lunedì 9 settembre 2024

GESU' E LA POVERTA' EDUCATIVA

Gesù dà avvio a gesti inequivocabili di riabilitazione, benedizione e conferma della vita. 

Serve che l’umanità di oggi torni a toccare l’umano

 

-         -di Don Paolo Arienti

 

Ai lettori moderni e contemporanei la questione dei miracoli, dei segni straordinari, solleva sempre qualche perplessità. Secoli di addestramento scientifico e tecnico, se non è riuscito a prosciugare il desiderio spirituale che anima la fede, senza dubbio hanno reso più scettici davanti a contesti prodigiosi e a eventi fuori dal ‘normale’. I Vangeli fanno invece un uso abbondante di miracoli che cambiano le carte in tavola, sovvertono l’ordine plausibile della vita e soprattutto la sua rigida impalcatura che separa, ieri come oggi, l’infamia del dolore dal gaudio del benestante e non smette di immaginare che, in fondo, la sofferenza e la menomazione, il ritrovarsi al di sotto di una condivisa soglia di normalità, siano segnali di punizione del divino.

 A ben vedere tutti gli eventi miracolosi della Bibbia e del Nuovo Testamento in particolare sono come orientati ad uno scopo ben preciso: hanno ben poco a che fare con il capriccio di una potenza celeste che dispenserebbe ciecamente benefici e dolori; piuttosto servono ad indicare un’inversione, una rottura, una sovranità sulla storia e sulle sue sofferenze che solo la fede riesce, non senza grossissime fatiche, a scorgere. In più nei Vangeli questa rottura inaspettata coincide con la venuta di Gesù, il suo camminare nella storia, il suo toccare, guardare in faccia, consolare e liberare… gesti di massima concretezza che narrano – per la fede cristiana - la vicinanza del Figlio di Dio alla carne degli uomini; di più: nella carne degli uomini.

Con parole più difficili, possiamo dire che i miracoli evangelici hanno sempre una coloritura cristologica: rimandano alla domanda sull’identità profonda di Gesù, si espongono al rischio che questa biografia così umana sia confusa con un potere magico oppure, dall’altro lato, che la religione debba necessariamente scivolare in pratiche di controllo del sacro, di timore reverenziale, di sudditanza irrazionale. I Vangeli narrano attraverso questi gesti di liberazione che una storia nuova è iniziata. E sono consapevoli della fragile potenza di questa indicazione: non tutti saranno guariti, non tutti saranno risuscitati, non tutti saranno liberati dalle catene delle ingiustizie; anzi la storia dell’umanità conoscerà anche dopo Gesù una catena incredibile e sconcertante di abiezioni e umiliazioni delle creature di Dio, come se nulla di veramente decisivo fosse accaduto. Anche per questa ragione, ieri come oggi, la fede vive di contraddizioni e non tutti sono disposti ad accettare la fatica di una fedeltà che spesso è impotente dinanzi alla carne lacerata dei più poveri.

 I Vangeli credono nell’inaugurazione di un tempo nuovo: un tempo in cui i discepoli di Cristo vorranno mettersi a disposizione, nella fragilità di un limite che non riusciranno a superare del tutto, per curare i mutismi e le paralisi dei fratelli, per farsi loro stessi liberazione e giustizia per chi è schiacciato dal male. Gesù dà avvio a gesti inequivocabili di riabilitazione, benedizione e conferma della vita. E lo fa dichiarando di farlo in nome di Dio. I credenti che prendono sul serio questo vangelo, questa buona notizia, condividono con i non credenti e gli agnostici le stesse premure, lo stesso anelito alla giustizia e alla difesa della dignità dei più piccoli, con la coscienza che tutto questo ha a che fare, in termini misteriosi e paradossali, addirittura con l’onnipotenza di Dio, in una versione meno smaccata e meno superficiale, meno magica e più profonda. Ed oggi come allora come negare che servano gesti continui di liberazione e di nuova gioia per chi ne è così drammaticamente privo?

 Anche gli ultimi, recenti fatti di famiglie dilaniate dalla follia omicida, di persone aggredite ed uccise quasi per gioco, per noia o per blocchi affettivi, ci ricordano come non è più tempo per nessuno di farsi i fatti propri né di pensare solo al piccolo orto di casa.

 Troppe lingue sono mute, troppi cuori sono inariditi e quella che si chiamava qualche anno fa ‘emergenza educativa’ non è solo un dibattito su come svolgere nelle scuole qualche ora di educazione civica o affettiva. Serve che l’umanità di oggi torni a toccare l’umano, a farsene carico; che rompa la pesante e illusoria barriera della paura che separa. Come sono attuali i gesti e lo stile di Gesù!

Provincia Verona

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