LIMITI
DI TEMPO E CELLULARE
VIETATO A TAVOLA
PER TUTTI
- di GIGIO RANCILIO
Se
la massima autorità americana che si occupa di salute pubblica lancia un
allarme sul tema social e salute mentale dei giovani, noi adulti non possiamo
certo restare indifferenti anche se abitiamo a migliaia di chilometri di
distanza. Anzi, sperimentando quotidianamente il rapporto dei nostri figli o
dei nostri studenti con social e cellulari, ci viene facile applaudire
all’iniziativa di Vivek Murthy, Surgeon general degli Stati Uniti. Al contempo,
però, dovremmo ricordarci che anche ognuno di noi è chiamato a fare qualcosa. A
questo punto, di solito, nascono i problemi. O meglio: le differenze. C’è chi
vorrebbe vietare tutto e chi ha sempre meno voglia di discutere e litigare con
i figli su questi temi. Alcuni invece si fermeranno al titolo del rapporto,
«Social media e salute mentale dei giovani», leggendolo così. «I social fanno
male alla salute mentale di bambini e ragazzi». In fondo siamo sempre lì, in
bilico tra il farci guidare dalle nostre inevitabili preoccupazioni per tutto
ciò che può portare danno ai nostri ragazzi e l’ammettere che di digitale non
se sappiamo ancora abbastanza e quindi dovremmo spendere energie e tempo per
informarci di più e meglio. Nella sua relazione di 19 pagine, per esempio, il
team di Murthy non ha detto solo «che i social fanno male alla salute mentale
di bambini e adolescenti». Ci ha ricordato che «in America il 40% dei bambini
tra gli 8 e i 12 anni usa i social» anche se non avrebbe l’età per farlo (cosa
che in proporzioni molto simili avviene anche in Italia) e che spesso lo fa
anche con la complicità dei genitori. Ha anche ammesso con grande onestà che nonostante
bambini e adolescenti li usino tanto e nonostante esistano molti studi su
quanto i social siano dannosi per alcuni di loro, non abbiamo ancora risultati
ampi, definitivi e completi sull’impatto reale del digitale sui più giovani. Il
motivo principale è che ci vogliono ancora anni di studio e di analisi per
potere avere ricerche definitive su questi temi. Quindi, penserà qualcuno,
perché preoccuparsi? Per il cosiddetto principio di precauzione, quello che
spesso sintetizziamo nella frase: «Prevenire è meglio che curare ». Perché
«anche se non abbiamo ancora prove sufficienti per stabilire se i social siano
sicuri per loro, i nostri ragazzi non possono permettersi il lusso di aspettare
anni prima di conoscere l’intera portata dell’impatto dei social media sulla
loro infanzia e adolescenza. Il loro periodo di sviluppo sta avvenendo ora. E
noi ci troviamo nel mezzo di una crisi nazionale per quanto riguarda la salute
mentale dei giovani e temo che i social siano un fattore importante». Certo,
bambini e adolescenti vengono influenzati dei social in modi diversi, «in base
ai loro punti di forza e alle loro vulnerabilità individuali nonché in base a
fattori culturali, storici ed economici». Ma anche se i social non fanno male a
tutti e non allo stesso modo «e anche se possono fare bene ad alcuni» non
possiamo non preoccuparci.
A
questo punto a noi genitori, educatori ed adulti resta una domanda: cosa posso
fare concretamente per aiutare e proteggere bambini e ragazzi? Murthy nel suo
lungo rapporto dà anche dei consigli molto pratici a genitori e adulti. Il
primo: mettete delle regole. «Bambini e ragazzi che usano i social per più di
tre ore al giorno hanno il doppio delle probabilità di avere problemi di salute
mentale, di ansia e di depressione». Per essere efficaci le regole però devono
valere per tutti: bambini, adolescenti e adulti. Il secondo consiglio pratico
è: vietate l’uso dei cellulari durante i pasti a qualunque componente della
famiglia. Tra i tantissimi spunti del rapporto ci sembrano particolarmente
importanti ancora due passaggi.
Il
primo: «L’onere di proteggere i minori dagli effetti del digitale non può
ricadere solo sui genitori, i quali non vanno lasciati soli in questo compito.
Le aziende devono fare di più. La politica e l’intero tessuto sociale devono
fare di più». Il secondo: «Dobbiamo non dimenticare che per alcune domande non
abbiamo ancora risposte certe. Per esempio, su quali contenuti e quali
strumenti siano più dannosi per la salute dei nostri bambini e ragazzi». Non lo
sappiamo ancora e quindi oltre che creare regole e farle rispettare dobbiamo
sempre di più metterci accanto ai nostri ragazzi per avviare un dialogo che ci
porti a conoscere meglio il digitale e loro. E dobbiamo farlo subito.
www.avvenire.it
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