, un corpo
che incarna e una voce che racconta ad altri dove la vita è più intensa.
Scriveva infatti nella sua biografia il nobel Elias Canetti: «Ogni cosa che ho
imparato dalla viva voce dei miei insegnanti ha conservato la fisionomia di
colui che me l'ha spiegata e nel ricordo è rimasta legata alla sua immagine. È
questa la prima vera scuola di conoscenza dell'uomo».
Maestranza
C'è
scuola, ovunque sia, quando c'è «maestranza».
All'opposto
della parola mastro/maestro, che viene da «più», c'è la categoria di parole che
contengono invece la radice latina minus, «meno»: ministro, minestra,
menestrello... e tutti i termini che hanno in comune l'idea di «servire». Se il
più del magistro (maestro) segnala il di più di vita da raccontare a molti, il
meno del ministro indica invece la capacità di mettersi al servizio di altri
perché possano incontrare la vita, con più facilità. In ambito religioso il
ministro del culto ha infatti il compito di facilitare l'incontro tra gli
uomini e il divino. In ambito politico il ministro della Cultura ha il compito
di facilitare l'incontro tra cittadini e beni culturali. Quello dell'Istruzione
tra cittadini e maestri. Quello della Salute tra cittadini e cure... E così
via. Ogni maestro è quindi ministro (serve altri) e ogni ministro dovrebbe
anche essere maestro (nell'ambito di pertinenza), ma nell'uno e nell'altro
caso, il più e il meno, entrambi hanno potere su altri, non al fine di
sotto-mettere ma di per-mettere la vita, perché, mi piace ripeterlo in questi
tempi di fasti tennistici nostrani, come diceva lo scrittore David Foster
Wallace «la vita è come il tennis: vince chi serve meglio».
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