IL MONDO
NON SIA SFIGURATO
L’appello
di pace, lanciato a Parigi la settimana scorsa da donne e uomini di religione e
da personalità umaniste, chiede di «immaginare la pace» e ricordare cosa è
stata la guerra.
Sul
sagrato della basilica di Notre Dame, ormai quasi ricostruita, l’appello
firmato dai vari leader è suonato grave.
Sembrava
che ci fosse un’altra ricostruzione da fare per non scivolare nel fuoco della
guerra. Infatti, è necessario guardare oltre l’attuale orizzonte, dominato
dalle logiche di guerra, senza spazio per costruire o immaginare.
L’appello
afferma: «Purtroppo, c’è una diffusa rassegnazione di fronte ai conflitti
aperti, che rischiano di degenerare in una guerra più grande e travolgente. In
tante parti del mondo, e anche qui in Europa, si è smarrita la memoria
dell’orrore della guerra, eredità dei due conflitti mondiali del Novecento.
Quell’eredità
che mostra come solo la pace è un’alternativa umana e giusta!».
La
pace è stata ormai, in larga parte, espunta dal discorso pubblico.
Si parla di armi, minacce, scontri. A questo si fa l’abitudine.
Anche
il recente e allarmante discorso di Putin sull’uso dell’arma atomica e il
cambiamento della dottrina strategica russa è stato preso – mi pare – alla
leggera.
Abbiamo
dimenticato che cosa sono state le guerre.
Stanno scomparendo quanti hanno vissuto l’ultimo conflitto mondiale e i testimoni della Shoah. E con loro la memoria.
Papa
Francesco, nell’enciclica Fratelli tutti, ha denunciato la «fine della
coscienza storica».
In
Lussemburgo ha ripreso questo tema con forza in una terra che ha conosciuto
l’invasione nazista, nonostante la neutralità: «Siamo smemorati in questo.
Per
sanare questa pericolosa sclerosi, che fa ammalare gravemente le nazioni e
aumenta i conflitti e rischia di gettarle in avventure dai costi umani immensi,
rinnovando inutili stragi, occorre alzare lo sguardo verso l’alto...».
La
storia rischia di ripetersi.
Per
questo ci vuole una svolta profonda, non si può lasciare tutto nelle mani delle
logiche di guerra e di una politica a rimorchio degli eventi.
Bisogna
«impedire l’impazzimento della ragione e l’irresponsabile ritorno a compiere i
medesimi errori dei tempi passati, aggravati per giunta dalla maggiore potenza
tecnica di cui l’essere umano ora si avvale».
La
guerra oggi è più distruttiva di ieri.
Siamo
sulla china dell’impazzimento della ragione, causato dai nazionalismi, per cui
non c’è altra strada che sconfiggere l’altro e non esistono ragioni se non le
proprie.
La
guerra, anche se porta risultati militari a una parte, alla fine è la sconfitta
di tutti.
Così
Francesco, nel cuore dell’Europa, ha parlato con una solennità raramente usata,
«come Successore dell’Apostolo Pietro, a nome della Chiesa... esperta di
umanità».
Per
lui – l’ha detto più volte – il momento è grave.
In
questo tempo smemorato, la Chiesa non dimentica la storia e implora che non si
ripeta.
Tutti oggi pagano un duro prezzo per le guerre. Soprattutto i Paesi più fragili.
Pensiamo
al Libano, già modello di convivenza tra cristiani e musulmani, che ospita
profughi – palestinesi e siriani –, che assommano a più della metà della sua
popolazione.
Citando
il Lussemburgo nella Seconda guerra, ma forse pensando al Libano oggi, il Papa
ha detto: «Quando prevalgono logiche di scontro e di violenta contrapposizione,
i luoghi che si trovano al confine tra potenze che confliggono finiscono per
essere – loro malgrado – pesantemente coinvolti».
Eppure,
questi luoghi sono crocevia preziosi, come il Libano in Medio Oriente: sono «i
più adatti a indicare, non solo simbolicamente, le esigenze di una nuova epoca
di pace e le strade da percorrere», ha concluso Francesco.
Bisogna
immaginare un’epoca di pace.
Il
dolore dei popoli in guerra lo esige: ucraini, palestinesi, israeliani,
libanesi, sudanesi, gente del Kivu e tanti altri.
Si devono aprire percorsi di tregua e di dialogo per avanzare verso un’architettura internazionale di pace. Altrimenti le guerre non avranno fine.
Una
vittoria militare non renderà mai sicuro un Paese.
Solo
una solida “civiltà del vivere insieme” offre sicurezza e pace a popoli che
confinano o abitano nelle stesse terre.
Tuttavia
– come ha detto Francesco – bisogna alzare lo sguardo e ispirarsi a visioni e
valori più alti, che ci liberino dal fascino prepotente delle ragioni della
guerra e dalla logica della risposta conflittuale all’altro.
Alla
base c’è anche un imbarbarimento dei cuori e delle menti.
Chiese,
religioni, umanisti, persone di buona volontà devono muoversi per “una civiltà
del vivere insieme”.
Ci
vuole immaginazione: com’è stato dopo la Seconda guerra mondiale in Europa
occidentale.
Perché
il mondo non sia disumanizzato e sfigurato dalle guerre.
Nessun commento:
Posta un commento