Una speranza fondata, con cui vivere con più ottimismo e serenità il tempo che ci è dato. - di Vito Mancuso
È possibile in questo mondo di cui avvertiamo il continuo e destabilizzante
cambiamento coltivare la speranza? In particolare la speranza che qualcosa non
cambi, ma rimanga stabile e divenga il punto di appoggio dell’esistenza? A
questa domanda rispondo di sì, e lo faccio sulla base di due argomentazioni, la
prima basata sulla logica, la seconda sull’etica.
Dal punto di vista logico l’affermazione “tutto cambia” o è falsa o è vera.
Se è falsa, allora in realtà qualcosa non cambia; se è vera, allora la frase
“tutto cambia” sarà sempre tale da dire la verità e quindi non cambierà. In
entrambi i casi dire “tutto cambia” dimostra il non-cambiamento di qualcosa. Il
che attesta la possibilità della nostra mente di raggiungere una dimensione non
soggetta al cambiamento, di partecipare cioè a una dimensione più alta, priva
di mutamento, tale da schiudere eterne verità. È quanto sperimentato anche da
musicisti (Bach, Mozart, Beethoven) e da scienziati (Bohr, Heisenberg,
Schrödinger). Da violinista dilettante qual era Einstein sintetizzò in sé le
due dimensioni, e di lui si racconta che una sera del 1929 a Berlino, al termine
di un concerto del grande virtuoso Yehudi Menhuin, si recò nel camerino e gli
disse: “Ora io so che c’è un Dio in cielo”. Non per questo Einstein si convertì
al Dio biblico, visto che rimase sempre dell’idea di Spinoza che identifica Dio
e Natura (Deus sive Natura), ma è chiaro che grazie alla musica ebbe
un’esperienza di trascendenza, ovvero di una dimensione dell’essere non
soggetto al cambiamento …
La seconda argomentazione a favore della speranza si basa sull’etica.
Quando infatti in questo mondo, dove tutto si muove secondo necessità e tutti
agiscono secondo istinto o secondo calcolo, l’essere umano si mostra
ciononostante capace del bene più puro, si ha, allora, un fenomeno inatteso,
inconcepibile, eppure reale, che mostra alla ragione l’esistenza di un’altra
dimensione, non basata sul calcolo e sulla volontà di potenza, ma su un
desiderio di armonia e di bene che apre a sua volta alla trascendenza. Fu
seguendo questa via che Kant trovò il fondamento per la rifondazione della
speranza: “La legge morale mi rivela una vita indipendente dalla animalità e
anche da tutto il mondo sensibile”. Parlare di una vita che è indipendente
dalla animalità e dal mondo sensibile significa parlare di un’altra vita, di
una vita altra, del tutto diversa rispetto alla vita che conosciamo che è vita
animale e sensibile: significa cioè parlare della trascendenza. Per questo Kant
dichiarò nella Critica della ragion pura: “Io avrò fede nell’esistenza di Dio e
in una vita futura, e ho la certezza che nulla potrà mai indebolire questa
fede, perché in tal caso verrebbero scalzati quei principi morali cui non posso
rinunciare senza apparire spregevole ai miei stessi occhi”. Il che significa: o
il fenomeno morale è falso, oppure, se è vero, apre un’altra via. E forse,
un’altra vita. E che sia falso oppure vero, dipende solo “da te”.
I due concetti in gioco di cambiamento e di speranza sono visti solitamente
in contrapposizione. Siccome tutto cambia, si dice, allora non c’è speranza che
qualcosa possa permanere, e quindi quella dimensione dell’essere non soggetta
al tempo che è l’eterno non esiste. Io penso però che, dal punto di vista sia
logico sia etico, vi sia la possibilità di affermare che proprio perché in
questo mondo tutto cambia, noi, quando diventiamo capaci di ragionamenti e di
atti non soggetti al cambiamento, dimostriamo di appartenere con una parte di
noi (con la mente e il cuore, ovvero l’anima) a un’altra dimensione
dell’essere. Non si tratterà mai di un’attestazione incontrovertibile come il
sapere assoluto cui aspirava Hegel. Ma si tratterà comunque di una speranza fondata,
con cui vivere con più ottimismo e serenità il tempo che ci è dato.
Il che peraltro non riguarda solo i credenti. Ernst Bloch, filosofo
marxista dissidente e scettico quanto a fede religiosa, intitolò il suo
capolavoro Il principio speranza e vi scrisse: “Chi siamo? Da dove veniamo?
Dove andiamo? Che cosa ci aspettiamo? E che cosa ci aspetta? Molti si sentono
soltanto confusi. Il terreno vacilla, e non sanno perché e per che cosa. Una
condizione d'angoscia, la loro, che diviene paura se assume più precisi
contorni”. Continuava: “L'importante è imparare a sperare. Il lavoro della
speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che
fallire. Lo sperare, superiore all'aver paura, non è né passivo come questo
sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L'effetto dello sperare
si espande, allarga gli uomini invece di restringerli”. Theodor Adorno, uno dei
fondatori della scuola di Francoforte, musicologo oltre che filosofo, ribadisce
così nei Minima moralia: “Alla fine la speranza, come si sottrae, negandola,
alla realtà, è la sola figura in cui si manifesta la verità. Senza speranza
l’idea della verità sarebbe difficilmente concepibile”. Tutto cambia, quindi
c’è speranza.
Vito Mancuso, Corriere della Sera edizione Toscana 5 settembre 2024
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