- di Giuseppe Savagnone *
Un paradosso
È
paradossale che in un tempo in cui si parla tanto di emancipazione femminile le
donne siano più gravemente che mai minacciate. Hanno suscitato grande
impressione, in questi giorni, due femminicidi verificatisi nel nostro paese. Purtroppo,
le vittime, Giulia Tramontano e Pierpaola Romano, sono solo le ultime di una
tragica serie che ha visto 47 donne uccise solo negli ultimi cinque mesi.
A
volte per spietato cinismo, come nel primo di questi due casi, a volte per una
passione distruttiva e autodistruttiva (l’assassino della Romano dopo averle
sparato si è tolto sua volta la vita), a conferma della falsità dello slogan,
così spesso ripetuto, secondo cui nei rapporti tra i sessi e nella famiglia
«l’importante è l’amore», e che esso «non va etichettato». Ce n’è uno che è
sfogo delle proprie pulsioni e sfrenato desiderio di possesso e non reale
volontà di trovare la propria felicità nel bene dell’altro.
Eppure,
il femminicidio, per quanto sia la forma più evidente e cruenta di violenza
contro le donne, non è la sola minaccia per la donna. Il fatto stesso che esso
giustamente desti raccapriccio è una possibilità di difesa. Nessuno lo
giustifica, anche se poi molti reagiscono ad esso con una banale e inadeguata
raccomandazione rivolta alle donne di “stare attente”, come se il problema
fosse loro e non della nostra società.
Ma,
in una prospettiva a lungo termine, che guardi al futuro sotto il profilo
culturale, il problema più grave per la donna sono quelle interpretazioni del
suo ruolo e della sua identità che trovano sostenitori e sostenitrici tra
intellettuali e politici. Proprio in questi giorni nel nostro parlamento si sta
svolgendo una battaglia che riguarda la gestazione per altri o maternità
surrogata.
La
Commissione Giustizia della Camera ha concluso il voto degli emendamenti alla
proposta di legge che dichiara la gestazione per altri – se realizzata da
cittadini italiani – reato universale, cioè perseguibile anche se commesso
all’estero.
Due
di questi emendamenti, presentati da Riccardo Magi (+Europa) andavano
esattamente nella direzione opposta alla proposta della maggioranza, perché non
solo respingevano l’idea che questa pratica sia punibile anche se effettuata
all’estero, ma miravano a depenalizzarla anche se realizzata in Italia – dove
essa è un reato penale – , prevedendo soltanto una sanzione amministrativa da
5.000 a 50.000 euro. Su questi emendamenti l’opposizione si è spaccata. I
5stelle hanno sostenuto l’emendamento proposto da Magi, mentre il PD ha votato
contro. Così come ha votato contro la proposta di legge.
In
realtà le motivazioni di questo rifiuto da parte dei parlamentari dem appaiono
molto diverse. C’è chi – come del resto la stessa segretaria del partito Eddy
Schlein – è personalmente favorevole alla maternità surrogata e la ritiene un
preciso diritto. Così Alessandro Zan, responsabile diritti del Partito
Democratico, ha scritto su Twitter a questo proposito: «La priorità della
destra è limitare i diritti. PNRR, alluvione, asili, inflazione vengono dopo,
forse. Ora la loro urgenza è attaccare le famiglie arcobaleno e i loro figli:
la corsa forsennata in commissione giustizia per una legge folle lo dimostra.
Continueremo a opporci».
Molto
diversa la posizione della senatrice del PD Valeria Valente: «La gpa è una
pratica che mi vede fermamente contraria: rappresenta una violenza verso il
corpo della donna e una commercializzazione dell’essere umano (…). Dobbiamo
dire No a questa pratica e sostenere iniziative internazionali, le uniche
davvero utili per la sua messa al bando. Dobbiamo dare, al contempo, risposte
giuridiche certe all’interno del nostro ordinamento nell’interesse dei minori».
Qui,
come è chiaro, l’opposizione alla proposta di legge è motivata non da un
rifiuto del principio etico che la ispira, ma dall’esigenza che la condanna
universale della gestazione per altri scaturisca da «iniziative internazionali»
e non leda i diritti dei figli.
L’appello
della rete No Gpa
Su
questa linea si pone l’appello intitolato «La maternità surrogata è una pratica
che offende la dignità delle donne e i diritti dei bambini», lanciato dalla
rete No Gpa (No Gestazione per altri) – coordinata da Aurelio Mancuso, ex
segretario Arcigay – al parlamento
italiano. Una petizione che in pochi giorni sta già raccogliendo le firme di
centinaia di persone appartenenti agli ambiti sociali e politici più disparati:
psicologi, filosofi, avvocati, docenti universitari, imprenditori,
amministratori come il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e la vice sindaca di
Milano Anna Scavuzzo.
Ci
sono figure di primo piano del femminismo, come Adriana Cavarero, Francesca
Izzo, Alessandra Bocchetti, personalità politiche come Pierluigi Castagnetti e
Goffredo Bettini, di figure come Maria Pia Garavaglia, Emma Fattorini, Flavia
Franceschini, la Segreteria nazionale ArciLesbica Milano, Cristina Gramolini,
la presidente ArciLesbica nazionale e persino attiviste di Resistenza
Femminista.
Nell’appello
si ricordano le sentenze n. 272 del 2017 e n. 33 del 2021 della Corte
costituzionale, secondo le quali «la gestazione per conto di altri “(…) offende
in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni
umane, assecondando un’inaccettabile mercificazione del corpo, spesso a scapito
delle donne maggiormente vulnerabili sul piano economico e sociale»
E
si continua, rivolgendosi direttamente ai parlamentari: «È in Parlamento, dove
si formano le leggi e si individuano i percorsi normativi, che oltre a
confermare la contrarietà alla maternità surrogata e prevedere un maggior
controllo sull’applicazione della norma, occorre spingere a livello UE e ONU
per una messa al bando di tale pratica in sede internazionale. E al tempo
stesso vanno risolte questioni che necessitano di un quadro giuridico certo
nell’interesse preminente dei bambini, così come sollecitato da Cassazione e
Corte Costituzionale».
Solo
che, se si continua ad affrontare il problema dei figli limitandosi a
riconoscere automaticamente anche in Italia quelli nati in altri paesi da
maternità surrogata, si finisce per avallare questa pratica. La scelta della
maggioranza di destra di puntare sull’idea di reato universale è discutibile e
può essere ampiamente discussa, ma nasce dalla necessità di trovare una
soluzione a questo problema.
Guardare
solo sul diritto dei figli che già ci sono – senza chiedersi come impedire che
si voli i diritto di quelli che ancora non ci sono di non esser solo dei “prodotti”
su commissione – porta poi inevitabilmente alla considerazione che a questo
punto non è giusto che possano ricorrere ala maternità surrogata solo quelli
che hanno i soldi per andare all’estero.
Basta
comunicare di voler cambiare genere per cambiare sesso?
Ma
c’è, oltre alla maternità surrogata, una questione ancora più radicale, che
minaccia non solo la dignità delle donne, ma loro stessa identità. È quella che
si pone ormai in diversi paesi europei – e comincia a porsi anche in Italia –
del riconoscimento dell’identità di genere indipendentemente dal sesso.
Su
questa linea si sono mossi già alcuni stati europei come la Danimarca (2014),
l’Irlanda (2015), la Norvegia (2016), il Belgio (2018), il Portogallo (2018),
la Svizzera (2021) e, ultimamente, la Scozia (2022)[1]. In altri ci si muove in
questa direzione. Come in Germania, dove è già stato presentato dal governo un
disegno di legge.
L’ultima
riforma è stata fatta in Spagna, dove, nel febbraio 2023, è stata definitivamente approvata una legge –
richiesta a gran voce dalle associazioni LGBTIA+ – che consente di cambiare
genere attraverso una semplice dichiarazione amministrativa.
Il
testo elimina l’obbligo di fornire referti medici attestanti la disforia di
genere e la prova del trattamento ormonale seguito per due anni, come avveniva
finora per gli adulti. Perché un uomo diventi donna basterà una doppia
dichiarazione a distanza di tre mesi, all’anagrafe, senza autorizzazioni
giudiziarie o mediche a partire dai 16 anni (dai 14 previo assenso genitoriale,
dai 12 previa sentenza giudiziaria)[2].
Secondo
il Movimiento feminista, che riunisce cinquanta organizzazioni di tutta la
Spagna e che si è mobilitato contro la legge, la nuova normativa costituisce
«una battuta d’arresto nella protezione dei diritti delle donne». Il timore è,
ad esempio, che venga messa a repentaglio la sicurezza delle donne in aree come
le carceri e i loro diritti in ambiti come la salute, lo sport e la politica.
In
Italia il cambio legale di genere era regolato da una legge del 1982 secondo
cui è necessaria la “rettificazione chirurgica” del sesso ma, dopo la Sentenza
n.180 del 2017 della Corte Costituzionale, non è più necessario un intervento
di cambio di sesso per ottenere nuovi documenti.
Le
donne in pericolo?
Ma
già in occasione del dibattito sul ddl Zan, con cui si voleva introdurre nel
nostro ordinamento il concetto di “identità di genere” sganciato dal sesso
corporeo, ben 17 associazioni femministe, tra cui Arcilesbica, hanno protestato
vigorosamente. Nel loro documento si diceva: «In tutto il mondo l’ “identità di
genere” viene oggi brandita come un’arma contro le donne (…). Si vuole che la
realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili- venga fatta
sparire. È la premessa all’autodeterminazione senza vincoli nella scelta del
genere a cui si intende appartenere»
A
questo punto, continuano le femministe, «il “genere” in sostituzione del
“sesso” diviene il luogo in cui tutto ciò che è dedicato alle donne può essere
occupato dagli uomini che si identificano in “donne” o che dicono di percepirsi
“donne”: dagli spazi fisici, alle quote politiche destinate alle donne; dai
fondi destinati alla tutela delle donne contro la violenza maschile, alle
azioni positive, alle leggi, al welfare per le donne». E si citava un caso
concreto: «In California 261 detenuti che “si identificano” come donne chiedono
il trasferimento in carceri femminili».
Si
è donne solo per autocertificazione, anche se tutto il proprio corpo è quello
di un uomo? Negarlo è sempre più pericoloso. In Inghilterrra J. K. Rowling,
l’autrice della saga di Harry Potter, è oggetto di una campagna di
emarginazione per averlo fatto, rivendicando l’identità femminile nella sua
integralità psico-fisica. Su twitter la
Rowling si è difesa: «Conosco e amo le persone trans, ma cancellare il concetto
di sesso significa rimuovere la capacità di molti di discutere in modo
significativo delle loro vite. Dire la verità non vuol dire odiare».
Non
ha convinto nessuno e, paradossalmente, non è stata invitata ai festeggiamenti
svoltisi nel novembre 2021 per i vent’anni del primo film – «Harry Potter e la
pietra filosofale» – tratto dai suoi romanzi.
I
femminicidi sono una tragedia perché colpiscono le donne. Ma forse una tragedia
ancora più grande sarebbe che esse si riducano a macchine incubatrici oppure
spariscano del tutto.
[1]
A. Bianchi, Basta un’autocertificazione per cambiare genere,
www.europa.today.it 23 dicembre 2022
[2]
Cfr. www.euronews.com del 21 febbraio
2023 e, per il dibattito che ha preceduto l’approvazione definitiva della
legge, www.europa.today.it 28 settembre 2022.
*Scrittore
ed editorialista. Pastorale Cultura della Diocesi di Palermo
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