Gesù dà avvio a gesti inequivocabili di riabilitazione, benedizione e
conferma della vita.
Serve che l’umanità di oggi torni a toccare l’umano
-
-di Don Paolo Arienti
Ai lettori moderni e contemporanei la questione dei miracoli, dei segni
straordinari, solleva sempre qualche perplessità. Secoli di addestramento
scientifico e tecnico, se non è riuscito a prosciugare il desiderio spirituale
che anima la fede, senza dubbio hanno reso più scettici davanti a contesti
prodigiosi e a eventi fuori dal ‘normale’. I Vangeli fanno invece un uso
abbondante di miracoli che cambiano le carte in tavola, sovvertono l’ordine
plausibile della vita e soprattutto la sua rigida impalcatura che separa, ieri
come oggi, l’infamia del dolore dal gaudio del benestante e non smette di
immaginare che, in fondo, la sofferenza e la menomazione, il ritrovarsi al di
sotto di una condivisa soglia di normalità, siano segnali di punizione del
divino.
A ben vedere tutti gli eventi miracolosi della Bibbia e del Nuovo
Testamento in particolare sono come orientati ad uno scopo ben preciso: hanno
ben poco a che fare con il capriccio di una potenza celeste che dispenserebbe
ciecamente benefici e dolori; piuttosto servono ad indicare un’inversione, una
rottura, una sovranità sulla storia e sulle sue sofferenze che solo la fede
riesce, non senza grossissime fatiche, a scorgere. In più nei Vangeli questa
rottura inaspettata coincide con la venuta di Gesù, il suo camminare nella
storia, il suo toccare, guardare in faccia, consolare e liberare… gesti di
massima concretezza che narrano – per la fede cristiana - la vicinanza del
Figlio di Dio alla carne degli uomini; di più: nella carne degli uomini.
Con parole più difficili, possiamo dire che i miracoli evangelici hanno
sempre una coloritura cristologica: rimandano alla domanda sull’identità
profonda di Gesù, si espongono al rischio che questa biografia così umana sia
confusa con un potere magico oppure, dall’altro lato, che la religione debba
necessariamente scivolare in pratiche di controllo del sacro, di timore
reverenziale, di sudditanza irrazionale. I Vangeli narrano attraverso questi
gesti di liberazione che una storia nuova è iniziata. E sono consapevoli della
fragile potenza di questa indicazione: non tutti saranno guariti, non tutti
saranno risuscitati, non tutti saranno liberati dalle catene delle ingiustizie;
anzi la storia dell’umanità conoscerà anche dopo Gesù una catena incredibile e
sconcertante di abiezioni e umiliazioni delle creature di Dio, come se nulla di
veramente decisivo fosse accaduto. Anche per questa ragione, ieri come oggi, la
fede vive di contraddizioni e non tutti sono disposti ad accettare la fatica di
una fedeltà che spesso è impotente dinanzi alla carne lacerata dei più poveri.
I Vangeli credono nell’inaugurazione di un tempo nuovo: un tempo in cui i
discepoli di Cristo vorranno mettersi a disposizione, nella fragilità di un
limite che non riusciranno a superare del tutto, per curare i mutismi e le
paralisi dei fratelli, per farsi loro stessi liberazione e giustizia per chi è
schiacciato dal male. Gesù dà avvio a gesti inequivocabili di riabilitazione,
benedizione e conferma della vita. E lo fa dichiarando di farlo in nome di Dio.
I credenti che prendono sul serio questo vangelo, questa buona notizia,
condividono con i non credenti e gli agnostici le stesse premure, lo stesso
anelito alla giustizia e alla difesa della dignità dei più piccoli, con la
coscienza che tutto questo ha a che fare, in termini misteriosi e paradossali,
addirittura con l’onnipotenza di Dio, in una versione meno smaccata e meno
superficiale, meno magica e più profonda. Ed oggi come allora come negare che
servano gesti continui di liberazione e di nuova gioia per chi ne è così
drammaticamente privo?
Anche gli ultimi, recenti fatti di famiglie dilaniate dalla follia omicida,
di persone aggredite ed uccise quasi per gioco, per noia o per blocchi
affettivi, ci ricordano come non è più tempo per nessuno di farsi i fatti
propri né di pensare solo al piccolo orto di casa.
Troppe lingue sono mute, troppi cuori sono inariditi e quella che si
chiamava qualche anno fa ‘emergenza educativa’ non è solo un dibattito su come
svolgere nelle scuole qualche ora di educazione civica o affettiva. Serve che
l’umanità di oggi torni a toccare l’umano, a farsene carico; che rompa la
pesante e illusoria barriera della paura che separa. Come sono attuali i gesti
e lo stile di Gesù!
Provincia
Verona
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